C’è chi riduce tutta la nostra vita al prodotto dell’egoismo di un gene o chi parla della personalità come un flusso scomposto di vissuti ed eventi che si stratificano l’uno sull’altro senza senso. L’ennesimo tentativo di ridurre l’uomo a qualcosa di modificabile e controllabile sembra caratterizzare l’ideologia e il pensiero debole moderni. Eppure c’è ancora chi, come il professor Dan Zahavi, agnostico, docente di filosofia presso l’Università di Copenaghen nonché direttore del centro di ricerca sulla soggettività, non si unisce alla schiera nichilista la cui tentazione è quella di ridurre l’esistenza umana a una mera accidentalità pretendendo di poterne definire i connotati in base a griglie schematiche di dubbia scientificità.
L’orientamento filosofico e culturale prevalente del XX secolo sembra aver decretato la “morte dell’io”, considerato un superficiale effetto di dinamiche inconsce, il miraggio risultante da condizionamenti storico-sociali e linguistici o l’output di meccaniche cerebrali deterministiche. Cosa pensa di tali letture?
L’annuncio di morte è quantomeno prematuro. Negli ultimi anni, l’Io è stato materia di osservazione crescente, non solo in filosofia, ma anche nelle scienze empiriche. Una ricerca su database condotta qualche mese fa su PSYCinfo ha dato come risultato circa 64.000 titoli di articoli che comprendevano la parola Io.
Vi sono molte ragioni per questa inversione di tendenza.
Una ragione è il riconoscimento che uno studio più da vicino dell’Io è indispensabile se vogliamo procedere nella comprensione della natura e struttura sia della consapevolezza che della comprensione interpersonale. Un’altra ragione ha a che fare con la crescente constatazione che non si dovrebbe buttare il bambino con l’acqua sporca. La lezione derivante dai precedenti rifiuti dell’Io non è che l’Io non esiste, ma che l’Io non è ciò che qualcuno pensava fosse. Si può respingere l’idea che l’Io sia una sostanza isolata, autonoma e trasparente dell’anima, e mantenere tuttavia un significativo e valido concetto di Io.
Sospetterei comunque dell’idea che l’Io sia la causa irriducibile dell’esperienza. Non si può infatti ridurre tutto alla soggettività.
Una simile concezione introduce una differenza tra Io ed esperienza che trovo problematica.
È possibile una riflessione scientifico-razionale su questo tema, o si tratta di un campo in cui i giudizi dipendono meramente dalle opinioni e dalla visione del mondo di ognuno?
Come dovrebbe essere chiaro a chiunque abbia speso del tempo a riflettere su questo argomento, l’Io ha così tanti aspetti ed è un fenomeno così complesso che nessun approccio singolo può rendergli giustizia. Infatti, non si può operare con un solo concetto di Io. Se vogliamo compiere progressi dobbiamo operare con diversi concetti complementari e integrarli, includendo quelli che riguardano il modo in cui l’Io è coinvolto nelle esperienze e azioni basilari, quelli che si concentrano sulla dimensione personificata e interpersonale dell’Io e i concetti che evidenziano il ruolo del tempo, dei valori e della narrazione nella costruzione e consolidamento di una propria identità stabile e socialmente presentabile.
Credere che una sola disciplina (neuroscienza o filosofia) possa avere il monopolio della ricerca sull’Io è una pura espressione di ignoranza e arroganza. Alla ricerca sull’Io possono contribuire diverse discipline, incluse la biologia, la neuroscienza cognitiva, la neuropsicologia, la psicologia dello sviluppo, la psichiatria e la sociologia, ma nessuna può rispondere a tutte le domande e, alla fine, la ricerca sull’Io necessita anche dell’analisi filosofica e della riflessione.
Quali prove o evidenze si possono fornire sulla natura dell’io, e quali sono i metodi per studiarlo?
I metodi che vengono usati variano di conseguenza ampiamente e includono l’analisi concettuale, le descrizioni fenomenologiche, gli studi sul comportamento infantile, così come le tecnologie avanzate di analisi del cervello (e molti altri). Per quanto riguarda la questione se l’Io possa essere interpretato come un processo naturale tra gli altri, dipende da cosa si suppone che ciò comporti. Io penso che la scienza naturale possa dare un contributo importante allo studio dell’Io, ma non penso certamente che possa mai darci una comprensione esauriente.
Ritiene che certe letture deterministico-riduzionistiche del fenomeno dell’io possano avere nel tempo anche ricadute etico-culturali-politiche di largo respiro? Se sì, quali?
È sempre possibile abusare o fare un cattivo uso delle teorie scientifiche e filosofiche. Se però parliamo più specificamente dei vari tentativi neuroscientifici di far circolare l’idea che non vi è nessuna volontà libera e che tutto ciò che pensiamo e facciamo è predeterminato dai nostri geni, non sono personalmente estremamente preoccupato, perché credo che questi tentativi non avranno molta influenza sulla nostra concreta vita quotidiana.
È difficile, fortunatamente, pensare che possano portare a cambiamenti radicali nella nostra prassi legale, per fare un esempio.