Lo scorso 22 dicembre il Papa, in occasione degli auguri di Natale alla Curia Romana, ha formulato una netta condanna nei confronti delle nuove ideologie mondane che tendono a mettere a repentaglio i riferimenti naturali e razionali dell’esistenza. Abbiamo chiesto al professor Christopher Tollefsen, docente di filosofia morale presso l’Università del South Carolina e autore del libro antiabortista “Embryo”, di commentare le parole del Pontefice
Recentemente il Papa è intervenuto condannando l’ideologia “gender” per la quale non esisterebbe un’autentica distinzione di fondo fra i sessi maschile e femminile che rappresenterebbero invece soltanto tendenze sessuali. Il Pontefice indica in questa visione una minaccia al concetto di “natura umana”. A suo avviso esiste una correlazione fra questo tipo di visione e la corrente di pensiero che vorrebbe escludere l’embrione dalla categoria di “essere umano”?
Ci sono aspetti comuni e differenze. Come Giovanni Paolo II prima di lui, Benedetto XVI è preoccupato dall’idea in un certo senso impazzita di “autonomia”. L’idea che siam liberi di fare di noi stessi qualunque cosa vogliamo, fino al punto di determinare la nostra natura “gender”, viola tutte le norme oggettive che sono indirizzate verso una fioritura dell’uomo genuina. Qualcosa di simile avviene nelle discussioni circa la personalità quando si dice che “noi” abbiamo bisogno di “decidere” chi abbia la dignità di persona, e chi no.
Comunque, il problema relativo all’embrione – se si tratta o no di un “essere umano” – non è una questione normativa, ed è meno suscettibile di interpretazioni autonome: è una questione scientifica, e c’è un largo consenso tra gli scienziati – biologi dello sviluppo ed embriologi – nel riconoscere che l’embrione è, sin dallo stato monocellulare, un essere umano nella sua prima fase di sviluppo, come si può evincere dalla lettura dei loro manuali. Questo non pone una questione di personalità, ma ci fornisce molto materiale per le nostre argomentazioni, se siamo convinti che a tutti gli esseri umani dovrebbe essere riconosciuta la piena protezione morale e legale.
Al contrario, le nozioni normative di “gender” – del mascolino e femminino, in particolare per come vanno intesi in quanto ordinati verso il matrimonio queste nozioni vanno oltre quello che la biologia del “gender” può dirci. Consideriamo l’ingiunzione rivolta da San Paolo ai mariti perché amino le loro mogli come Cristo ama la Chiesa: questo è normativo per gli uomini fintanto che essi sono uomini, e indica la strada verso un genuino benessere degli uomini sposati e non. Ma, poiché questo ideale del mascolino non è semplicemente un dato biologico, senza dubbio è in qualche modo più facile per coloro che non contemplano un’adeguata “ecologia dell’uomo” pensare che solamente la scelta, e non un ordine morale oggettivo, è tutto ciò che può guidare le nostre idee sul “gender”.
Molti intellettuali dello scorso secolo sia credenti sia non credenti (G.K.Chesterton, Aldous Huxley o George Orwell), mediante i propri scritti, hanno spesso denunciato i rischi dell’eugenetica “soft”. Nonostante ciò sembra che la cultura dominante e gran parte della società attuale ne esigano sempre più pervicacemente la pratica. Da che cosa dipende questa tendenza?
In parte, una risposta adeguata a questo consegue a quanto detto prima: l’idea che noi facciamo, e rifacciamo, noi stessi secondo la nostra volontà conduce naturalmente all’idea che noi possiamo allo stesso modo fare e rifare i nostri figli. E quando vediamo gli embrioni umani non come esseri umani o persone, ma come mera “roba” biologica nel processo di formazione, allora noi siamo incoraggiati anche di più ad occuparci di questi eventi biologici e conformarli ai nostri propri scopi.
Ultimamente la nostra percezione ci dice che qualsiasi cosa ci riguardi è profondamente speciale, inclusa la nostra natura e l’esistenza nostra e dei nostri figli, è un dono, qualcosa al di fuori del nostro controllo. Tale percezione oggi è a rischio. La percezione di questo dono è cruciale, sia per la nostra coscienza che il nostro Creatore ci sta chiamando ad accettare il Suo dono e a rispondere con un “sì”, e inoltre per la nostra volontà di far dono di noi stessi agli altri. Poiché sia nel ricevere doni che nel farli (ed essi, dopo tutto, possono essere respinti) noi riconosciamo la nostra dipendenza dagli altri, la nostra mancanza di auto-sufficienza, e le vie fondamentali in cui noi non siamo, autonomamente, i “controllori” di noi stessi e del nostro destino.
Questa perdita della nostra consapevolezza della natura di dono della nostra vita si riflette in un altro modo: nel nostro rifiuto di veder soffrire, che realmente è al di là del nostro controllo e in quel senso è “gratuito”, capace di portare un significato. E così anche la sofferenza diviene qualcosa che dev’essere completamente controllata, se necessario attraverso l’eliminazione di chi soffre, come nell’eutanasia e nel suicidio assistito, e, all’inizio della vita, nella distruzione degli embrioni e dei feti geneticamente svantaggiati.
