A venti anni dalla caduta del Muro di Berlino, è ancora valida l’osservazione del sociologo Ralf Dahrendorf: «Il 1989 non rappresenta nella coscienza degli intellettuali tedeschi una svolta così netta come per quelli del resto di Europa, e cioè un momento in cui celebrare il trionfo della società aperta». La Germania ha ancora difficoltà ad affrontare la portata di quanto è successo, anche perché proprio i passati regimi totalitari, il nazionalsocialismo come il comunismo, coprivano il loro vuoto di contenuto con un pathos ipertrofico. Così regna tuttora una diffusa ironia di fronte alla storia e una sfiducia in ogni fatto storico, pur positivo.
Dopo venti anni dalla caduta del Muro, non c’è ancora nessun monumento che ricordi la riunificazione, né la rivoluzione pacifica. Finalmente il Parlamento ha ora deciso che se ne erigeranno due: uno a Lipsia, davanti alla chiesa di San Nicola per ricordare la “Manifestazione del Lunedì”, l’altro nel cuore della città vecchia di Berlino, la nuova capitale, nella piazza di fronte al castello. Per la verità, si dovrà prima ricostruire il castello nel luogo dove c’era il Parlamento della Repubblica Democratica e dove ora cresce l’erba.
L’unità esterna è stata raggiunta da tempo, quella interiore ha ancora bisogno di tempo. Per molti tedeschi occidentali il 1989/90 significa solo il ritorno della DDR nel normale programma di sviluppo democratico dei vecchi Länder occidentali. Per converso, nella parte orientale molti vivono la riconquistata libertà come un regalo infausto, perché ha portato con sé la perdita di presunte sicurezze e la possibilità di inchieste sulla propria biografia.
Un altro aspetto da chiarire è il successo nei nuovi Länder del partito considerato il successore della SED (il partito socialista unificato al governo della DDR). Infatti, proprio nel ventesimo anno dalla caduta del Muro, con un accordo con la SPD il Partito della Sinistra (Die Linke) è entrato nel governo del Brandeburgo, il secondo governo regionale in cui è presente, dopo il Senato di Berlino.
Anche le ricostruzioni storiche sono ancora diverse tra Ovest ed Est. Un commentatore, nato in Germania orientale, sul settimanale Die Zeit ha descritto come “segnale fatale” il fatto che la Fondazione Konrad Adenauer, vicina alla CDU, avesse invitato per le celebrazioni della caduta del Muro i tre “Padri dell’unità”, George Bush Senior, Michael Gorbaciov e Helmut Kohl. La storia che ha cambiato il mondo non sarebbe opera di statisti, ma è stata fatta allora nelle strade della DDR e sul Muro di Berlino.
Cresce nondimeno la coscienza che l’opera degli statisti non può essere separata da ciò che avvenne nelle strade, tanto quanto non si possono dividere le due parti della Germania riunificata, per dirla con Willy Brandt: «Cresce insieme ciò che insieme appartiene». Il presidente della repubblica Horst Köhler vi ha accennato nel suo discorso sui tre “Padri dell’unità:” Senza dubbio il popolo ha premuto per la libertà, ma questi tre uomini, in questo momento straordinario della storia che è stato il 1989/90, con la loro politica «delle porte aperte avrebbero cambiato la carta geografica dell’Europa e regalato al mondo opportunità e compiti del tutto nuovi».
Kohl era consapevole quanto nessun altro dell’importanza di quel momento per la storia del mondo, così come del pericolo di un fallimento, e ha riconosciuto che: «avrebbe potuto finire in tutt’altro modo. É stato anche un regalo». E gli era anche chiaro che, sulla base della storia passata della Germania, nessuno dei grandi vicini europei sarebbe stato felice della riunione di 80 milioni di tedeschi nel cuore dell’Europa. Proprio per questo ha posto la riunificazione tedesca nell’ambito del rafforzamento dell’integrazione europea ed è segno della levatura della sua capacità diplomatica l’essere riuscito a ottenere la riunificazione senza far uscire la Germania dalla Nato.
Il presidente Köhler ha ricordato nel suo discorso il motivo profondo di questa azione politica: tutti tre i protagonisti appartenevano ad una generazione che aveva vissuto di persona gli orrori della guerra e della dittatura. Il fratello di Kohl è morto in guerra e Bush è stato al tempo uno dei più giovani piloti di bombardieri dell’aviazione americana. Per il Cancelliere dell’unità si è trattato quindi della costruzione di uno stabile ordine pacifico in Europa, pienamente nello spirito di De Gasperi, Schumann e Adenauer, per cui non vi è alcuna vacua retorica nell’affermazione di Kohl: “Il cielo ci ha aiutato.”
Per un’adeguata comprensione della rivoluzione pacifica occorre tener conto anche del fondamentale ruolo della Polonia e del Papa polacco, Karol Wojtiła, «colui che ha aperto la porta della libertà», come ha detto Kohl. Perciò, quando il 9 novembre la Cancelliera Angela Merkel insieme ai capi di Stato e di governo europei celebrerà il Giubileo, ci saranno anche rappresentanti della rivoluzione pacifica nella DDR e il premio Nobel per la pace Lech Walęsa, già leader del sindacato libero Solidarnosch.
I tedeschi potranno forse un giorno capire e recuperare il 1989 come la rivoluzione fondatrice della loro democrazia, ma per la storia del mondo da molto tempo questo anno rappresenta la fine della Guerra Fredda e una pietra miliare epocale nella costruzione in Europa di un progetto di pace e di libertà che si spera duraturo.
(Christoph Scholz)