Due mi sembra che siano le idee fondamentali che Carron ci vuole trasmettere, ripresentando e commentando il pensiero di don Giussani.
La prima riguarda la struttura ontologica della persona umana. L’uomo è un essere fatto per la comunione con gli altri uomini. Dice Péguy (che don Giussani citava spesso) che la libertà è data per essere donata. La libertà non vive nel vuoto. Ha la funzione di essere donata per costruire comunità.



Quando uno si innamora ha l’esperienza evidente di questa struttura originaria della libertà umana. Senza la persona amata la vita non ha senso e appartenere a lei significa essere più liberi che non appartenerle. Il problema della vita è trovare qualcosa che valga il dono della libertà. Se non c’è nulla che valga il dono della libertà allora la vita è vuota, è alienata. Il destino di una libertà incapace di donarsi o che non trova un oggetto adeguato a cui donarsi è la noia, è il destino degli ignavi di cui parla Dante.



Cosa vale il dono della persona? L’altra persona. Ogni uomo vive l’esperienza della ricerca di una compagnia per la vita come traccia esistenziale del suo cammino nel mondo. La persona è un essere che è vuoto dentro e ha bisogno di essere riempito dalla presenza di un altro. Questo è il contrario della mentalità comune per la quale la libertà è il non appartenere a nessuno, è il non stringere rapporti forti con nessuno, coincide dunque con una solitudine alienata…

Gesù spiega questa struttura ontologica della persona parlando di sé e del Padre: “Chi vede me vede il Padre”. Siamo all’inizio del dogma della Trinità. Come è possibile che due (tre) siano uno? È possibile se l’amore dell’altro è il fondo del mio essere me stesso. Questa struttura ontologica è propria di ogni uomo, ma solo Gesù la afferma con questa radicalità. Continua nelle pagine seguenti…



Dire che l’uomo ha una struttura comunionale è affermare solo la metà della verità. L’altra metà ce la dice Oscar Wilde nella sua Ballata del Carcere di Reading: “Ognuno uccide ciò che ama”. Esiste nell’uomo una intrinseca propensione alla violenza e al tradimento. Ogni uomo vive prima o poi l’esperienza dell’essere tradito da quelli che ama. Ognuno vive l’esperienza ancora più terribile di tradire quelli che ama.

La saggezza di questo mondo dice allora che non vale la pena di innamorarsi e non vale la pena di amare. L’amore, la scoperta della libertà nell’appartenenza, sarebbe allora solo un’illusione. La Chiesa ci dice che questa seconda esperienza del tradimento dell’amore è altrettanto vera come la prima, quella della scoperta dell’amore.

L’uomo ama e l’uomo tradisce ciò che ama. In termini teologici questa è la dottrina del peccato originale. Dire solo la prima metà di questa verità ci lascia preda di un ottimismo e  umanitarismo ingenuo, che deve chiudere gli occhi davanti alla enorme potenza del negativo che si manifesta nella vita. Vedere solo la seconda metà della verità ci lascia preda della disperazione. Gesù entra invece nella storia come una forza che cambia la vita. Continua nelle pagine seguenti…

La presenza del male viene riconosciuta e presa sul serio come mai da nessuno prima. È così forte il male del mondo che esso chiede il sacrificio della vita del Figlio di Dio. Tuttavia il male non ha l’ultima parola: Cristo è risorto e ha vinto la forza del male. Ciò che sostiene davanti alla presenza del male è la forza della sua presenza che vince il mondo. Da qui nasce la possibilità del perdono per se stessi per gli altri.

Prima di qualunque teoria il cristianesimo è l’esperienza di questa forza che entra nella vita. Non è prima di tutto una risposta alla domanda sul perché del male nel mondo. È una forza che consente di attraversare il male del mondo senza esserne travolti. Nella tradizione cattolica questa forza si chiama grazia.