Opera di capitale importanza nella scholarship cinematografica italiana (e americana, a giudicare dal successo della traduzione per la Columbia University Press e delle visiting professorships di Casetti a Yale e Berkeley), l’occhio del novecento è allo stesso tempo un eccellente manuale di metodologia critica per lo studio del cinema e una sintesi brillante di come lo sguardo cinematografico abbia recepito e plasmato l’esperienza della modernità nel Novecento.



Il primo grande contributo del libro è a livello metodologico. Lungi dal rivolgersi esclusivamente ad un’autorità teorica o a una catalogazione storica e sistematica della produzione filmica dall’esterno, la risposta alla domanda fondamentale quid est cinema? si snoda piuttosto dall’interno, attraverso la discussione delle “glosse” dei film e della critica, di piccoli momenti cioè “attraverso cui il cinema ha sviluppato un commento diretto o indiretto su se stesso, non per il piacere di parlarsi addosso, ma per trovare una propria definizione”. La discussione dei vari aspetti che compongono l’esperienza cinematografica (l’inquadratura, il rapporto tra soggettività e oggettività dell’immagine, tra macchina e uomo, la formazione di un immaginario e la posizione dello spettatore) è condotta perciò per exempla dal di dentro del discorso cinematografico, ora attraverso la presentazione contestualizzata di scene o film esemplari, ora attraverso la messa in relazione del discorso critico sul cinema con l’autocoscienza espressa dalle immagini filmiche. La trattazione – didattica ma mai pedante – è sempre rivolta a mettere in luce sia gli elementi ideologici sottostanti alle varie tecniche di inquadratura o di visione, che i segni cinematografici di una rinegoziazione della vita moderna: nell’uso della macchina (che con la sua capacità di montaggio e riproduzione modifica l’assetto stesso della realtà), nella gestione dello “sguardo eccitato” del cinema (che ripropone la scioccante intensificazione di stimoli della vita moderna, organizzandola e veicolandola dentro i limiti di una buona emozione) e nella funzione modellante di una massa (dentro la fusione tra soggetto scopico e soggetto sociale che avviene nella sala di proiezione).



 

Il secondo grande contributo del libro consiste nella profondità di lettura attraverso cui Casetti osserva il rapporto tra cinema e modernità: che tipo di sguardo ha creato il cinema e come il cinema riflette il pensiero della modernità. Nel suo essere un luogo di raccolta e rappresentazione di informazioni (medium) per un vasto pubblico, il cinema è stato certamente un mezzo in grado di creare un sistema di relazioni e un linguaggio universale, e nel suo essere luogo della messa in forma di riti e della riscrittura di miti vecchi e nuovi, esso è stato certamente un fattore determinante nel creare dei modelli universali di interpretazione della realtà. Tuttavia la caratteristica che, a parere dell’autore, è stata più incisiva nello specchiare e riformulare il pensiero della modernità consiste nella capacità dialogica del cinema di negoziare un pensiero universale e di ricercare un compromesso tra i contrari della realtà. Il carattere fondamentale del cinema consiste dunque per Casetti nel suo “sguardo ossimorico”, a metà strada tra frammento e totalità, tra soggettività e oggettività, tra macchina e uomo, tra eccitazione e ordine, tra immersività e distacco: in un lavoro assiduo ed ininterrotto di confronto e ricomposizione, l’occhio del cinema è infatti l’unico infatti in grado di «operare su fronti contrapposti riuscendo nel contempo però anche a compenetrarli tra loro». In tal senso, come sguardo “sincretico”, capace di dar evidenza, chiarire e avvicinare posizioni distanti per individuare nuove soluzioni praticabili, il cinema non solo si costituisce come un pensiero e una libera disciplina, ma anche come il luogo privilegiato per veicolare l’autocoscienza della modernità.



Alla luce di ciò, l’interpretazione casettiana del cinema come parte integrante della modernità si pone come un interessante punto di lettura anche del fenomeno cinematografico odierno, giunto ormai – con l’età del multimediale e dell’interattivo, con l’emergere di nuove tecnologie di produzione e consumo dell’immagine (DVD; pay per view, on demand), con la crisi della sala e delle vendite- a definirsi come “cinema due”. Questa interpretazione, insieme all’accurata lettura del secolo appena passato, si connota anche come una chiamata verso una rinnovata negoziazione della natura e del ruolo del cinema nel secolo appena cominciato.