Nell’estate dell’80 a Danzica il movimento operaio si sgancia dalla soggezione ideologica al marxismo e rinasce nell’esperienza della solidarietà. Il sogno polacco dura 16 mesi, fino al colpo di mano militare che con il pretesto della «salvezza nazionale» trasforma il sogno in incubo: il 13 dicembre 1981 Jaruzelski impone la legge marziale, che resta in vigore fino all’estate dell’83.



Intanto tra il 1982 e l’84, nella chiesa di San Stanislao Kostka a Varsavia, don Jerzy Popieluszko all’ultima domenica del mese celebra la «Messa per la patria», cui partecipano fedeli da tutta la Polonia. Le sue omelie, in cui si richiama all’insegnamento di Giovanni Paolo II e del cardinal Wyszsynski, sono improntate al motto: «Vincere il male con il bene». Per le autorità comuniste don Jerzy è un ostacolo al «processo di normalizzazione»: «L’atteggiamento di Popieluszko e il clima da lui creato, trasformano l’assembramento religioso in una manifestazione politica che minaccia l’ordine e la sicurezza della capitale», scrive il segretario dell’Ufficio Affari Religiosi all’arcivescovo Dabrowski, sollecitando la gerarchia ad intervenire.



Già da qualche mese don Jerzy è oggetto di «interessamento» da parte della polizia. Non bastano gli atti di vandalismo, gli interrogatori, le perquisizioni: nell’ottobre ’84 lungo la strada che da Bydgoszcz porta a Torun, la sua auto viene fermata, lui rapito e massacrato da tre ufficiali dello «squadrone della morte» noto come Gruppo «D». L’omicidio non passa sotto silenzio grazie alla denuncia dell’autista di padre Jerzy che riesce a scappare. Il processo, svoltosi davanti alle telecamere nel gennaio ’85, è manovrato ad arte: il procuratore e il principale accusato fanno a gara per far apparire la Chiesa e don Jerzy come istigatori della tensione sociale, e il caso viene riletto politicamente come il tentativo di scalzare Jaruzelski dal piedestallo del «pacificatore».



 

La politica comunista di quegli anni verso la Chiesa passa dal compromesso, utile per evitare un’incontrollabile escalation sociale, a una nuova offensiva che comprende sia la guerra ai crocefissi nelle scuole, sia l’aggressione fisica ai sacerdoti e ai loro fedeli, come si vede anche in alcune drammatiche sequenze del film dedicato a don Jerzy. Dal canto suo, se la Chiesa non spinge a salire sulle barricate, non ha nemmeno l’intenzione di legittimare gli autori dell’«autoinvasione», ed è in attesa della visita del papa.

Il fatto che la Polonia fosse considerata una delle baracche più allegre del campo socialista, non deve trarre in inganno. La lotta antireligiosa e il controllo statale capillare sulle confessioni iniziano già alla fine del ’44 con l’istituzione di una struttura ad hoc presso il Ministero degli interni (poi Reparto IV), diretta per oltre un decennio dalla pasionaria Julia Brystygier (Dio ha il senso dell’umorismo: prima di morire, grazie ad alcune suore francescane, la Brystygier si fece battezzare).

La lotta antireligiosa implica il controllo delle attività della Chiesa, la raccolta di notizie, l’ingerenza, il reclutamento di informatori, la creazione di associazioni religiose filogovernative con relativi organi di stampa, gli sforzi per creare attriti e spaccature all’interno della Chiesa, la liquidazione degli ordini religiosi.

Gli anni 1951-53 costituiscono il biennio nero: oltre ad alcuni vescovi, viene arrestato il primate Wyszynski e la religione è bandita dalle scuole. L’offensiva antireligiosa rallenta durante il «disgelo» del ’56 per riprendere a pieno ritmo subito dopo. Negli anni ’60 il Reparto IV controlla i pellegrinaggi a Jasna Góra, la preparazione del Millennio del Battesimo del paese, e rafforza la propaganda in concomitanza con i lavori del Concilio. Negli anni ’70, durante l’epoca Gierek, da un lato le autorità comuniste sbandierano la necessità di trovare un modus vivendi con la Chiesa, dall’altro continuano nell’attività antireligiosa.

 

 

Nel novembre 1973, su disposizione del ministro degli interni Kowalczyk, viene creato il Gruppo «D», nucleo operativo segreto con compiti di attività non ordinaria («disinformazione» e «disintegrazione») contro la Chiesa cattolica, alle dirette dipendenze del capo del Reparto IV. Il Gruppo «D» si occupa non solo della diffusione di lettere anonime, materiali compromettenti e diffamatori contro la Chiesa, ma gestisce anche gruppi di contestatori, organizza raid contro i pellegrini e i sacerdoti con pestaggi, danneggiamenti, rapimenti, aggressioni, incendi dolosi, omicidi. Negli anni 1982-89, oltre a Popieluszko, altri 7 sacerdoti vengono uccisi in circostanze oscure.

Del Gruppo «D» fanno parte anche i tre ufficiali che uccisero don Jerzy: Grzegorz Piotrowski (1951), Waldemar Chmielewski (1955) e Leszek Pekala (1952). Il primo, condannato a 25 anni, ha goduto dell’amnistia e, rimesso in libertà nel 2001, ha collaborato a un settimanale anticlericale. Anche Chmielewski, condannato a 14 anni, ha beneficiato dell’amnistia; uscito di prigione nell’89, ha cambiato identità. Pekala, condannato a 15 anni, è in libertà dal 1990.

Il 19 ottobre scorso i procuratori dell’Istituto per la Memoria nazionale hanno avviato un’indagine sulla morte di don Jerzy nell’ambito di un procedimento più ampio riguardante l’attività, tra il ‘56 e l’89, di strutture non ordinarie del Ministero degli interni che hanno commesso crimini «contro il popolo polacco», compreso l’omicidio di religiosi e avversari politici.