Il passato è fruttuoso non quando serve a nutrire il risentimento o il trionfalismo ma quando il suo gusto amaro ci porta a trasformarci. È così che, ripercorrendo la sua storia, Tzvetan Todorov, uno degli intellettuali più ascoltati in Europa, giunge ad affermazioni che appaiono come il rovesciamento di tutte le teorie letterarie cui si era dedicato nella Bulgaria sovietica e in seguito a Parigi, alla scuola di Barthes e di Genette. Esse sono esposte nelle prime pagine di un suo saggio pubblicato l’anno scorso da Garzanti, La letteratura in pericolo.
Senza cadere in un’ammirazione beata, mi rallegravo nel constatare che la Francia era una democrazia pluralista, rispettosa delle libertà individuali. Tale constatazione influenzava a sua volta la mia scelta di un approccio alla letteratura: il pensiero e i valori espressi da ciascuna opera non erano più imprigionati in una costruzione ideologica prestabilita, non c’era più motivo di metterli da parte e ignorarli. Erano venute meno le ragioni del mio esclusivo interesse per la materia verbale dei testi. Da quel momento, a metà degli anni Settanta, ho abbandonato anche la mia passione per i metodi di analisi letteraria, dedicandomi all’analisi stessa e all’incontro con gli autori.
Così facendo, si sono ampliati gli orizzonti di questo lavoro di conoscenza. La letteratura non nasce nel vuoto, ma all’interno di discorsi vivi.
Quando mi chiedo perché amo la letteratura, mi viene spontaneo rispondere: perché mi aiuta a vivere. Più densa, più eloquente della vita quotidiana ma non radicalmente diversa, la letteratura amplia il nostro universo. Siamo tutti fatti di ciò che ci donano gli altri: in primo luogo i nostri genitori e poi quelli che ci stanno accanto; la letteratura apre all’infinito questa possibilità d’interazione con gli altri e ci arricchisce, perciò, infinitamente. Ci procura sensazioni insostituibili, tali per cui il mondo reale diventa più ricco di significato e più bello. Al di là dall’essere un semplice piacere, una distrazione riservata alle persone colte, la letteratura permette a ciascuno di rispondere meglio alla propria vocazione di essere umano.
In linea generale il lettore non specialista, oggi come un tempo, non legge le opere per padroneggiare meglio un metodo di lettura, né per ricavarne informazioni sulla società in cui hanno visto la luce, ma per trovare in esse un significato che gli consenta di comprendere meglio l’uomo e il mondo, per scoprire la bellezza che arricchisce la sua esistenza; così facendo, riesce a capire meglio se stesso.
È interessante l’indagine storica compiuta dall’autore nel seguito del suo saggio: aiuta a comprendere le ragioni dei suoi attuali convincimenti e ne esemplifica le conseguenze sul piano dell’insegnamento.
Ma il motivo per citare questa pagina è più semplice: essa appare come un’eco più sbiadita, ma pur sempre utile, di quanto ha scritto Benedetto XVI nel suo Messaggio per il trentesimo Meeting di Rimini a proposito della conoscenza di quegli oggetti che sono legati alla libertà umana e che richiedono, per essere compresi, dell’arte dell’ospitalità.