Da un lungo filo appeso al soffitto penzolava un grosso masso rotondo con un sottile stilo attaccato all’estremità inferiore che tracciava segni sulla sabbia sottostante. Questo pittoresco marchingegno altro non era che il primo sismografo della storia. Un macchinario che vide la luce nel 1751, in pieno periodo dei cosiddetti “lumi”, grazie all’intuizione di un monaco benedettino dell’abazia di San Pietro in Perugia.



Padre Andrea Bina, questo il nome del religioso, non era certo l’ultimo arrivato. Già matematico di fama internazionale aveva, pochi mesi prima, pubblicato a Padova la sua Electricorum Effectuum Explicatio, una dissertazione che prendeva l’abbrivio da alcune considerazioni sull’opera di Newton e che dimostrava, vista la recente scomparsa del grande scienziato, una notevole prontezza in campo scientifico da parte degli ambiti religiosi, spesso tacciati di oscurantismo.



Eppure l’affascinante abazia era divenuta già da molto tempo luogo di ricerca e fucina di fruttuose idee in campo scientifico. È quanto ci spiega l’attuale abate, nonché direttore dell’osservatorio sismico adiacente, padre Martino Siciliani.

 

Ci parli della storia di San Pietro in Perugia

 

La nostra è una delle più grandi abazie d’Europa. È la culla della meteorologia e della sismologia.

 

Anche della meteorologia?

 

Certo. Ricordiamo che qui operò un mio illustre predecessore, padre Benedetto Castelli, allievo di Galilei a Padova.  Fu lui l’inventore del pluviometro, nel 1587. Il pluviometro è uno degli strumenti principali della meteorologia, in quanto misura la quantità delle piogge nel tempo. Castelli era un inventore fecondo e non mancava mai di sottoporre ogni sua “creatura” all’esame del maestro Galileo. Quest’ultimo provava per l’abate una spiccata simpatia, testimoniata anche dalla foltissima corrispondenza fra i due. Castelli fu poi a sua volta maestro di Torricelli, il celebre inventore del barometro.



 

Quindi è davvero un posto, la vostra abazia, cui la scienza deve molto

 

E le notizie non si fermano qui. Un altro mio illustre predecessore fu Don Bernardo Paoloni. Costui lavorò con Guglielmo Marconi alla realizzazione dell’anemometro fotoelettrico. Fu lui a riportare, dopo molto tempo, l’osservatorio sismologico in funzione. Era anch’egli una mente geniale, purtroppo scomparsa prematuramente, nel 1943 durante la Seconda Guerra Mondiale.

 

Torniamo ai terremoti e alla figura di padre Andrea Bina. Come arrivò all’invenzione del sismografo?

 

Bina era in primo luogo un matematico, quindi una persona abituata ad avere in mano dei segni da interpretare. Il sismografo servì per misurare lo spostamento della terra e trovare dei nessi numerici con questo. Una volta preso in esame il movimento tellurico scrisse il suo Ragionamento sopra la Cagione de’Terremoti nel quale descrive un terremoto avvenuto in Umbria proprio in quegli anni. La cosa più sorprendente è l’accuratezza con la quale Bina descrisse la geodinamica dell’evento. Si trattò infatti di un terremoto definibile in tutto e per tutto come il “gemello” di quello avvenuto il 26 settembre 1997. Tanto è vero che io, e molti altri sismologi, ci siamo potuti orientare più agevolmente nello studio, grazie agli scritti del Bina.  

 

Andrea Bina può essere dunque a pieno titolo definito il padre della sismologia?

 

Senza alcun dubbio. Egli ha impostato il metodo di osservazione ed è stato il primo a svolgere ha ricerche per spiegare la ragione e la causa dei terremoti. Si diede da fare consultando moltissimi personaggi dell’epoca al fine di perfezionare il proprio strumento. Da Bina in poi è cominciata la ricerca scientifica dei terremoti, fino ad allora appannaggio della dimensione “magica” che la scienza e la filosofia attribuivano spesso alla natura.

Proprio per il fatto di essere così relativamente recente la sismologia è una scienza giovane, e le previsioni precise sono molto difficili.

 

Non trova strano che proprio durante l’Illuminismo scoperte così importanti in campo scientifico siano nate in seno all’ambiente ecclesiale?

 

Assolutamente no, la Chiesa non è mai stata estranea alla scienza per quanto si voglia affermare il contrario. È la storia stessa della scienza a dimostrarlo. Al di là dell’Illuminismo domandiamoci perché, come ho detto prima, un uomo come Galileo, spesso usato ad esempio di inconciliabilità fra fede e ragione, fosse così intimamente amico di Castelli. La corrispondenza fra i due era fittissima e durò tutta la vita. Se qualche appunto si può fare poi a come si svolse il processo a Galilei si deve comunque aggiungere che non giovò allo scienziato l’aver ignorato i consigli del cardinal Bellarmino, il quale suggeriva di proporre i suoi scritti sotto forma di “ipotesi” e non di “dimostrazione” certa. Copernico era anch’egli un religioso e proprio perché propose le proprie argomentazioni come ipotetiche venne lasciato in pace.

 

E oggi la situazione com’è? Qual è il rapporto che avete con il mondo accademico e scientifico “istituzionale”?

 

Più che buono. Il nostro osservatorio, dopo non poche vicissitudini, è tornato ancora attivo. Oggi riusciamo ad essere sempre aggiornati con la ricerca e con gli strumenti che vengono finanziati dalla Regione Umbria e dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. In cambio noi garantiamo la manutenzione di tutte le stazioni qui in Umbria, nonché il monitoraggio della regione. Proprio in questi giorni abbiamo poi finito di raccogliere i dati per un istituto di Trieste che sta facendo una ricerca qui in Umbria. Questa è una delle numerosissime collaborazioni che abbiamo con altri istituti italiani. Abbiamo poi effettuato circa dieci anni fa, insieme a molti enti scientifici europei, un’intera “radiografia” della situazione del Vesuvio. Personalmente sto cercando di ripetere questa esperienza sia per la grande utilità sia perché dopo una decina di anni sarebbe il caso di monitorare le modifiche sul territorio.

 

Con il terremoto dell’Abruzzo siete stati coinvolti?

 

Non direttamente. Ovviamente abbiamo registrato tutto. Ma questo è pressoché inevitabile, vista la grande qualità dei nostri strumenti. Basti pensare che quando ci fu il famoso tsunami fummo in grado di registrare perfettamente l’evento. Ma non siamo stati coinvolti, dal momento che il nostro obiettivo primario è tenere sotto controllo l’Umbria.

 

Un’ultima richiesta: potrebbe descriverci la sua doppia attività?

 

Sono il superiore dell’Abazia di San Pietro e in più sono sismologo, direttore dell’osservatorio sismico dell’abazia. La doppia attività non mi pesa per niente, perché sognavo di intraprenderla fin da quando ero ragazzino. All’epoca era appena morto l’abate Paoloni, di cui ho detto prima. Egli aveva rimesso in sesto l’osservatorio, ma dopo la sua dipartita gli strumenti sono stati lasciati un po’ in abbandono. Mi ricordo che con il mio amico, padre Pietro Inama, decidemmo che prima o poi li avremmo rifatti funzionare come si doveva. Appena divenni benedettino però il mio priore mi condannò a laurearmi in Economia e Commercio, e quindi dovetti rimandare. Con l’arrivo del successivo priore fui libero di dedicarmi alla sismologia e nel 1971, finalmente, potemmo ridare inizio all’attività del nostro osservatorio.