Nelle scorse settimane, un articolo di Susanna Tamaro in occasione del Giorno della Memoria, ha innescato un dibattito a cui ha partecipato anche Roberta De Monticelli. La filosofa ha espresso il suo netto dissenso nei confronti di un commento apparso su Il Foglio, in cui si argomentava che «dietro l’umanitarismo eutanasico Susanna Tamaro indovina il ghigno dell’indifferenza nazista che ha aperto i lager». Secondo De Monticelli, le opinioni espresse in quella sede e l’accostamento al caso Englaro, altro non sarebbero che un esempio di «organizzazione della menzogna».
In effetti, l’analogia fra i nazisti e la battaglia a favore dell’eutanasia può apparire «stralunata». Eppure, pochi hanno ricordato che lo sterminio degli ebrei fu preceduto da quella che Mireille Horsinga-Renno – nel libro in cui ricostruisce la vicenda del suo prozio Georg Renno, “medico della morte” ad Hartheim – definisce una «ragionevole strage», ovvero lo sterminio dei disabili (e di altri gruppi sociali ritenuti “degenerati”). Nell’ottobre del 1939 iniziò l’Aktion T4, con cui furono soppresse in maniera sistematica – “disinfettate”, secondo la macabra terminologia amministrativo-contabile del programma – oltre 70.000 persone. Per dare il via all’operazione, bastarono quattro laconiche righe: «Al capo del Reich Boulher e al Dott. Med. Brandt viene conferita la responsabilità di estendere la competenza di taluni medici, designati per nome, cosicché ai pazienti che, sulla base di un giudizio umano, sono considerati incurabili possa essere concessa una morte pietosa dopo una diagnosi approfondita». Firmato: Hitler.
L’Aktion T4 fu preceduta dall’eliminazione di bambini disabili fatti morire di inedia, oppure mediante la somministrazione di taluni farmaci in dosi massicce. Il primo su cui venne praticata l’eutanasia fu un bambino nato con gravi menomazioni fisiche, a cui successivamente sarà diagnosticata anche una condizione di “idiotismo”. Possiamo comprendere il dramma del padre e della madre nei quali maturò la convinzione che loro figlio non avrebbe avuto «nulla di umano», e che la sua vita «non avrebbe significato nulla per lui» e «solo sofferenza» per loro. Perciò i genitori supplicarono il Fürher di concedere l’autorizzazione a sopprimerlo. Hitler affidò l’incarico al suo medico personale, K. Brandt, lo stesso che in gioventù avrebbe voluto affiancare il dottor Schweitzer nel lebbrosario di Lambarené. Gli umanitari sono così: amano così tanto l’umanità, fino al punto di volere l’uomo, in carne ed ossa, morto. Per il suo bene, s’intende.
Il terreno per lo sterminio dei disabili fu preparato da leggi statali eugenetiche che attuarono la dichiarazione programmatica contenuta nel Mein Kampf: fare in modo che diventasse scandaloso metter al mondo bambini quando si è malati o difettosi. L’eutanasia costituì il «ragionevole» sviluppo delle leggi per la sterilizzazione delle persone disabili e degli asozialen, le quali stabilirono lo standard della vita degna, e «meritevole di essere vissuta».
Georg Renno, medico al Castello di Hartheim – dove vennero soppresse oltre 18.000 persone disabili – non negò mai quello che aveva fatto. Più semplicemente gli apparve una conseguenza logica, «ragionevole». Ad anni di distanza, nella sua serena vecchiaia, fu intervistato da un giornalista, a cui disse di avere la coscienza pulita, di non sentirsi colpevole. «Non è come se avessi ucciso qualcuno con un colpo di pistola o qualcosa del genere. Non si è trattato di tortura; per quei malati è stato piuttosto, per così dire, una “liberazione”».
Allora lo sterminio dei disabili venne attuato in gran segreto, di nascosto, da medici designati per nome. E quando fu proposto a Hitler di emanare una legge che depenalizzasse l’eutanasia per ottenere una maggiore adesione da parte dei medici al suo programma di «disinfezione», egli, per un cinico calcolo politico, ebbe il pudore di rifiutare. Oggi, noi umanitari, abbiamo perso anche quello.