Scomparso a ottantaquattro anni nel 1995, il friulano Cornelio Fabro è stato una figura di primo piano del panorama della filosofia italiana del XX secolo. Il domenicano Georges Cottier, cardinale e già teologo della Casa Pontificia, lo descrive come «un metafisico di razza, guidato da un senso acuto della verità». In effetti, Fabro, che si abbeverò alla fonte perenne di San Tommaso ma che fu pure un grande conoscitore del pensiero moderno e contemporaneo (memorabili i suoi lavori su Kierkegaard e sul problema dell’ateismo), si rese perfettamente conto del valore dei principi e della necessità della loro difesa, in un’epoca che stava sempre più scivolando verso il relativismo e il nichilismo, nei confronti dei quali l’attuale Pontefice non si stanca di mettere in guardia gli uomini di cultura. Recentemente, per iniziativa dell’Editrice del Verbo Incarnato, espressione dell’Istituto omonimo che cura un grande progetto per far conoscere la persona e l’opera di padre Fabro, è stato pubblicato un volumetto intitolato Fabro nei suoi scritti spirituali, redatto da Maurizio Schoepflin, docente di filosofia, saggista e pubblicista, al quale abbiamo rivolto qualche domanda.



Il suo libro prende in esame un aspetto meno noto della personalità di padre Fabro?

Sì. In effetti, il Fabro più conosciuto è quello filosofico, quello delle grandi opere metafisiche e degli studi kierkegaardiani. Ma non bisogna dimenticare che egli fu un prete e un religioso stimmatino e che manifestò sempre un profondo attaccamento al Vangelo, alla Chiesa e alla missione sacerdotale. Dunque era opportuno occuparsi della sua ricca sensibilità per la dimensione spirituale della vita cristiana. Per me è stato molto bello ed edificante leggere alcuni dei suoi scritti in cui questa sensibilità si manifesta in modo particolare.



Su quali argomenti si è soffermato in particolare nel suo libro?

Ho preso in considerazione vari temi presenti nella spiritualità fabriana: i misteri fondamentali della fede, la pietà mariana, la venerazione per i santi, la vita sacerdotale. Al centro di tutto sta comunque la fede in Dio e nel suo Figlio Gesù.

Che tipo di fede?

Quella integrale e veramente cattolica. Fabro non si fece condizionare da nessuna moda culturale. Anzi, fu molto critico nei confronti delle ventate innovatrici eccessivamente forti e preferì rimanere legato alla più antica Tradizione della Chiesa, che rifulge nella testimonianza di numerosi uomini e donne che si sono santificati obbedendo a Cristo.



Dunque, Fabro maestro di spiritualità, oltre che di filosofia?

Certo! Egli fu un’anima tanto profondamente speculativa quanto altamente meditativa, capace di coniugare in modo mirabile la dimensione della ragione con quella della fede, ribadendo, secondo la più schietta tradizione cattolica, e tomista in particolare, l’esistenza di un legame inscindibile tra esse.

 

Si può dire che fu anche un maestro di fede?

Ripeto: la sua spiritualità fu squisitamente cattolica e radicata nella profondità del suo essere sacerdote: ogni meditazione, ogni riflessione lo condusse sempre a ridire il suo “sì” incondizionato al Signore, quel “sì” pronunciato una volta e confermato per tutta la vita con la mente e con il cuore.