Oggi è a tutti evidente che la negazione del fatto che l’uomo abbia una natura e la negazione del fatto che l’uomo sia comunque una persona sono intrecciate tra loro e si sostengono reciprocamente. Meno evidente è come si sia giunti ad una tale cecità viziosa e come si sia potuta produrre una simile velenosa menzogna. La comprensione dell’itinerario plurisecolare che ha portato ad un tale risultato è, in questo frangente, di importanza capitale. La scomposizione e la negazione possono essere infatti rettamente intese solo a partire dall’unità e dall’affermazione positiva di cui costituiscono il semplice prodotto di disaggregazione.



Ripercorriamo sinteticamente le quattro fasi fondamentali che contrassegnano questo cammino nel corso del secondo millennio dell’era cristiana per arrivare a quello che C.S. Lewis ha chiamato “l’ultimo passo”.

1. Dopo il XIII secolo assistiamo ad una progressiva distanziazione tra la “sacra dottrina” (teologia) e le scienze umane (storia, filologia, lettere). Ciò comporta una duplice riduzione: da un lato il termine ‘persona’ viene usato raramente in riferimento all’uomo e dall’altro il termine “natura” viene sempre più ad assumere un significato prevalentemente cosmico-mondano più che non teologico e antropologico. L’accezione intra-cosmica prende il sopravvento.



2. In una seconda fase, che copre per intero i secoli XVI, XVII e XVIII, assistiamo ad una affermazione unilaterale della natura in quanto natura umana, ad una sparizione della nozione di “persona” in contesti antropologici e ad una sua iniziale critica della sua stessa legittimità.

Martin Lutero la chiamerà “parolaccia” (Wörtlein), Baruch Spinoza affermerà che gli sfugge (me fugit) che cosa con questo termine si voglia dire; David Hume, nel suo Trattato sulla natura umana porta a termine l’operazione della riduzione sistematica dell’essere personale dell’uomo al suo essere di natura. Per lui l’identità personale si riduce all’Io, alla memoria, alla coscienza. Per John Locke «senza coscienza non c’è persona» e l’identità che viene chiamata ‘identità personale’ in realtà è «identità della coscienza». Ma già Hume aveva dichiarato che «la maggior parte dei filosofi sembra propensa a pensare che l’identità personale nasce dalla coscienza, e la coscienza non è altro che una riflessione del pensiero, una percezione riflessa». In questa fase anche chi, come J.-J. Rousseau, riafferma la natura, lo fa contro la natura dell’uomo e completamente prescindere dal suo essere persona. L’uomo è «un animale corrotto». Natura e ragione vengono contrapposti affermando una natura che non può più, di principio, essere razionale.



Un primo ribaltamento qui è già consumato: la realtà personale dell’uomo viene tentativamente spiegata a partire dalla natura dell’uomo, cioè, dall’insieme delle facoltà e degli attributi che sono comuni a tutti gli uomini e che, proprio per il fatto di essere comuni a tutti devono essere posseduti dalla persona, non sono la persona stessa. Una delle caratteristiche dell’essere personale è infatti proprio quella di possedere la natura.

3. Dopo aver puntato tutto, nel lungo periodo menzionato, sulla natura dell’uomo, sull’uomo come natura contro il suo essere persona, il XIX secolo vede una fioritura di sistemi di pensiero che preconizzano la fine dell’uomo come semplice essere di natura e, per sollecitare il salto, intraprendono una lotta feroce e radicale alla natura stessa in quanto natura umana.

Questo fenomeno multiforme si presenta sia come esplosione di “pezzi” di natura che erano stati incollati in vario modo e in varie fogge e che ora vengono fatti valere isolatamente, non più uno accanto all’altro, ma anche l’uno contro l’altro; oppure vengono squalificati nel loro insieme, nelle loro apparenze di dati solo pseudo-naturali. Così, per Schopenauer «la persona è mera apparenza» e solo il volere è la vera «cosa in sé». Per Karl Marx l’uomo dimostra se stesso nel produrre la base stessa del suo consistere. Per Max Stirner, autore oggi tornato in voga, «si tratta di considerare infranta ogni forza naturale» e valutare quindi «l’umanità come un pregiudizio» per giungere, finalmente, al «non-uomo». Per Nietzsche «il superamento dell’uomo» è il fine supremo cui tendere.

Sartre compie nel ‘900 questa parabola di negazione della natura dell’uomo non più contro il suo essere persona, ma come annullamento della natura stessa, quando nella famosa conferenza tenuta nel dopoguerra, dal titolo L’esistenzialismo è un umanesimo, sostiene che l’uomo è l’unico essere a non avere una natura predeterminata e ciò, non più nel senso in cui lo aveva detto Pico della Mirandola nella celebre orazione Sulla dignità dell’uomo, alludendo con ciò al suo essere personale, ma in senso ormai emancipato e quindi prometeico-nichilistico.

4. «L’ultimo passo», la quarta fase, è sotto i nostri occhi e prevede, nel suo macabro programma, l’atto di chi suppone un possesso totale sulla natura, non distinguendo più tra natura cosmica e natura umana, e quindi considera legittima la totalità della manipolazione. La negazione della Creazione e, conseguentemente, l’assunzione del ruolo di “nuovo creatore” da parte dell’uomo, aprono l’accesso al nuovo totalitarismo del soggetto autofondato.

Dato il percorso attraverso il quale l’occidente cristiano è arrivato ad essa, staccando in principio la natura umana dall’essere persona, il ribadire oggi che l’uomo ha una natura sarebbe troppo poco e, lasciata a se stessa, tale riaffermazione non riuscirebbe, perché si dimenticherebbe l’origine da cui tutto il processo ha preso le mosse: l’oblio e la censura di “chi è” colui che “ha una natura”. Rischieremmo in questo modo di reduplicare l’errore di coloro che, nel secolo scorso, si sono tanto attardati sul “senso” e sull’ “interpretazione del senso” dell’esistenza umana, dimenticando “chi è” l’uomo stesso, il soggetto del senso e dell’esistere. E l’uomo, ci ricordano Wojtyla e Ratzinger all’unisono, è persona. È necessario dunque intrecciare di nuovo virtuosamente i due fili inseparabili della natura e della persona per riaffermare la verità sull’uomo e per poter riuscire nella distinzione diversamente impossibile tra natura del cosmo e natura dell’uomo