Il grande teologo francese Henri de Lubac (1896-1991) è stato uno dei protagonisti del Concilio Vaticano II. In questi giorni Jaca Book ha pubblicato i suoi diari del periodo conciliare, così ricco e pieno di fermenti. Abbiamo posto qualche domanda al curatore dell’edizione italiana, Elio Guerriero.

De Lubac dice di aver appreso con sorpresa dai giornali di essere stato nominato “perito” della fase preparatoria del Concilio. Come mai questa sorpresa? Cos’è esattamente un perito conciliare?



La sorpresa derivava dal fatto che a partire dagli anni ’50 de Lubac era considerato come un eretico per la sua visione del soprannaturale. Scavalcando la tradizione scolastica relativamente recente, il teologo francese si rifaceva ai padri della Chiesa e alla grande tradizione teologica per la quale vi è un’unica natura, quella dell’uomo di fronte a Dio. Non esistono un ordine naturale e uno soprannaturale autonomi, bensì l’uomo ha dentro di sé il desiderio di Dio e dunque tende al soprannaturale che dona compimento e pienezza alla sua vita. Per queste affermazioni de Lubac venne allontanato dall’insegnamento e sottoposto a severa censura nel suo stesso ordine. Solo nel 1956 ci fu un certo disgelo.

I periti conciliari, scelti dal papa o dai singoli vescovi, erano dei teologi di fiducia che nella fase preparatoria contribuirono a scrivere i documenti. Durante il concilio, invece, aiutavano i vescovi a preparare i loro interventi, partecipavano poi alle varie commissioni incaricate di riscrivere, di rivedere o correggere i singoli testi.

 

Il teologo francese ha partecipato a tutti i lavori del Concilio. Quale è stato il suo apporto principale?

De Lubac contribuì in particolare alla concezione e alla preparazione di quello che papa Benedetto ha definito il documento più importante del Vaticano II: La costituzione sulla divina rivelazione. Alla vigilia del Concilio, in seguito ai progressi della ricerca in campo biblico, si erano formati due fronti apparentemente inconciliabili: da una parte il fronte romano-conservatore che insisteva per affermare che vi sono due fonti (la scrittura e la tradizione) nella formazione e trasmissione della fede. Dall’altra il fronte dei progressisti che tendevano a far propria la posizione protestante che fin dai tempi di Lutero parlava della sola Scrittura come fonte della fede. Dopo aspre battaglie si giunse all’approvazione della Dei Verbum.

Qual era invece l’opinione di de Lubac su questo documento?

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Secondo de Lubac questo documento ha il grande vantaggio di sottrarre il Concilio ad una sorta di monismo ecclesiale e di disporre la Chiesa all’ascolto della parola di Dio. Questa acquistava un posto unico nella formazione e trasmissione della fede. La parola di Dio viene, tuttavia, accolta nella Chiesa stessa che la trasmette per tradizione. De Lubac diede poi dei contributi significativi anche alla Costituzione sulla Chiesa e ai documenti sul dialogo con le altre confessioni cristiane, con le altre religioni, con i non credenti.

 

Cosa raccolgono i due volumi da lei curati? Come mai questi scritti sul periodo conciliare sono stati pubblicati solo dopo quarant’anni, mentre quelli di altri protagonisti sono disponibili da decenni?

 

I due volumi risultano da 6 quaderni nei quali il futuro cardinale riportava gli interventi salienti del papa e dei vescovi in aula. Vi si parla anche dei numerosi incontri: con Karol Wojtyla, con Joseph Ratzinger e tanti altri. De Lubac, tuttavia, era una persona attenta e curiosa. Egli parla anche di visite ai monumenti di Roma, di incontri all’ambasciata di Francia o presso cardinali e intellettuali. Insomma uno spaccato della vita effervescente e brillante a Roma, in Italia, in Francia nei primi anni ’60. Quanto all’attesa non c’è da meravigliarsi considerando la discrezione del cardinale. Addirittura egli era restio a pubblicare un testo che all’inizio era un documento strettamente privato. Sono state le autorità dell’ordine dei gesuiti, eredi letterari del padre, a prendere la decisione, vista la rilevanza dell’opera.

 

De Lubac ha espresso perplessità su alcuni aspetti dell’attuazione del Concilio. Quali erano le sue preoccupazioni?

 

Già durante la terza e quarta sessione (anni 63-64) de Lubac notava nelle aule stesse del Concilio uno spirito di secolarizzazione che preoccupava lui e alcuni vescovi ed esperti più attenti.

L’altra preoccupazione derivava dalla formazione di un fronte, abbastanza consistente, che mirava ad andare oltre la lettera del concilio in una sorta di parlamentarismo ad oltranza. Si voleva una Chiesa democratica con il diritto di ogni comunità a scegliere il proprio vescovo e così via. Qui si levarono le voci potenti dello stesso de Lubac, di Congar, Ratzinger ed altri a ricordare che la Chiesa è l’assemblea dei convocati da Dio che si riunisce intorno all’Eucarestia che, a sua volta, è un dono.

In ogni caso a conclusione dei Quaderni de Lubac è grato per l’evento conciliare. Traccia un quadro favorevole di quanto lo Spirito ha voluto donare alla Chiesa in quegli anni e può cantare con profondo spirito di consenso e partecipazione il Te Deum conclusivo intonato da Paolo VI.