Fra le statue che compongono il gruppo equestre di piazza Venceslao, a Praga, ce n’è una dedicata a una santa particolare. Sta accanto agli altri patroni boemi: il principe Venceslao, nonna Ludmila, Procopio l’eremita, e Adalberto l’evangelizzatore. È la statua di Agnese (1211-1282), principessa della dinastia premyslide «in silenziosa preghiera, umile e forte, semplice e nobile», come la descrisse il teologo Zverina nell’89, anno della sua canonizzazione e della Rivoluzione di velluto che rovesciò il comunismo in Cecoslovacchia. La biografia di questa santa è difficilmente edulcorabile: obbediente e umile secondo tradizione, ma altrettanto energica e testarda come suo padre, re Otokar I (che per aver litigato col vescovo di Praga si buscò 4 anni di interdetto sulle terre ceche). Nella scheda vaticana diffusa per la canonizzazione si legge che «sin dall’infanzia, dopo la formazione ricevuta in ambiente monastico, fu coinvolta in progetti di fidanzamento, trattati indipendentemente dalla sua volontà, per speculazioni politiche e convenienze dinastiche». Ma lei, affascinata dallo stile di vita dei francescani e decisa a seguirne l’esempio, seppe rinunciare persino alle profferte dell’imperatore Federico II.
Usando i propri beni per le opere ispiratele da Dio, e con l’appoggio del fratello re Venceslao I, fondò nel 1232-33 l’ospedale di S. Francesco e l’Ordine dei Crocigeri della Stella Rossa per l’assistenza ai poveri, agli ammalati e ai pellegrini. Fu la prima fondatrice di un ordine maschile nella storia della Chiesa, l’unico di origine ceca. Nello stesso tempo eresse il monastero di S. Francesco per le “Sorelle povere”, dove lei stessa entrò nel 1234, rimanendo in contatto epistolare con Chiara d’Assisi. Fu badessa del monastero per tutta la vita, amministrandolo come «sorella maggiore» con umiltà e carità, con saggezza e zelo.
Scrisse Giovanni Paolo II ai fedeli cecoslovacchi, in occasione del 700° anniversario della morte: «Assisteva suore malate, curava lebbrosi ed afflitti da malattie contagiose, lavava i loro indumenti e li rattoppava di notte, dando prova che l’edificio della sua vita spirituale poggiava sul solido fondamento dell’umiltà. In tal modo divenne la madre degli indigenti, conquistandosi nel cuore dei poveri e degli umili un posto che le è rimasto riservato per secoli. La sua carità fu nutrita dalla preghiera incentrata sulla passione di Cristo». Gli ultimi anni di vita di Agnese furono addolorati dalle vicende storiche che colpirono la famiglia reale e la sua patria. Morì il 2 marzo 1282. «Agnese non fu un episodio marginale della vostra storia… Si tratta delle radici della vostra cultura nazionale, si tratta della vostra identità spirituale. Custodite gelosamente questa eredità, tramandatela intatta ai vostri figli!» aveva concluso il papa. Per secoli la gente la pregò come santa, in attesa del riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa («Agnese sapeva non aver fretta», si diceva fra il popolo), finché il 12 novembre 1989 fu canonizzata a Roma, alla presenza di migliaia di pellegrini. Ricorda padre Halík, che accompagnò il cardinal Tomásek: «Quando ricordai pubblicamente il proverbio secondo il quale la canonizzazione di Agnese avrebbe portato tempi migliori per il nostro paese, e con sommo dispiacere della delegazione statale aggiunsi che nell’aria c’era già un venticello nuovo, non potevo certo presagire che si sarebbe trattato di un cambiamento così repentino e radicale… Otto giorni dopo, all’aeroporto ci attendeva l’ambasciatore italiano. Prima ancora dei convenevoli, si rivolse a Tomásek dicendo: "Eminenza, qui è scoppiata la rivoluzione"».
Il 17 novembre infatti la manifestazione pubblica indetta dagli universitari e autorizzata dalle autorità, per ricordare il 50° della morte dello studente Jan Opletal avvenuta durante gli scontri antinazisti del ’39, era stata per molti l’occasione per scendere in piazza e chiedere apertamente diritti e libertà. Il regime comunista andò in panico e fece intervenire brutalmente la polizia. L’episodio suscitò scalpore e indignazione in tutto il paese. All’interno del Partito si acuì la spaccatura tra i favorevoli al dialogo con le realtà informali uscite allo scoperto, e i «dinosauri» che ipotizzavano persino un’«autoinvasione» in stile Jaruzelski. Nel giro di una settimana, tra scioperi e manifestazioni, il regime comunista crollò come un castello di carte. Scrisse Zverina: «Avevano fatto di sant’Agnese un’eroina nazionale e una socialista. Ecco un esempio di lavaggio del cervello con infusione di categorie ideologiche. Noi la veneriamo come santa. E questo non deve dar fastidio a nessuno: quello che di più santo c’è nella nostra nazione: la carità, che è la radice più profonda e disinteressata del servizio all’uomo, noi lo vediamo incarnato in Agnese».
Oggi l’area dell’antico monastero («Na Frantisku», in riva alla Moldava) è sede della Galleria Nazionale; quest’anno in onore della principessa premyslide sono in programma concerti, funzioni religiose e convegni. In fondo, anche lei è stata una protagonista della Rivoluzione di velluto.