Fino a pochi anni fa conoscere le sue opere era appannaggio di una sola certa cultura, emarginata da quella per così dire “ufficiale”. Buzzati scrittore eretico, lunatico, complessato, paranoico e naif. Se ne sono sentite di tutti i colori. La sua opera è stata in un primo tempo avversata ed evitata quasi a ridurlo autore di un genere clandestino, da samizdat. Una sorte che, qui in Italia, continua a toccare molti altri artisti del passato come Santucci, Papini o Landolfi, autori stranieri (Chesterton) e viventi (Eugenio Corti). Da qualche tempo a questa parte sembra però scoppiata la “buzzatimania” considerando la vasta mole di eventi, mostre, convegni e pubblicazioni dedicate all’opera di questo scrittore la cui popolarità in Francia, da decenni, gareggia addirittura con quella di Camus. Col rischio che gli stessi che cercarono di censurarne il valore lo ripresentino al pubblico storpiandone i contenuti più profondi. Ora è la volta dei quarant’anni del “Poema a Fumetti”. Per non correre il suddetto pericolo, ci siamo rivolti a Fausto Gianfranceschi, uno studioso di Buzzati fin da tempi “non sospetti”.
Dottor Gianfranceschi, sembra che Dino Buzzati fosse piuttosto schivo nel parlare delle proprie opere pittoriche, quasi come se se ne vergognasse. Che rapporto aveva Buzzati con la pittura e l’arte figurativa?
Buzzati, a dire il vero, era ritroso in tutti i sensi, non soltanto per la pittura. Era un personaggio molto molto riservato, tant’è che al Corriere della Sera fu la sua bravura di cronista a salvarlo e non il suo carattere. Di primo acchito poteva venire considerato addirittura un po’ tonto, sicuramente un uomo strano. La sua riservatezza e timidezza altro non erano che galanteria, frutto di una vera educazione signorile. Per questo motivo all’interno della redazione di un giornale figurava come un pesce fuor d’acqua.
Ma perché proprio sulla pittura sembrava così tanto restio a pronunciarsi?
Probabilmente perché non si sentiva titolare di un’attività che egli svolgeva a latere della sua professione di giornalista e scrittore. Invece è stata un’attività molto importante, l’ha sempre seguita, coltivata. Direi che la visione dei quadri di Buzzati sia imprescindibile per chiunque voglia approcciarsi alla sua opera. Il fumetto, il “Poema a Fumetti” è un fatto ancora più “laterale” in un certo senso. Buzzati si misurò con un’arte non solo differente, ma in piena nascita, in pieno sviluppo. Occorre però aggiungere che da questo confronto ne è uscito magnificamente. (vai a pagina 2)
Stando a quanto lei ha appena detto sembra che letteratura e pittura nell’opera di Dino Buzzati si compenetrino. C’è un elemento che prevale fra i due termini della sua espressione artistica?
Buzzati era in primo luogo un poeta, in senso letterario e non pittorico. E la sua poesia si trasmetteva anche nell’opera pittorica. Fondamentalmente era però un cultore della parola, dell’immaginazione e del surreale. La ricerca letteraria in questo senso precede e offre una base sostanziale nell’impegno pittorico. Egli non frequentò mai accademie o corsi di disegno. Ha sempre e solo disegnato per sua passione personale divenendo autodidatta. Lo stesso cammino di autodidatta si può benissimo vedere nella sua scrittura che ha tutti i connotati di un’originalità spontanea. D’altra parte sono gli scrittori che creano le accademie così come sono i veri artisti che creano le scuole d’arte.
E veniamo al Poema a Fumetti. Una rivisitazione in chiave moderna del mito di Orfeo ed Euridice, dove due personaggi, Orfi ed Eura appunto, si inseguono nei tortuosi meandri di una Milano surreale. Cosa significa quest’opera all’interno del Buzzati-pensiero?
