Il romanzo breve La tigre nella giungla di Henry James non ha nulla da invidiare alle opere solitamente più ampie dell’autore, che lo scrisse in pochissimi giorni, nel 1903. Le limitate dimensioni non impediscono l’eco dell’infinito, tanto che la critica lo ritiene uno dei capolavori della maturità di James.

La trama, probabilmente di impronta autobiografica, narra la vicenda interiore di un uomo, John Marcher, che attende per tutta la vita un evento che dia una svolta alla sua esistenza. Tutto il suo tempo è speso aspettando qualcosa di terribile, come il balzo improvviso di una tigre nel folto della foresta dei giorni. Quando esso accade, egli pare non accorgersene, non se ne lascia sfiorare. Eppure



Una donna, May Bartram, l’unica a sapere da lui il segreto che gli scompiglia l’esistenza glielo aveva descritto, seppure in modo misterioso: fin dall’infanzia, nel più profondo di voi, avevate portato il presentimento e la convinzione di un fatto molto raro e strano – terribile forse, forse prodigioso – che vi avrebbe colto o presto o tardi, che già stava dentro le vostre ossa.



Con l’intuito di chi ama, gli dà un nome, una fisionomia: Forse state descrivendo nient’altro che l’attesa, o in qualche modo la paura, comune a tanti, dell’amore?

L’uomo, pur sorpreso, nega che il fatto abbia un volto così banale, ma chiede alla sua compagna di vegliare con lui per tutto il tempo che occorrerà finché esso si sveli. E così sarà: la loro relazione condivide un segreto ed essi rendono la loro amicizia un’abitudine quotidiana. Passano gli anni e la comune attesa fa sì che non sia necessario per loro risalire alle sorgenti di un fiume: sentono che la loro barca scende in piena armonia con la corrente.



 

May si ammala e con parole segrete allude al fatto che ciò che doveva avvenire è accaduto; Marcher si avvede, forse per la prima volta, a quale mondo più alto la donna appartenga, cerca di strapparle la verità, ma desiste: di fronte alla debolezza di lei, poteva egli far altro che accettare in silenzio quanto gli veniva offerto, e accettarlo come un dono – con una devozione silenziosa?

May Bartram porta a John Marcher l’annuncio che ciò che egli attende è buono, è l’amore che si realizza compiutamente nel vegliare insieme, nel custodire il segreto che fa grande la vita dell’altro e la propria. Ma l’uomo arriva a riconoscere solo nella luce grigia del grande cimitero londinese ciò che di mortale e di prezioso aveva rappresentato la sua amica. La sua ragione sembra perdersi tra le alte erbe della giungla; decide di viaggiare, ma torna sempre, in un rinnovato rito, sulla tomba di May. Solo lì, solo dopo tante volte, comprende che non l’aveva amata come lei l’aveva amato e, quasi abbagliato dall’evidenza della verità, cade sulla pietra tombale.

Metafora della condizione umana, che manca all’appuntamento con il destino, arroccata fino a non lasciarsi sfiorare dalla bontà della vita? Forse l’autore, sotto il velo di una storia d’amore tutta interiore e scritta in modo perfetto, ha voluto dire qualcosa di più.