In risposta alla presentazione del libro pubblicata l’altro ieri su ilsussidiario.net, il professor Franco Cardini interviene sollevando non poche perplessità sulla validità scientifica dell’opera. Se la cultura europea si è notevolmente sviluppata lungo gli ultimi secoli in ambito non solo filosofico, ma anche tecnico e scientifico non è giusto, sostiene l’illustre storico, non riconoscere alcun merito all’apporto dell’Islam in questa evoluzione.
Professor Cardini, qual è la sua opinione in merito alle tesi sostenute nel libro di Sylvain Gouguenheim?
La tesi di Gouguenheim o, meglio, che del suo studio ha interessato maggiormente i lettori e i commentatori è obiettivamente del tutto sprovvista di fondamento. Tale tesi sostiene l’idea che l’Islam non abbia partecipato in nulla alla crescita della cultura europea. Questo perché, secondo gli studi di Gouguenheim, che in fondo non ha scoperto nulla, già nella prima metà del XII secolo a Mont Saint-Michel, un’abbazia benedettina fra Normandia e Bretagna, un monaco bizantino che stette a lungo a Venezia o che era di Venezia, trascrisse e diffuse in Europa le opere di Aristotele. Ora, io non sono uno specialista del campo, ma parlando con molti specialisti e anche con il maestro di Gouguenheim, André Vauchez, che è d’accordo con me, risulta chiaramente che questo non è vero.
Quindi è solamente una raccolta di fandonie storiche?
No, è un ottimo studio finché si concentra sul personaggio in questione, Giacomo da Venezia, e sulle sue traduzioni di Aristotele. È uno studio che mancava, anche se l’idea non era proprio nuova. Il personaggio è ben conosciuto infatti in ambito accademico, ma lo studioso francese ha avuto senz’altro il merito di aver risistemato le conoscenze intorno a questo monaco. È quindi, tutto sommato, uno studio più che buono. Ovviamente gli specialisti riveleranno errori e lacune, che comunque ci sono sempre e dappertutto per ogni studio di questo tipo.
Allora che cos’è che proprio non le va giù in merito a questo saggio?
Il capitolo finale, in cui palesemente Gouguenheim afferma che l’Occidente non deve nulla all’Islam. E non solo, ma anche che l’Occidente cristiano è strettamente legato senza soluzione di continuità con il mondo greco. Prima di tutto Aristotele in Occidente è stato conosciuto a partire dal XII secolo da una quantità molto più elevata di opere trascritte di quelle di Giacomo Veneto. Che poi tra i trascrittori ci fossero non solo degli arabi musulmani, ma anche cristiani è perfettamente vero, ma questo non prova e non aggiunge niente. San Giovanni Damasceno, uno dei principali santi della chiesa ortodossa, era un arabo siriano che stava alla corte del Sultano, un suo funzionario. Ma era anche vescovo della comunità cristiana di Damasco e nessun musulmano gli diede mai noia, nessuno gli ha mai fatto nulla, nonostante egli scrivesse peste e corna del profeta Maometto. Occorre capire che all’epoca in questione non c’era fra cristiani e musulmani quel tipo di tensione che in fondo oggi alcuni storici vogliono far credere. Dico questo per dimostrare la perfetta sinergia culturale che caratterizzò il periodo considerato.
Gouguenheim sostiene però che fu l’Occidente a saper interloquire con vera efficacia con la conoscenza classica
Questa è una tesi che sostengono molti storici che hanno apprezzato il lavoro di Gouguenheim coprendolo di lodi e recandogli, a mio avviso, danno. Infatti da lì è cominciata a serpeggiare l’idea che lo storico abbia scritto quest’opera con l’intento di realizzare un best seller per i teocon. È un’accusa che personalmente trovo molto antipatica e non vera. Comunque, per tornare alla domanda, il fatto che Aristotele sia stato scritto e tradotto da Giacomo Veneto è verissimo come non è meno vero che i codici trascritti sono un numero considerevole, ma ciò non toglie che questo monaco fosse poco noto fuori della cerchia dei suoi confratelli di Mont Saint-Michel. Mentre tutta l’Europa, le università europee, le scuole di medicina, hanno sempre, e direi quasi esclusivamente, letto Aristotele attraverso la traduzione araba, poi tradotta in latino, e il commento di Averroé.
Ora, siccome Averroé è un grosso filosofo dell’islam spagnolo del XIII secolo, conosciuto in tutto il mondo anche di allora, è evidente che all’Islam si devono la tradizione e la traduzione di Aristotele, che poi è diventata il pane quotidiano delle Università.
Ravvisa una certa influenza ideologica dietro l’impostazione dello studio di Gouguenheim?
Quello che mi fa sospettare di una certa dose di disonestà intellettuale è il fatto che Gouguenheim sa benissimo che attraverso l’arabo, e attraverso anche il persiano, è passata la cultura greca in Europa non solo per quanto riguarda Aristotele, ma anche per una serie di altri autori, per esempio Platone. Per non parlare del vasto numero di trattatisti di fisica, di matematica, di medicina. Lo stesso Pitagora è stato tramandato da testi arabi. Quindi la problematica aristotelica non esaurisce il debito che l’Occidente ha nei confronti dell’Islam. Anche ammesso e assolutamente non concesso che noi dovessimo la conoscenza di Aristotele a Giacomo da Venezia e non ad Averroé resterebbe tutto il resto a cominciare dalle opere mediche di Avicenna che sono state insegnate in tutte le università europee fino al 1700. Questa cosa, Gouguenheim essendo un medievista serio, non la può ignorare.
Oltre alla tradizione e traduzione delle opere classiche ha notato altri “vizi” nell’opera in questione?
Un’ultima cosa riguarda il collegamento stretto che Gouguenheim fa, questo sì un vero “cavallo di battaglia” teocon, fra il mondo greco antico e il mondo cristiano. Ma ci immaginiamo dei monaci ortodossi alle prese con la Lisistrata di Aristofane? È impensabile che i monaci bizantini abbiano conservato un’opera praticamente “pornografica” come questa. Lo dico per fare un esempio. C’è stata una rottura fra la morale antica e la morale cristiana, e testi di questo tipo sono stati conservati da trascrittori islamici. Dico questo perché uno dei capisaldi del capitolo finale del libro di Gouguenheim è rappresentato proprio dalla continuità fra mondo classico e cristiano. Questo ultimo capitolo, mediante il quale Gouguenheim vuole tirare le somme, rovina dunque uno studio che in realtà sarebbe stato, non certo sconvolgente, ma interessante.