Augusto Del Noce – del quale si ricorda il decennale della morte, mentre nel 2010 si celebrerà il centenario della nascita – ha avuto uno strano destino dal punto di vista dell’incidenza culturale e politica: durante la sua vita, è stato abbastanza isolato e solitario nel panorama intellettuale e filosofico italiano ed è stato marginale anche rispetto alle correnti dominanti del mondo cattolico (al quale egli pur si sentiva di appartenere intrinsecamente), se si esclude l’accoglienza cordiale, densa di stima e amicizia, ricevuta dal movimento di Comunione e Liberazione e da lui ampiamente ricambiata.



Da alcuni anni, invece, la sua figura e il suo pensiero sono fatti oggetto di studio, danno luogo a molti approfondimenti e ricevono consensi da destra, come da sinistra. Per molto tempo è stato visto, nel bene e nel male, come un ideale Anti-Bobbio, anche se tra i due non c’era certamente animosità, né tampoco inimicizia, al di là delle letture sicuramente differenti della realtà culturale italiana e degli sbocchi filosofici della contemporaneità. Oggi si può dire che il suo isolamento, più che allo stile certamente arduo e complesso o all’erudizione di cui erano intrise le sue pagine, anche quelle che avrebbero dovuto apparire più “leggere”, sia dovuto soprattutto a un fatto: in molte questioni è stato profetico.



In anni in cui il marxismo era ritenuto inevitabilmente vincente, permeava di sé le analisi sociali e politiche ed era ritenuto un ingrediente indispensabile per ogni riflessione culturale, sicché anche molti cattolici, vedendo in esso solo un’eresia cristiana, cercavano vie e forme per un dialogo filosofico e per una (più o meno compromissoria) collaborazione politica, Del Noce, attraverso un’analisi puntuta e implacabile, ne preannunciava la crisi e prevedeva come esito non una società più giusta e solidale, ma un nichilismo consumistico, pago di sé e privo del senso del peccato.

Dei molti spunti, che si potrebbero richiamare per la riflessione attuale, mi limiterò a ricordarne solo alcuni: il metodo di indagine, la valutazione del pensiero moderno e della sua parabola e il giudizio sul marxismo, decisivo per comprendere i successivi sviluppi della società italiana.



Del Noce non appartiene alle tradizionali correnti dei pensatori cristiani, non la neoscolastica e neppure lo spiritualismo, né si cimenta direttamente con i tradizionali problemi della metafisica, quali l’esistenza e la natura di Dio, la spiritualità o l’immortalità dell’anima, ma a tali questioni perviene attraverso un lungo percorso di storia delle idee, in cui cerca di ricostruire le movenze del pensiero moderno o i suoi esiti novecenteschi, adottando un metodo che potremmo definire “essenzialistico”, in quanto nei pensatori e nelle correnti esaminati le sue analisi afferrano la struttura essenziale di fondo e ne colgono le connessioni quasi necessarie con i successivi sviluppi e gli esiti finali, i quali spesso sono contrari a quelli che ci si sarebbe attesi, grazie a un processo che vichianamente viene chiamato di “eterogenesi dei fini”.

 

Egli ricostruisce così evoluzioni di lungo periodo, attento anche alle ricadute politiche e sociali di molte prospettive filosofiche, giacché ritiene che nel Novecento la storia sia diventata storia filosofica, in quanto è stato proprio il marxismo a voler non solo interpretare il mondo, ma anche e finalmente cambiarlo. L’indagine sulla storia diventa, allora, analisi dei motivi teorici e filosofici secondo cui essa va trasformandosi, sicché le considerazioni di Del Noce giungono alle tematiche metafisiche, studiando le impostazioni filosofiche che animano il proprio tempo, ne consentono un’interpretazione e cercano di rispondere ai suoi interrogativi.

Guardando al pensiero moderno e ai suoi inizi con Cartesio, Del Noce rileva come due grandi linee si siano dipartite da quell’origine: una, che è stata dominante ed è più nota, ha portato attraverso razionalismo ed empirismo all’idealismo, e al suo immanentismo, secondo un esito ateistico che il marxismo ha esplicitato e tentato di realizzare. Un’altra linea, più marginale e meno nota, conserva però aspetti capaci di trasmettere e approfondire un messaggio assai diverso: essa passa per Malebranche, Pascal, Vico e perviene a Rosmini e a un umanesimo cristiano, attento alla trascendenza e all’intimità con Dio e capace anche di impegnarsi sul piano etico-politico nella lotta contro il male.

Del Noce, infatti, aderendo a una prospettiva, in largo senso, ontologista, rifiuta un razionalismo che non ammetta il mistero, il limite e la capacità umana di peccare. Proprio perché la natura umana è decaduta, essa può anche venire redenta, ma, soprattutto, non si dovrà perseguire, su questa terra e con le sole forze umane, l’ideale di un uomo nuovo e perfetto. Si cadrebbe in quel perfettismo, giustamente deprecato da Rosmini, che tanti danni ha prodotto, avendo dimenticato il peccato originale e avendo progettato nella storia l’avvento della pienezza dell’umano e della sua finale salvezza.

Infine, riflettendo a lungo sul marxismo, in particolare sul pensiero di Gramsci e sui suoi rapporti con il pensiero di Gentile, Del Noce sottolinea come nel marxismo si annidi una contraddizione intrinseca che lo condurrà alla dissoluzione: il materialismo, da un lato, porta alla decostruzione radicale della società borghese e soprattutto dei suoi ideali (morali, religiosi, metafisici), interpretati solo come menzogne e frutto dell’oppressione di classe; d’altro lato, la dialettica, dovrebbe traghettare a una società senza classi, priva però di un modello ideale secondo cui configurarsi. Ne risulta che, mentre la pars destruens riesce benissimo, mettendo in crisi i valori fondanti la società borghese, fallisce la costruzione di una società nuova, sicché la mera ricerca del benessere, il consumismo e l’egoismo di massa subentreranno ai vecchi ideali cancellati, e il nichilismo costituirà l’esito non programmato, né atteso, ma inevitabile sul più diffuso piano sociale e umano. L’opzione per un razionalismo esclusivo porta a esiti nichilistici, connessi anche con il processo di secolarizzazione, che si registra nella società occidentale.

 

 

Alcune correnti del cristianesimo contemporaneo, valorizzando il processo di secolarizzazione come processo di autenticazione della vera fede, che uscirebbe purificata da tutte le scorie stratificate nel tempo, hanno, secondo Del Noce, snaturato il messaggio cristiano, in quanto hanno distorto il rapporto tra natura e grazia e hanno rivendicato l’autonomia dell’umano da ogni legame con il trascendente, con il Dio creatore e redentore: destinandosi a un esito fallimentare.

Secondo Del Noce, questo, che è un risultato inevitabile, non è uno sbocco insuperabile; decisivo potrà essere l’apporto costruttivo e vivificante della Chiesa cattolica, in virtù del quale va recuperato l’intrinseco nesso tra natura e soprannatura, il legame costitutivo tra cristianesimo e razionalità, così come il valore dell’apporto del pensiero greco alla riflessione cristiana: perché la tradizione non significa l’impossibile ritorno a un’epoca passata, idealizzata e astratta, ma richiama e sottrae dall’oblio una verità eterna, che è capace di attualizzazioni sempre diverse e varie, pur rimanendo in se stessa identica, poiché è sovrastorica.