Il volume di Laure Adler, L’indomabile Simone Weil, recentemente pubblicato da Jaca Book è un saggio impegnativo che presenta il pensiero, le amicizie, l’ambiente intellettuale, la varia azione di una pensatrice asistematica che non smette di interessare i suoi lettori. Vi si trovano quasi più domande che risposte univoche o peggio definizioni sulla personalità della filosofa francese.



Non è una vera e propria biografia; procede anzi a ritroso, partendo dagli ultimi anni, dagli anni londinesi; non è un’indagine psicologica sui motivi di una salute cagionevole, minata dall’emicrania e da quella che oggi si chiamerebbe anoressia; non è neppure la ricostruzione intera di un percorso culturale, nato da illuminazioni interiori e da letture vastissime, ma soprattutto dalla vita.



Il libro permette la conoscenza dell’ambiente creato in America da intellettuali francesi come Maritain, Levi-Strauss, de Rougemont, di chi tra gli uomini di Chiesa accompagna un cammino spirituale arduo, come i padri domenicani Perrin e Couturier; situa la varia produzione letteraria di Simone Weil in un contesto politico di lotta tale da far apprezzare ancora di più la lucidità della sua espressione. Ne emerge la figura di una donna esile, incurante del proprio aspetto fisico fino a trascurare cibo, sonno, proprietà nell’abbigliamento e nell’acconciatura, impegnata in scelte di vita tese tra dono di sé fino alla condivisione del dolore più acuto e attrattiva stoica, quasi disumana, per la sofferenza.



 

Nasce a Parigi nel 1909 da una ricca famiglia ebraica non praticante, che le offre una educazione severa e rigorosa sul piano degli studi. Suo fratello André diviene presto uno dei più grandi matematici del XX secolo, lei stessa si classifica prima all’ammissione alla Scuola Normale Superiore. Allieva del filosofo Alain, i suoi interessi spaziano dalla filosofia, alla filologia, alle scienze. Si avvicina al marxismo, di cui tuttavia rifiuta il carattere totalitario. A causa del suo senso della giustizia e dell’attività sindacale l’insegnamento di filosofia nei licei tra il 1931 e il 1938 incontra serie difficoltà. Tra il 1934 e il 1935 sperimenta la vita operaia nelle fabbriche della Renault e più tardi anche il pesante lavoro di raccoglitrice di uva.

Si direbbe che gli scritti nati da queste esperienze si collochino tra i due poli della ricerca delle radici della sua patria e l’esigenza di un distacco, una volontà di scomparire, donandosi senza riserve alla terra di Francia. Questa estrema purità, rivelata dalla limpidezza espressiva, è insieme azione, pensiero, ricerca religiosa e volontà di ascesi spinta all’estremo.

 

La sua personalità è veramente complessa e suscita, anche tra i suoi conoscenti e amici, ammirazione e sconcerto: ebrea senza volerlo essere, perché scandalizzata della violenza dell’Antico Testamento, priva di ogni educazione religiosa e affascinata dalla religiosità, cristiana senza Chiesa, perché non si sente degna di ricevere il Battesimo, pacifista e combattente a fianco degli antifranchisti nella guerra di Spagna, militante a Marsiglia nella nascente resistenza francese all’invasione tedesca, nel 1942 acconsente malvolentieri al volere dei genitori che la vogliono negli Stati Uniti, tanto è vero che rientra subito a Londra, incapace di guardare da lontano le sorti della guerra. È l’ultimo energico dono di sé. In quella città muore nel 1943, consumata dalla tubercolosi e dalla passione civile.

Preferirei morire piuttosto che vivere senza la verità: consapevole che la sua vita sarebbe stata breve, si direbbe che l’abbia bruciata tutta nel fuoco di questo desiderio.