Pochi ormai, almeno tra gli under 50, sanno qualcosa di Ada Negri. E quel poco che sanno lo devono allo sbiadito ricordo di un trafiletto letto in qualche antologia tra i banchi di scuola. Gli stessi banchi dove, alcuni decenni prima, le poesie della Negri erano imparate a memoria, assieme ai versi di Dante e di Leopardi. L’amicizia con Mussolini e la stima che il regime le ha riservato valsero, probabilmente, come pretesti che i suoi detrattori usarono per relegarla tra gli intellettuali organici al fascismo. Il professor Pietro Zovatto, autore del recente L’Itinerario Spirituale di Ada Negri, oltre a dimostrare quanto fossero infondate le ragioni della sua damnatio memoriae, ci aiuta a comprendere le profonde intuizioni, il portato e l’eredità culturali, per le generazioni immediatamente successive, della scrittrice.



Professor Zovatto, quale fu il percorso spirituale di Ada Negri?

Ada Negri (1870-1945) di Lodi, figlia d’una umile e laboriosa tessitrice, proveniva dal cosiddetto ceto proletario. La madre si sacrificò fino all’eroismo per farla studiare e compiere così il salto qualitativo sociale che l’avrebbe immessa nella classe “intellettuale” del tempo.



La prima tappa del suo percorso è quella che la individua come socialista a Milano, con colleghi di partito quali Turati e il primo Mussolini. Quello della Negri era un socialismo lirico e umanitario, senza supporto di ideologie. Subì quindi una lenta progressiva evoluzione e la sua produzione poetica passò da Fatalità (1892) – un insieme di slogan scontati di propaganda socialista – ad un impegno più approfondito, rivolto alla società civile, incentrato, con un tono pensoso, sul problema sociale, con una particolare sensibilità ai diseredati e ai miserabili.

Poi qualcosa è cambiato



Di qui passò a una fase di umanesimo intenso e commosso con Maternità (1904), in cui esaltava il ruolo universale della madre sotto il profilo spirituale ed educativo. Infine, la fase più specificatamente mistica, in cui esprime l’esperienza intima del divino che provoca in lei vibrazioni di alti pensieri sulla sorte dell’umanità intera, quando l’Italia era stata travolta in una tragica quanto esecrabile guerra dalla politica avventurosa del fascismo.

Quali sono i tratti specifici della sua produzione?

La sua poesia andò via via affinandosi, sotto il profilo formale, grazie alle influenze di Carducci, del Fogazzaro e del D’Annunzio. Ma, soprattutto, la Negri rivelò una commozione estetica particolare, legata alla sua fine sensibilità di donna, quando accostò anche la Sacra Scrittura e l’agiografia delle mistiche classiche. La sua caratteristica predominante fu quella di aver raggiunto, nella maturità, una consapevolezza artistica e una senso del divino uniti indissolubilmente all’ispirazione poetica. Era l’arte che s’imponeva con la sua magia cattivante, divenendo spontaneamente paradigma di vita umana e di testimonianza cristiana della vita.

In che termini emerge più radicalmente la sua concezione della trascendenza?

 

Nei termini della pienezza artistica in sintesi armoniosa con l’afflato religioso, trasfigurata nella preghiera ai più alti livelli mistici che la poesia italiana abbia raggiunto, anche quando tocca l’umile vicenda del quotidiano. Come Clemente Rebora, suo conterraneo, e come padre David Maria Turoldo nei loro componimenti lirici d’ispirazione sacra.

 

Come ha inciso sulle generazioni successive?

 

Un ruolo didattico specifico della poesia della Negri lo si può rinvenire nei manuali scolastici che fino agli anni Cinquanta si trovavano nelle scuole. Per coincidenza fortuita furono le maestrine d’Italia, sue colleghe, a educare le nuove generazioni, e il suo magistero lo si trova diffuso anche nei banchi della scuola secondaria. Il suo influsso si blocca subito dopo la seconda metà del secolo scorso, segno del mutato clima culturale. La sua prosa, tuttavia, fu molto apprezzata anche da chi non la stimava come poetessa, come Cesare Pavese. Un suo importante estimatore fu il raffinato letterato e saggista don Giuseppe de Luca, che nel 1942 le voleva commissionare una Vita di Cristo, al di fuori degli schemi edificanti abituali: «Una vita di Cristo non al modo delle usuali, ma sul ciclo liturgico e cioè nel cuore degli uomini e nella luce delle stagioni. Con quell’umanità che è vostra, così dolente e così forte, così intima, e così alta; con quel sentimento degli uomini e della natura; con quel segreto palpitare del cuore, come acqua notturna, verso Cristo tanto presente e tanto assente al cuor nostro, così vicino e così lontano, così dentro e così fuori». Ha influito anche su don Luigi Giussani che, nelle sue conferenze alla Gioventù studentesca del primo periodo, a Milano, spesso citava la sua poesia religiosa densa di valori umani e cristiani e pedagogicamente efficace, per integrare con il bello del sacro l’austera radicalità evangelica.

 

Che considerazione aveva della poetessa il mondo culturale dell’epoca?

 

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La sua produzione ottenne subito un grande successo, strepitoso per una maestrina poco più che ventenne di un paesino come Motta Visconti. Fu l’editore triestino operante a Milano, il Treves (il Mondadori del momento, che pubblicava anche D’Annunzio) a dare alle stampe la sua prima opera, che superò subito le venti edizioni. Provocando in questo modo l’invidia di Benedetto Croce, che vedeva in lei un successo immeritato, poiché la sua poesia non coincideva con i suoi canoni estetici, quelli della “poesia pura”, un poetare svincolato da ogni impegno “missionario” di intervento contingente. E pure Pirandello si era adombrato di tanto successo, divenendo suo detrattore.

 

Ada Negri viene spesso descritta come intellettuale organica al regime fascista. Lo era effettivamente o si tratta di un’etichetta attribuita alla poetessa dai suoi detrattori?

 

Di Mussolini conservava l’amicizia della prima fase socialista (sul cui socialismo Renzo De Felice ha lasciato un lavoro notevole). Ella per temperamento non obliava mai i sodalizi amicali, iniziati con la condivisione degli ideali sociali quand’era a Milano. Certo il regime fascista la scelse quale membro della Reale Accademia d’Italia – unica donna di quel consesso elitario – e le conferì il premio Mussolini, poiché per poco aveva mancato il Nobel, che andò invece a Grazia Deledda. Rimase, tuttavia, aliena da ogni tipo di politica militante fascista, sempre assorbita con dedizione totale al suo lavoro d’artista. Il Comes, che pubblicò la sua corrispondenza con Mussolini, non poté certo dimostrare che ella partecipasse o ispirasse la politica del capo del governo fascista. Difficilmente si può affermare che fosse intellettuale conformista del regime. Nessun scritto la vede esaltare il Duce, così com’era costume diffuso della retorica del tempo. Anzi ella, dall’epistolario pubblicato dall’Itinerario spirituale, è drammaticamente sofferente per la guerra disastrosa innescata dal regime. Politicamente intuiva il grande groviglio di problemi futuri che si sarebbero generati – a conflitto terminato – dalla volontà di riappacificare gli animi dell’Italia divisa in due, e temeva per la sua stessa sorte. Morì tre mesi prima del 25 aprile 1945, quasi certamente per l’angoscia di vedere l’Italia dilacerata e disfatta sotto il profilo morale e materiale. Non poteva prevedere l’opera lungimirante di ricostruzione civile e diplomatica di Alcide De Gasperi.