Uno dei momenti più crudi della storia russa, il regime di terrore instaurato a metà del XVI secolo da Ivan il Terribile, è oggi al centro di un dibattito sul potere e le sue legittimazioni. A innescarlo è stato il nuovo film di Pavel Lungin, intitolato lapidariamente Zar e dedicato al rapporto tra Ivan e il metropolita Filipp, che il sovrano fece allontanare e successivamente uccidere per la sua posizione irriducibile nei confronti del regime e delle sue atrocità. Il film, presentato a Cannes e al 31° Festival internazionale del cinema di Mosca, è uscito in Russia sugli schermi il 4 novembre, ma aveva suscitato polemiche fin dal suo apparire, in maggio: in particolare, l’hanno criticato duramente i gruppi fondamentalisti e ultraortodossi (l’«Unione dei vessilliferi» è arrivata a organizzare picchetti e autodafé del film, bruciandone pubblicamente dischi e cartelloni pubblicitari), perché Zar – paragonabile secondo alcuni ideologi al Codice da Vinci e alle esibizioni di Madonna – rappresenterebbe una congiura contro la Russia e la sua grandezza.



In realtà, oltre ad essere un regista di indubbio talento, Lungin conferma con questo film di avere un’acuta percezione dei processi in atto nella società: i suoi film sono metafore dei passaggi nodali vissuti dalla società russa negli ultimi trent’anni, da Taxi blues (gli ultimi conati del mondo sovietico), a L’oligarca e Le nozze (la perestrojka e gli anni di transizione), fino a L’isola (il ritorno della problematica religiosa nella società), che in Russia è stato un vero e proprio «plebiscito» – come l’ha definito un acuto commentatore – perché ha saputo evidentemente cogliere inquietudini ed interrogativi presenti in larghi strati della popolazione (grazie alla San Paolo, il film è arrivato anche sugli schermi italiani).



Anche Zar è molto più che un film storico: è una metafora abbastanza trasparente del bivio a cui si trova oggi la società russa – la via della violenza, dell’illibertà giustificata dal sogno di una grandezza imperiale, perseguita da Ivan il Terribile, oppure la strada della misericordia e del rischio sulla libertà dell’uomo, invocata dal metropolita Filipp.

 

Lo stesso regista, nel corso di una vivace tavola rotonda organizzata dal quotidiano «Izvestija» ha ribadito che la vicenda descritta nel film smonta un mito largamente diffuso in Russia, secondo cui «i tiranni sono i migliori governanti per la Russia, e il progresso si ottiene solo a prezzo di sangue». In realtà, sottolinea Lungin, la storia insegna che «ogni Ivan il Terribile ha avuto il suo Filipp», e proprio questa «dicotomia ha costituito il perno della vita interiore della Russia», le ha permesso ogni volta di riprendersi. Sono evidenti, infatti, le conseguenze distruttive del governo di Ivan, cui non a caso seguì l’Epoca dei Torbidi.



Il mito del «pugno di ferro», ha proseguito Lungin, «il mito secondo cui la Russia ha bisogno della frusta, è vivo anche oggi, e impedisce lo sviluppo di una società democratica». Drammatico il finale del film: se intorno alla salma di Filipp, giustiziato, continuano a fiorire, insieme alla persecuzioni, la vita e la comunione, lo zar si trova solo, nel cortile deserto e coperto di neve («Ma dov’è il mio popolo?», il film si chiude con questa battuta di Ivan). Un film, dunque, sulla santità come energia che rinnova la vita; una santità che è continuamente dialogo con il reale, adesione agli indizi che Dio vi fa trasparire e quindi intelligenza dell’umano, mentre ciò che caratterizza Ivan il Terribile è l’incapacità di aprirsi all’alterità (anche le sue lunghe preghiere non sono che un esasperato ed esasperante monologo).

Da più parti si vede nel film anche una risposta all’insistente riaffiorare del culto dello stalinismo, come ha sottolineato tra gli altri lo storico Nikolaj Svanidze: «Stalin viene sentito come l’alter ego, la reincarnazione di Ivan il Terribile.

 

 

Le discussioni su Ivan IV in realtà vertono su Stalin, è lui che difendiamo difendendo lo zar». Al’fred Koch ha letto nel film di Lungin una «parabola» dello scacchiere odierno: se la sanguinosa spedizione contro Novgorod fu giustificata da Ivan il Terribile con la necessità di reprimere le tendenze separatiste, anche oggi le autorità russe «ci mettono paura con lo spauracchio della disgregazione del paese», oppure «fanno mostra di agire con motivazioni cristiane», mentre in realtà seguono semplicemente i propri interessi.

Nel metropolita martire Filipp la Chiesa mostra appunto la propria irriducibilità all’ideologia, indica un’altra strada, umana e feconda, percorribile da tutti e in cui ciascuno – la bambina «innocente» che ferma l’orso inferocito con un’icona, come il boiaro che riscatta sotto tortura una vita di compromessi – può diventare testimone della Presenza che compie l’uomo e il mondo.