Il Poema a Fumetti non si discosta poi molto dal pensiero dominante, o dai pensieri dominanti, di Dino Buzzati. Egli ha sempre visto la vita non sotto forma di realismo spicciolo, di materialismo, bensì ha sempre considerato la vita come il disvelarsi nella realtà di grandi miti. I miti vengono prima della realtà. Attenzione, non si parla di un sognatore, ma di un uomo in costante ricerca dei significati nascosti dietro l’apparenza delle cose così come appaiono. Significati mitici appunto. E così anche il Poema a Fumetti non ha fatto altro che seguire la sua vocazione di lettura della realtà in forma surreale.
In un certo senso è un’osservazione superiore rispetto alla percezione quotidiana delle cose.
Il Poema a Fumetti è un’estremizzazione, rappresenta la polarità contraria a quella della modernità. Ed è per questo che la rivisitazione è in chiave moderna. Buzzati sfida la modernità sempre. Sfida la tendenza odierna ad appiattire tutto, a cancellare le forme misteriose del vivere quotidiano. Non si tratta di narrativa psichedelica o visionaria, quanto di una presa d’atto del mistero che avvolge la vita e che la tecnica, la velocità non riescono a coprire. Lui sentiva la necessità del mito, è la sua vocazione. Tutti i suoi racconti sono miti peraltro ricavati anche dalla cultura orientale. Non dimentichiamo che era un grande lettore de “Le mille e una notte”.
Un’ossessione che caratterizza questo scrittore sembra essere quella delle altezze e delle vette. Trova che Buzzati provasse lo stesso sentimento nell’accomunare le vette naturali con le altezze edificate nella Milano degli anni ’50/’60?
Il duomo dipinto da Buzzati è esattamente una sintesi di questo concetto. Un duomo ridotto a montagne. C’è sì una vocazione, più che un’ossessione, per le vette e le altezze, e la relativa trasposizione nella grafica, la passione per la montagna. Milano e il bellunese erano i suoi luoghi, gli ambienti nei quali si trovava a casa. In un certo senso questo anelito alla vetta rappresenta l’osservazione superiore di cui parlavo prima. I veri cultori delle vette considerano la scalata come una possibilità per guardare la realtà in tutti i suoi aspetti.
La donna viene sempre rappresentata attraverso tratti particolarmente sensuali. Che rapporto aveva Buzzati con il gentil sesso?
Questa è una domanda sulla quale potremmo soffermarci per anni. Penso che chi abbia letto “Un Amore” se ne sia fatta un’idea abbastanza esauriente. Mi ricordo che una volta che andai a trovarlo mi confidò che questo romanzo era quasi totalmente autobiografico. Buzzati non aveva un rapporto particolarmente problematico con le donne. Piuttosto le percepiva come polarità opposta assoluta agli uomini. Quindi anche come un pericolo. Per un uomo vero la donna vera può essere anche pericolosa.
E dell’amore in sé che idea aveva?
Un’idea che non poteva prescindere dall’affetto per il gentil sesso. Un’idea quindi non sacerdotale. Ma questo non significa che la sua concezione escludesse la dimensione metafisica dell’affettività. Inconsciamente anche il suo amore per donne “da poco”, rappresentava un amore stilnovista. Nella sostanza nel rapporto c’era qualcosa che era al di sopra della mera sensualità. Non vorrei dipingerlo come il rappresentante di un cliché trasgressivo e romantico. Piuttosto convivevano il lui il bisogno di un amore infinito e di un rapporto meramente carnale. In poche parole egli visse in maniera tormentata la ricerca del mistero anche nel rapporto con le donne della sua vita.
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I MIRACOLI DI VALMOREL
Fra le varie opere raffigurative di Buzzati non può non essere citata quella dei "Racconti di Valmorel", nei quali l’autore si immagina la ricerca di un fantomatico santuario dedicato a Santa Rita. Lo troverà ricolmo di straordinari ex-voto la cui raffigurazione è opera dello scrittore. Interessante è, oltre alla straordinaria capacità immaginativa, il ruolo di costante protezione Santa verso i fedeli a prescindere dal tipo di minacce sataniche o tecnologiche, moderne o medievali di cui sono vittime. Il video, preso da YouTube, è un filmato amatoriale in cui si mostra la splendida raccolta di queste immagini accompagnata dalle note di Mussorsgky in "Una notte sul Monte Calvo"