Una quarantina di anni fa Louis Althusser sosteneva che lo scopo fondamentale della filosofia è quello di distinguere la scienza dall’ideologia. È difficile negare che oggi ci sia un estremo bisogno di tale opera filosofica e che uno dei campi in cui essa si fa più urgente è quello delle neuroscienze. Accanto infatti a molti scienziati che usano questo approccio senza pretese di esaustività (e quindi in modo autenticamente scientifico) ce ne sono altri che ne rivendicano un primato assoluto, pretendendo di poter spiegare una certa funzione mentale, un certo comportamento, se non addirittura un certo carattere, persino un’opinione politica o un credo religioso, in base alle attività neuronali di particolari strutture dell’encefalo, osservabili attraverso la Pet o sofisticate forme di risonanza magnetica. In genere i mass media si fanno volentieri portavoce di questi ultimi, amplificandone le presunte scoperte, che hanno oramai un ritmo settimanale. Si tratta di una vera e propria neuro-mania che induce la falsa credenza che ogni aspetto dell’uomo e ogni suo comportamento sia determinato da processi biochimici cerebrali.



Eppure non ci vuole molto a scoprire il bluff. Una veloce ricerca su internet permette di imbattersi ad esempio in un bell’articolo di Vittorio Gallese dal titolo “Neuroscienze e fenomenologia”, in cui lo scopritore dei neuroni specchio afferma che «la possibilità di trovare nel nostro cervello aree contenenti i correlati neurali di credenze, desideri e intenzioni come tali sono probabilmente vicine allo zero» e che tale tentativo costituisce «una forma degenere di riduzionismo che non porterà da nessuna parte». In particolare, il riduzionismo dei neuro-maniaci consiste nel tentativo di attribuire alle parti di un organismo caratteri che sono invece propri solo dell’intero.



 

In realtà la neuro-mania non è l’unica forma di riduzionismo alla moda. Si dà la formidabile concorrenza della “geno-mania”, per cui ogni aspetto dell’uomo e ogni suo comportamento, normale o patologico che siano, è determinato dal suo patrimonio genetico. Anche in questo caso la maggior parte dei genetisti non condivide tale approccio, limitandosi a ricordare che i geni determinano solo una certa predisposizione.

La domanda allora diventa la seguente: come mai programmi di ricerca così scientificamente inconsistenti trovano tanto credito a livello culturale?



Tra i vari fattori che cospirano a generare tale fenomeno, qui accennerò solo a un motivo culturale, usando formule che meriterebbero un approfondimento critico. Jacques Monod lo ha detto in maniera magistrale: l’uomo contemporaneo percepisce la propria esistenza come effetto di un processo casuale retto da leggi deterministiche. Egli non è voluto e la sua vita appare del tutto gratuita, senza senso. L’inesistenza di una provvidenza divina, di un progetto su di lui, lo rende sicuramente più “libero” di quanto sia mai stato prima. Ma egli non sa che farsene di questa sua libertà, che diviene un peso insopportabile. Invece di porsi inutili e abissali domande intorno al senso, è molto meglio allora abbandonarsi alla processualità naturale, cieca e necessaria, cercando di rendersi il soggiorno sulla terra il più piacevole possibile. È per questo motivo che ogni riduzionismo scientifico è il benvenuto: libera dalla responsabilità e dalle domande inopportune. Un atteggiamento che non può che essere gradito a ogni tipo di potere sociale.