Il saggio scritto da Jacques Julliard Il denaro, Dio e il diavolo. Péguy, Bernanos, Claudel di fronte al mondo moderno ci sorprende per molte ragioni. Innanzitutto per la stranezza del titolo; in secondo luogo per la scelta dei tre scrittori, tutti di matrice cattolica benché al loro tempo siano stati volutamente ignorati se non criticati. Ci chiediamo quindi: perché questo titolo? Perché associare i tre scrittori?



Vorrei iniziare a rispondere all’ultima domanda. L’approccio di Juillard ai tre scrittori e alla loro opera è inusuale per un lettore abituato a leggere di Péguy, I Misteri; di Bernanos Il diario di un curato di campagna; di Claudel L’annuncio a Maria o La scarpina di raso. Le opere da lui citate sono altre: la rivista Cahiers de la Quinzaine, Eve e Notre Jeunesse di Péguy, La France contre le robots, La Grande Peur, Les Grands Cimitières di Bernanos. Infine, oltre al suo Journal e alle Conversations dans le Loir-et-Cher, Julliard fa spesso riferimento alle opere teatrali giovanili di Claudel: Tête d’Or e La Ville o La trilogie des Coûfontnine.



Questa cernita di opere, apparentemente a carattere più “politico” che cattolico, non appare come arbitraria o “forzata”, né settaria. Risponde a una precisa logica e volontà dell’autore. Julliard precisa che tutti e tre gli scrittori, in epoche diverse, hanno rappresentato uno «strumento di emancipazione intellettuale» in quanto hanno, attraverso le loro opere e il loro percorso esistenziale, operato una “liberazione” del proprio tempo, aiutandolo a prendere le distanze dalle influenze culturali in esso dominanti. I tre sono accomunati dalla loro matrice cattolica e ciò ha implicato, data la società laica o addirittura laicista in cui hanno operato, la loro messa al bando. Ma la solitudine più o meno voluta non li ha fatti sprofondare nella marginalità; al contrario ha fatto acquistare loro una profonda “chiaroveggenza” e una grande capacità di resistenza alla “volgarità dell’ambiente”. C’è un bel passaggio in cui Julliard precisa cosa intende per chiaroveggenza. Parlando di Péguy, dice che il suo “programma” come storico e giornalista, la sua “passione per la verità” nasceva dalla sua posizione “interiore” che Juillard precisa con una frase di Mounier: «L’avvenimento sarà il nostro maître intérieur (interiorità)». Julliard commenta questa frase del filosofo personalista dicendo che «noi (giornalisti, scrittori) non possiamo scegliere la materia. Né la creiamo. Essa sorge dalla nostra stessa vita, dalla nostra stessa esperienza, dalla nostra stessa epoca. Le idee non camminano nude per le strade. Bisogna prenderle per la mano e condurle allo scoperto».



Julliard nel saggio va oltre al valore di questo metodo intrinseco e ideale, riconosciuto ai tre scrittori. Prova una riabilitazione della loro visione culturale che spesso si è tradotta in scelte politiche mal “riconosciute” e di fatto “marginalizzate” o che li ha portati a marginalizzarsi. Non a caso, il primo capitolo s’intitola Levée d’écrou (tradotto letteralmente: uscire di prigione; metaforicamente: sdoganare).

Chiarito l’intento dell’autore, possiamo ora porci la domanda del rapporto tra i tre scrittori e il titolo principale del libro. Se l’argomento del “denaro” è più che mai d’attualità, lo è un po’ meno se associato a “ Dio” e ancor più al “diavolo”.

L’autore si mostra preoccupato dal fatto che l’originalità di Péguy, Bernanos, Claudel oltre a non essere stata veramente colta e riconosciuta a suo tempo, corre il rischio di essere totalmente persa in un mondo che egli stesso definisce “post-moderno”; i tre scrittori, infatti, sono per loro scelte degli “anti-moderni”. Per non perderci nelle varie sfaccettature della questione, oseerviamo che Julliard privilegia l’angolo sociale, poiché tale aspetto ha un’incidenza maggiore a livello culturale. La sua tesi è che “il sistema borghese”, storicamente attraverso la rivoluzione francese, ha “dinamitato” e “snaturato” la società. Esso infatti ha sovvertito i valori (“onore, carità, solidarietà”) apparentati tra loro e che legavano a loro volta il sistema aristocratico a quello cristiano e operaio (di chi lavora), introducendo valori “mercantili e materialisti”. Questo cambiamentoha avuto come conseguenza l’abbattimento di una mentalità che si concepiva come “collettiva e solidale” in favore di una visione più “individualista”. In sintesi: l’individuo, da solo, contro o in opposizione, all’Universo/Universalità.

Questo processo storico-sociale è divenuto culturale e quindi possibile grazie al denaro, in quanto agente “magico” e equivalente di qualsiasi principio universale. Infatti, nel mondo d’oggi ogni aspetto ha un suo “corrispettivo in denaro”. Non si tratta più di uno scambio ma di un “prezzo”; non più di valore (“qualità”) bensi’ di “quantità” di soldi per acquistarlo. Péguy, Bernanos, Claudel con sfumature diverse (Claudel ha una posizione più complessa e dialettica), si sono “scaglaiati” contro questa riduzione del valore del mondo a moneta, perché in tal modo, in fondo, l’uomo non fa altro che sostituirsi a Dio: «Dio ha creato le cose, e l’uomo ha creato le specie. Nell’universo precapitalista… il mondo appapriva estremamente variegato; nel mondo moderno cioé borghese ogni cosa assomiglia a tutte le altre, sotto forma di valore di scambio». Attraverso “la tecnica” e “il negozio” si è “snaturata la creazione”.

È interessante la riflessione fatta da Julliard sia come fondo che rispetto dei tre scrittori. Essa fa scoprire come la loro fede non sia spiritualista ma in rapporto alla società in cui vivevano e con un giudizio sulle trasformazioni da essa subite.

Al di là delle analisi contenute nel volume, che possiamo condividere o meno, mi sembra interessante porsi la domanda come mai si sia stato dato per acquisito, in particolare dal dopo guerra in poi, che questa mentalità “mercantile” sia stata assorbita da generazioni di genitori ed educatori come criterio educativo indiscusso. L’apporto del saggio di Julliard sul “denaro” nell’esperienza culturale di Péguy, Bernanos, Claudel, mi sembra aprire una breccia nella mentalità di quanti hanno considerato e considerano il “boom economico”, o un fenomeno di benessere economico, come un bene in sé senza guardare più da vicino alle derive culturali che dobbiamo pagare (come si vede in particolare in questi mesi), ma soprattutto alle derive educative che influiscono pesantemente sulle giovani generazioni.

(Silvio Guerra)