«L’uomo oltraggiato ha le sue tenebre, come la donna». Claudel fa dire così a Pietro di Craon nel prologo dell’Annuncio a Maria.

È notte fonda e il buio è nel cielo, sulla terra e nell’anima. Lui costruttore di cattedrali, lebbroso, parte; lei, che aveva respinto la sua violenza, gli dà l’addio.

Presto l’alba sorge e rischiara le loro figure: lui accetta il suo compito, lei attende l’amore cui sembra destinata. Tutto verrà rovesciato in seguito, ma fermiamoci qui.



Non c’è vita che non abbia patito oltraggio. Bastano a dirlo i fatti di cronaca trasmessi ogni giorno dalla televisione, che resta il mezzo più popolare di informazione: vittime, colpevoli, parenti, tutti devono fare i conti con il colpo inferto al proprio senso di giustizia e con il suo conseguente buio.

Basta anche solo la conoscenza delle persone che hanno sempre vissuto nel proprio quartiere, piccolo paese dentro la grande città, quelle che si incontrano nei negozi, per la strada o in chiesa e di cui si sa quel tanto che basta e si parla ancor meno, più per riserbo che per indifferenza.



Gli schiavi di tutti i tempi, i perseguitati, gli handicappati, i poveri, i vecchi patiscono oltraggio. I mendicanti. I bambini soldato. I disoccupati. Le donne, e non occorre pensare alle martiri o alle prostitute, basta guardare la durezza, la noia, la malcelata tristezza su tanti volti femminili noti e sconosciuti, giovani e più anziani, che nessun trucco riesce a nascondere.

 

Anche numerosi grandi hanno patito oltraggio e a volte esso si è trasfigurato nell’arte.

Il Signore di tutti, Gesù, ha patito oltraggio, nella Passione. Ecce homo, così lo indica Pilato, con la corona di spine e vestito del mantello di porpora. Ma non solo in quei tragici giorni: quanto la sua sensibilità di uomo doveva aver patito l’oltraggio dell’incomprensione e dell’ostilità nei suoi anni terreni.



Siamo dunque in buona compagnia.

La tenebra che accompagna l’oltraggio ha molti nomi: l’orgoglio ferito, la violenza dell’ira, la pretesa della giustizia, la delusione che fiacca la voglia di riprendere progetti e relazioni, il dolore chiuso che si dispera, il lento scivolare nel vizio, la scorza di falsa autodifesa con cui si tenta di parare i colpi, la dimenticanza che avvolge nella nebbia i torti subiti, i tentativi di perdono così fragili e fugaci.

È dentro le tenebre che la voce della Chiesa fa ripetere umilmente con la certezza della verità: «O Dio, Tu sei la mia luce, mio Dio, rischiara le mie tenebre». Ripetere umilmente anche se le tenebre non si diradano e resta la notte.

E attendere con Isaia la venuta della luce: «Farò camminare i ciechi per vie che non conoscono, li guiderò per sentieri sconosciuti; trasformerò davanti a loro le tenebre in luce, i luoghi aspri in pianura».

«Dio è luce e in Lui non c’è tenebra alcuna»: anche nella notte senza stelle il Signore ascolta e prima o poi risponde. Nella notte di Natale, nell’umiltà del presepe, Gesù ci dice tutto.