Tra i molti scritti di Maria Luisa Gatti Perer, professore emerito dell’Università Cattolica di Milano recentemente scomparsa, sono preziose oggi riflessioni che risalgono a più di cinquant’anni fa, relative ai significati da lei avvertiti come fondanti nell’insegnamento della Storia dell’Arte. La scrittura piana e al contempo tutt’altro che semplificatrice, l’ordinata e lucida sintesi di temi storiografici ed artistici di grande rilievo, l’identificazione precisa di problemi educativi generali e del ruolo che in essi può proficuamente svolgere l’apprendimento storico artistico, caratterizzano saggi pubblicati dalla studiosa tra 1956 e 1961, riproposti integralmente e senza revisioni, in un volume, dal titolo Introduzione alla Storia dell’arte, nel 1972.

È noto in area lombarda l’entusiasmo costante di Maria Luisa Gatti Perer per l’insegnamento della storia dell’arte rivolto, non solo ai giovani universitari, ma anche persone di ogni età e tipo di formazione; nota è la dilatazione della sua passione comunicativa ed educativa, attraverso le attività dell’ISAL, oltre i confini dell’insegnamento diretto, personale, passione che le ha consentito di aprire contatti con mondi diversi e di dar vita ad uno stuolo di allievi che oggi proseguono, in molti ambiti, ricerche spesso di alta qualificazione. Nei prossimi anni si dovrà certamente ricostruire caratteri e componenti del tessuto connettivo e della specificità culturale che dalla sua dedizione è fiorita. Si potranno allora riconoscere, tramite testimonianze e con scavo scientifico, origini, fonti, sviluppi, articolazioni, tracciati per nuovi percorsi di indagine.

Con l’amicale simpatia con la quale, una volta accettata la direzione scientifica ISAL cui Maria Luisa Gatti Perer mi ha chiamata, ho subito iniziato a leggere o rileggere i testi della studiosa, offro ora alcuni brani strettamente pertinenti l’insegnamento della Storia dell’Arte, da lei scritti per giovani delle scuole medie superiori e per «coloro che, ormai al di fuori della scuola e sprovveduti di uno studio specifico, sentono tuttavia l’esigenza di ristabilire un equilibrato rapporto con il mondo dell’arte di cui ognuno partecipa».

Ritengo di grande attualità tali scritti, anche perché consentono di riflettere su modifiche fondamentali avvenute dal dopoguerra ad oggi nella cultura nazionale, nelle componenti dell’insegnamento scolastico dell’arte e nel rapporto tra nuovi mezzi visivi, la televisione in particolare, e gli orientamenti dell’opinione pubblica. Il punto di vista messo a fuoco da Gatti Perer è oggi termine prezioso di paragone anche perché consapevolmente incidente in una peculiare tradizione culturale italiana.

Nel 1956 la studiosa già riteneva di aver messo a punto «un vero e proprio libro di testo, in quanto fornisce uno sviluppo logico e serrato di concetti che consentono di considerare l’opera d’arte liberamente, ossia senza pregiudizi che ne vietino una serena valutazione». Nell’edizione del 1972 segnalava la specificità formativa alla quale era stata stimolata, sedici anni prima, nell’elaborazione di tale sviluppo logico e serrato di storia dell’arte, dagli allievi suoi interlocutori: «Si trattava di porre più che di risolvere il problema della retta interpretazione di sé e del mondo circostante, senza peraltro intaccare la libertà di giudizio sulla validità dell’opera d’arte non tanto a rappresentare il mondo intero – le generalizzazioni sono sempre poco attinenti al mestiere di educatore – quanto a stabilire un colloquio con ognuno e in definitiva sperimentare insieme la possibilità educativa, ossia formativa, dell’arte».

Tale carattere formativo puntava a far sentire «l’utilità di una disciplina tanto lontana dal pragmatismo che informava di sé quei tempi»: gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, anni del boom economico italiano vissuto con protagonismo a Milano e in tutta l’area lombarda. L’apprendimento della storia dell’arte implicava, inoltre, per gli allievi: «la rinuncia ad ogni finalità, che non fosse volta a conoscere meglio se stessi»; l’insegnamento di Maria Luisa Gatti Perer riguardò, infatti, innanzi tutto corsi per segretarie d’azienda, di nuova istituzione e rispondenti a pressanti esigenze pragmatiche dell’industria e del commercio.

