«Un esempio di quando la ragione è in contrasto colla natura. Questo malato è assolutamente sfidato e morrà di certo fra pochi giorni. I suoi parenti per alimentarlo come richiede la malattia in questi giorni, si scomoderanno realmente nelle sostanze: essi ne soffriranno danno vero anche dopo morto il malato: e il malato non ne avrà nessun vantaggio e forse anche danno perchè soffrirà più tempo. Che cosa dice la nuda e secca ragione? Sei un pazzo se l’alimenti. Che cosa dice la natura? Sei un barbaro e uno scellerato se per alimentarlo non fai e non soffri il possibile. È da notare che la religione si mette dalla parte della natura» (G. Leopardi. Zibaldone, Luglio-Agosto 1817).



Il contesto da cui abbiamo tolto questo brano di Giacomo Leopardi è una riflessione sul contrasto che esiste tra la “ragione” (che Leopardi intende nell’accezione illuminista, “la nuda e secca ragione”) e la “natura”, che fra tutte le parole è la parola leopardiana per eccellenza.

Abbiamo scelto di presentarvi questo breve testo in giorni drammatici come quelli che stiamo vivendo non già perché desideriamo forzare le parole del grande poeta a un pensiero che non è il suo, ma perché il suo pensiero è interessante in sé.



È interessante, sommamente interessante innanzitutto perché è un pensiero ferito. A Leopardi non interessa produrre armonie, ossia discorsi in grado di dare a ogni cosa il suo posto. La frattura tra la nuda e secca ragione e la natura è insanabile. Bisogna accettare lo scandalo. Il grande genio accetta lo scacco, l’uomo modesto cerca sempre l’equilibrio, il riparo sotto l’ala del discorso giusto.

La natura è misteriosa, produce grandezza ma anche orrore, mentre la ragione nuda e secca rifugge il mistero e si limita a calcolare su quello che ha. Eppure non può non tener conto della forza della natura, pena il trasformarsi essa stessa in un sogno, il sogno delle magnifiche sorti e progressive.



La natura “è quella che spinge i grandi uomini alle grandi azioni”, scrive il grande poeta, ma al tempo stesso essa “ripugna… dall’utilità della fatica”, non solo, ma inclina anche “a moltissime altre (cose, n.d.r.) o dannose o inutili o proibite, illecite, e condannate dalla ragione”, fino “a danneggiare o a distrugger se stessa”.

Al tempo stesso, però, con grande acutezza, Leopardi osserva che “la religione si mette dalla parte della natura”, ossia di questa natura contraddittoria, intrattabile, irriducibile, che produce Aristotele e Alessandro Magno ma anche l’eruzione del Vesuvio. La religione, in altre parole, si mette dalla parte del mistero: sempre e comunque. 

Mille “se”, mille “ma”, mille “però” sorgono a questo punto in noi. Se la natura si autodistrugge, cosa deve fare la religione? Accettare l’autodistruzione, o intervenire? E intervenire in nome di che? Della natura no di certo, della ragione men che meno.

Ma Leopardi a queste conseguenze non è interessato. Sono linee minori, conflitti interiori, problemi particolari. Tutti noi abbiamo però constatato la capacità di trasformazione dell’uomo che un evento tragico possiede. Tutti abbiamo visto uomini mediocri trasformarsi in giganti per l’effetto di un dolore inspiegabile, ingiusto e crudele. O, meglio: per l’effetto del “sì” detto a quel dolore, per quanto spropositato e incomprensibile. Un “sì” che rasenta la follia ma che, al tempo stesso, appare profondamente, abissalmente ragionevole.

Dopo diversi interventi, su questo o quel quotidiano, in merito al caso Eluana, una sola cosa io so: di essere pressoché una nullità. Di fronte a Eluana, di fronte a suo papà, di fronte a questa tragica vicenda, chi sono io? E chi sono io davanti a Leopardi? Nessuno. Io scrivo solo perché dico “sì” a questa circostanza in cui tante persone come me si trovano, e che domanda di parlare di Eluana. Accettando gli errori di valutazione, la superficialità, le intemperanze che sono, spesso, ben difficili da evitare.

C’è un destino che ci interpella, al quale la nuda e secca ragione non può dire di sì. Perché alimentare artificialmente questa persona? Perché impiegare personale ospedaliero quando potrebbe essere impiegato in altri casi, in cui forse la vita ha maggiori possibilità di essere salvata? La nuda e secca ragione è un “no” perenne, continuo, senza sosta, profondamente amaro. Questa ragione ha vinto ed Eluana non c’è più. La sentiremo tutti, l’amarezza, e sarà la stessa amarezza: la mia come quella di Beppino Englaro.

Per questo la religione sta dalla parte della natura, dice “sì” (e ritiene questo “sì” molto più razionale del “no”) anche nell’imminenza di uno scandalo, di un’assurdità. Dice sì perché la grandezza sta dalla parte del mistero e, con la grandezza, la felicità, la riuscita della vita, il bene. Non è un problema di valori, né di rispote consolatorie. Agitare il valore dell’intangibilità della vita non c’interessa. C’interessa il grido del nostro cuore. Noi non comprendiamo, noi non sappiamo dare un posto a tutto, la realtà ci appare come fratturata. Eppure il nostro cuore continua a gridare perché non vuole morire, perché “il respiro della vita non abbia fine”.