Uomini e no di Vittorini non racconta solo i fatti della guerra civile che insanguinò la città di Milano dopo l’8 settembre 1943. Il suo libro è anche la storia di come uomini e donne cercano per sé una ragione per continuare a vivere dentro una lotta così cruenta da non risparmiare neanche gli inermi. Le sue pagine si prestano a un’interpretazione non univoca perché, a dispetto di un titolo apparentemente manicheo, la faticosa strada per comprendere e operare il bene e il male è il compito imposto a tutti dai drammatici avvenimenti di quei giorni.
I morti al largo Augusto non erano cinque soltanto; altri ve n’erano sul marciapiede dirimpetto; e quattro erano sul corso di Porta Vittoria; sette erano nella piazza delle Cinque Giornate, ai piedi del monumento. C’era anche una bambina, c’erano due donne e un vecchio dalla barba bianca. Il vecchio era ignudo, senz’altro che la lunga barba bianca a coprire qualcosa di lui, il colmo del petto; stava al centro dei sette allineati ai piedi del monumento, non segnato da proiettili, ma livido nel corpo ignudo, e le grandi dita dei piedi nere, le nocche delle mani nere, come se lo avessero colpito, così nudo, con armi avvelenate dal freddo.
La folla non era grande.
Erano alcune centinaia di persone, tra largo Augusto e piazza Cinque Giornate. Prima passavano, guardavano i morti e passavano, ora invece stavano ferme intorno ai marciapiedi coi morti. I piedi grandi, grigi; le facce serie e grigie; l’uno sembrava lo stesso dell’altro, tutti uguali, e il vecchio, in mezzo, era come il padre loro.
Perché, lui proprio, era lì lasciato ignudo?
Un vecchio bianco dorme da secoli nell’uomo. Noi ce ne ricordiamo; è il padre nostro che ha edificato l’arca, il padre lavoratore; egli ha lavorato, si è ubriacato, e dorme ridendo ignudo attraverso i secoli. Gli occhi che ritornavano ai morti si ricordavano di lui. Vedevano il vecchio ignudo nel vino, pensavano come se l’antico padre fosse stato ucciso nel sonno del suo vino.
Fin qui la descrizione cruda di una rappresaglia tedesca. Ma già si avverte una domanda e il riaffiorare dell’episodio biblico dell’ubriachezza di Noé, derisa da Cam. È la preparazione corale dell’atto che conclude l’episodio: giunge infatti un venditore di castagne.
Si cacciò nelle tasche le due manciate di castagne, toccò uno dei piedi, furtivamente, sull’alluce.
Era del vecchio. Lo toccò con un dito, e si rialzò, guardò davanti a sé tutto il vecchio ignudo.
Si ricordò pure lui del padre antico? Scosse il capo, guardò insieme agli altri i militi che mangiavano e di nuovo guardò i morti, guardò il vecchio. Che c’era in lui? Il ricordo di suo padre stesso?
S’inginocchiò, e nessuno fu stupito che s’inginocchiasse.
Non c’era in lui quello che c’era in tutti? Coprire il vecchio ucciso, questo tutti volevano, e che quei ragazzi non offendessero più la nudità di lui.
La pietà senza colore politico, quella della gente comune, trova nel coraggio del venditore di castagne, vecchio anche lui, la sua attuazione. Poco sopra Vittorini aveva scritto: Vi era soltanto serietà, e la ferocia che è della serietà: perdono ma vendetta insieme, nel perdono stesso.