L’insegnante scopriva allora, con gioia, che il proprio insegnamento «maturava nelle allieve, oltre che una maggiore consapevolezza di sé e in definitiva una maggiore sicurezza e autonomia, una insospettata capacità intuitiva di situazioni e di ambienti anche lontani da loro per tempo e collocazione e, soprattutto, l’esigenza di una maggiore conoscenza attraverso libri specifici che, per essere stati scelti in rapporto a più genuini interessi, venivano compresi anche se la difficoltà di lettura poteva sembrare eccessiva. Ne derivava la conferma del valore pedagogico dell’arte, e particolarmente dell’arte figurativa, per il potere evocatore delle immagini, per la concretezza fisica degli spazi che gli allievi imparavano a commisurare con la loro persona, per l’evidenza formale delle opere di scultura che aiutava a scoprire ad un tempo la consistenza plastica e la pluralità delle immagini derivanti da punti osservazione diversi: mezzi tutti all’apprendimento di dimensioni nuove dell’attività creatrice, alla proiezione dell’animo nella realtà vivente, a prospettive inaspettate verso la libertà, alla partecipazione alla vita del proprio tempo e quindi alla vita di tutti i tempi».

Il testo, denso di concetti e senza immagini, dell’Introduzione alla storia dell’arte si rivelò utile in più occasioni; oggi è possibile riconoscervi il nodo sorgivo dell’energia educativa, mai più esauritasi, di Maria Luisa Gatti Perer, subito aperta a molte e differenziate esperienze formative, in diverse scuole, come attesta lo scritto Educazione artistica, del 1961, riproposto integralmente nel volume del 1972.

Negli anni Settanta, scriveva l’autrice in premessa a quest’ultimo, gli allievi sono «più aperti, proiettati verso una concretezza di vita che li conduce ad assolutismi, certezze e negazioni che nascondono più spesso che non si creda la nostalgia del dubbio e dell’utopia: il primo come possibilità di aree ancora inesplorate e irrisolte, la seconda come desiderio –inespresso per una sorta di pudore giovanile- di nuovi ideali da coltivare». In tale nuova atmosfera «in cui si è portati a dubitare oggi di ciò che ieri si credeva vero», Gatti Perer ripropose il proprio sintetico testo senza immagini, ribadendo l’originario scopo di formare i giovani ad una capacità di giudizio personale sulle opere d’arte.

Intendeva, infatti, aiutarli a trovare «un rapporto diretto tra il bisogno di esprimersi, di riflettere, di conoscere criticamente, proprio dell’età evolutiva, e le opere d’arte che consentono di esercitare tale attività. Stabilito questo rapporto ne consegue l’esigenza di conoscere le condizioni storiche a ambientali in cui le opere sono nate. Per soddisfarla, più che al libro di testo l’allievo dovrà poter ricorrere alla biblioteca, strumento indispensabile di conoscenza, con l’aiuto dell’insegnante il cui compito fondamentale sarà quindi, da una parte, quello di stimolare i problemi, dall’altra, di fornire gli strumenti atti alla loro risoluzione ed infine guidare l’allievo ad un rapporto personale e irripetibile con le opere d’arte».

L’impegno educativo mirante ad uno scopo assolutamente imprescindibile, «un rapporto personale e irripetibile con le opere d’arte» -scopo inteso, più in generale, come attivazione di un «contatto diretto tra l’opera d’arte e il pubblico»- ha, geneticamente, interna strutturazione etica. In Maria Luisa Gatti Perer, allieva rosminiana negli studi giovanili, questo fondamento morale venne certamente rinsaldato dalla dimensione religiosa di una “carità intellettuale”, personalmente assunta come fattore fondante il compito educativo. Tale scopo è certamente ancora oggi imprescindibile, poiché esso soltanto garantisce l’esercizio concreto, nel contesto della cultura, di un’esperienza personale di libertà offerta a tutti.