Sempre a proposito di “natura umana”: il relativismo sembra essere il punto di arrivo (o almeno di accordo) sia del pensiero filosofico analitico di stampo anglosassone sia di quello esistenziale di matrice continentale (Europea). Secondo lei esiste nell’attuale panorama culturale una “terza via” in grado di contrapporsi a entrambe queste concezioni?
Sia il materialismo naturalistico sia l’esistenzialismo fanno un errore simile: entrambi non riconoscono che c’è un’oggettività nell’ordine normativo, l’ordine della ragione pratica.
Come scrisse San Tommaso, la ragione pratica è la nostra partecipazione alla legge eterna: Dio sceglie di guidarci verso la nostra perfezione non installando in noi dei principi direttivi che determinano le nostre azioni, ma permettendoci, attraverso la nostra propria conoscenza di questi principi, di dirigere noi stessi verso il nostro compimento, e di decidere per noi stessi se agire o meno come prescritto. In questa “teonomia partecipata” siamo posti in grado di essere cooperatori attivi di Dio nel dar forma alla nostra vita in accordo con i suoi piani.
Il materialismo naturalistico manca di questo, ponendo l’attenzione solo sull’ordine materiale di ciò che già esiste, di ciò che è dato fisicamente. Non c’è spazio per ciò che che siamo chiamati ad essere. L’esistenzialismo riconosce che molto di ciò che possiamo scegliere di essere è genuinamente buono per noi, effettivamente ci compie. La ragione pratica dev’essere portata a riconoscere i beni genuini della persona che, come Giovanni Paolo II ha posto in rilievo, sono protetti dai dieci comandamenti, beni come la vita umana, la conoscenza, e il matrimonio. Solo un orientamento fondamentale e onesto verso questi beni, verso questo orizzonte della vera fioritura umana, può servire come una terza via. E così ogni argomento morale deve sforzarsi di mostrare che noi effettivamente siamo migliori come persone nel momento in cui compiamo delle scelte che onorano la vita piuttosto che la morte, la conoscenza piuttosto che l’ignoranza, l’arte piuttosto che il trash, e il matrimonio e la famiglia piuttosto che la licenza sessuale, la pornografia, e il solipsismo.
Una visione riduzionista e relativista sull’uomo rischia di mettere a repentaglio anche il progresso scientifico? Se la sua risposta fosse affermativa potrebbe proporci alcuni esempi?
Fino a un certo punto senza dubbio può. Come punto di partenza metodologico, la ricerca di leggi scientifiche e di spiegazioni meccanicistiche può chiaramente aprire la strada a un notevole progresso nella conoscenza e nella tecnologia. Questo è perché effettivamente una parte del mondo è così come le scienze fisiche lo descrivono. Naturalmente, ho anche descritto in precedenza alcuni dei limiti di quell’immagine: non può dirci cosa un uomo può e dovrebbe essere. E così il progresso scientifico da solo ultimamente è destinato a fallire nel tentativo di far avanzare realmente la condizione umana: in realtà, perfino la preoccupazione dello scienziato per la verità sarà una casualità di un assetto mentale puramente riduttivo.
Dovremmo anche tenere in mente che mentre la buona scienza corrisponde a una scienza guidata da norme etiche, a breve raggio, la scienza senza etica dovrebbe essere piuttosto efficace, e forse perfino più efficace della scienza etica. Ma sarebbe profondamente fuorviante suggerire che ciò che dobbiamo perseguire è semplicemente la politica di lavoro maggiormente produttiva, se ciò dovesse significare trascurare i diritti umani, o i più “efficaci” strumenti di guerra, o la pianificazione urbana, o persino l’agricoltura: le nostre preoccupazioni per gli altri beni umani, e per le libertà umane, tengono a freno le nostre azioni in questo o quel contesto, e non c’è ragione per negare che lo stesso dovrebbe essere vero della pratica scientifica.
In occasione delle ultime elezioni politiche in Italia, si è presentata una lista elettorale il cui principale scopo e programma era incentrato sulla lotta all’aborto. L’esito ha sancito una netta sconfitta per il candidato di quella lista, nonostante i cattolici, e una discreta parte dell’elettorato laico, siano contrari all’interruzione volontaria di gravidanza. E’ dunque la riprova che la politica non può rispondere ai problemi etici, o almeno non pienamente. Da quale ambito culturale può invece provenire una risposta?
Nella Fides et ratio, Giovanni Paolo II scrisse che «fede e ragione sono come due ali su cui lo spirito umano assurge alla contemplazione della verità». C’è bisogno di entrambe queste due ali ora come non mai; ma dobbiamo riconoscere che gli esseri umani possono, sfortunatamente, conoscere la verità e tuttavia scegliere contro di essa. Questa triste realtà della condizione umana è ciò cui davvero occorre dare una risposta, e Cristo ha fornito il modello di questa risposta: l’amore. Dobbiamo rispondere alle minacce alla vita umana, e a una politica di morte, con l’amore: l’amore per coloro che si oppongono alla vita; l’amore per coloro le cui vite sono più vulnerabili, più minacciati, più dipendenti dagli altri per vivere; e l’amore per il nostro Dio che ci promette di non abbandonarci, persino nei momenti più difficili, che promette che Lui asciugherà tutte le lacrime dei nostri occhi: «e la morte non sarà più, né il lamento, né il pianto, né il dolore vi sarà più, e le cose di prima sono trascorse». Solo in Dio, e nelle Sue promesse, possiamo vedere la risposta definitiva a questi problemi etici.