Il titolo dice tutto. O meglio, dice della natura profonda delle opere di Letizia Fornasieri. Non solo di quelle presentate nella bella mostra antologica mantovana (Palazzo della Ragione, fino al 19 aprile), ma di tutte le sue opere. A leggerlo, quel titolo, si vorrebbe fosse il programma della vita. Che desiderare d’altro se non vivere ogni giorno la gloria di quel giorno? Saper riconoscere lo splendore delle cose quotidiane?
Guardando i dipinti presentati nella mostra forse si può carpire il segreto di questo sguardo alla loro autrice. Letizia Fornasieri è una donna schiva, che non ama parlare di sé e non “spiega” i suoi quadri, perché tanto sono lì a “spiegarsi” da soli.
Cosa cerca Letizia Fornasieri nella pittura? Bisogna essere precisi. La pittura è un mezzo. Il mezzo. Quello che cerca questa pittrice sono le cose. Per meglio dire, quello che cerca e che indaga è la realtà. Letizia afferma che pensando a ciò che la muove nel suo lavoro riconosce di essere sempre partita dalla realtà. Dice: «Mi interessa capire perché c’è lì la mela, in cucina. Perché ci sono io lì con lei?». Ma per cercare ci vuole un metodo, una ragione. E la ragione si palesa nel lavoro paziente, quotidiano della pittrice. Giovanni Testori, grande critico d’arte e pittore egli stesso, scrisse: «Credo che ci sia un indirizzo infallibile: non sbaglierà, nonostante tutti gli errori, chi avrà voluto bene alla realtà, ossia alla Creazione. Se vuoi bene alla Creazione, puoi anche scrivere o dipingere le cose più tremende: esse sono già salvate dal Creatore fatto carne. Amando la realtà, ci sei dentro, ci vivi già dentro, e abbracci il tuo tema, senza bisogno di fare come facevano i Neorealisti, che dovevano controllare com’è fatta la cucina, com’è fatta la bottiglia, com’è fatta la minestra, e così via. Ma la cucina, la bottiglia, la minestra sono già dentro quell’atto d’amore, basta chiamarli e, tac, ti saltano alla penna, al pennello».
Credo che questa frase descriva il lavoro di Letizia Fornasieri, come ben comprende chi vede i suoi dipinti.
La mostra ci fa entrare nel mondo di Letizia, ci permette di seguirla e scoprire il suo sguardo sulle piccole e grandi cose del suo mondo. Seguiamo la scansione che il percorso ci propone e ci addentriamo nel mondo di Letizia Fornasieri, conoscendolo attraverso la sua pittura.
«Scopro nella mia casa stanze che non conoscevo». Ci sono piccoli frammenti di scrivania o di tavoli, con le cose normali. Tubetti di colore, pennelli, scatole di pastelli, libri, quaderni, blocchi per gli schizzi. Qua e là frutti, fiori, stoffe, una teiera. Spiragli di stanze, scorci di finestre. Ci addentriamo con la pittrice nei meandri dei suoi spazi privati, inquadrati selezionando il punto di vista, ma mai messi in posa. Emergono dipinti di piccolo e grande formato, potenti come pale d’altare. Ogni luogo, ogni oggetto evoca una presenza. Ci si aspetta che da un momento all’altro qualcuno passi e modifichi la situazione che il quadro ha fissato. Talvolta le presenze non sono solo evocate, come quando la mamma o la sorella Annetta o l’artista stessa sono dentro le stanze dipinte.
«I fili del tram, tesi nell’aria, tessono una rete che mi trattiene». Dall’ambito privato delle stanze di casa o dello studio lo sguardo di Letizia si affaccia all’esterno e indaga la città. Non una città generica, ma Milano. Anche in questo caso emerge un’identità, una specificità. Quasi Milano fosse una persona, che la pittrice ci presenta attraverso il suo personalissimo punto di vista. Sono i particolari che vengono ingigantiti nei quadri. L’incrocio dei fili aerei dell’elettricità che muove le filovie, le foreste di semafori che animano gli angoli della città, e poi i balconi, le case. Tanti gli istanti rubati sul metrò o in tram, dove ci appaiono braccia, mani e frammenti di una umanità che popola ogni mattina i percorsi dei mezzi pubblici.
«Piante disegnano ombre e sussurrano al sole». La terza e ultima sezione della mostra è animata da fiori e piante, un tema su cui Letizia si è molto soffermata negli anni recenti. Ma non bisogna farsi ingannare: non si tratta di quadri di genere, decorativi. Non c’è fiore in un vaso o pianta che sia nel quadro per caso. Al posto di quella cassetta di gerani, vicino alle scarpe da tennis, non potrebbero stare altri fiori. Si può quasi dire che anche quando dipinge i fiori Letizia gli fa il ritratto. Perché di essi cerca di far emergere l’identità, l’unicità. La loro natura essenziale di Segno, nel senso che diceva Testori. Un’opera su tutte porta con forza questa qualità: sono I girasoli della Cascinazza. Un grande fiore di girasole e uno più piccolo, quasi secchi, appoggiati discretamente sulla tovaglietta ricamata che ricopre una mensola. Come due offerte sacrificali, una sorta di Eucarestia che si dà sulla semplice mensa della realtà quotidiana. Non penso che il paragone sia blasfemo. Se la realtà è Cristo (come scrive san Paolo nella Lettera ai Colossesi, 2,15), allora anche quei girasoli “sacrificati” sulla mensola-altare rimandano a Lui, al Creatore di cui ci ha scritto Testori.
Accade poi che una pianta o un fiore non sia mai da solo. Lo sguardo della pittrice lo osserva e indaga il suo rapporto con gli altri segni che lo circondano e ci mostra quello che vede. Perché l’artista ha tra i suoi compiti principali quello della profezia. Una profezia semplice, quella di farci vedere la realtà, di farci accorgere di essa.
In un suo diario Letizia Fornasieri ci svela il suo segreto, semplice e grande. Un testo che invito a tenere a mente mentre si guardano i suoi bei dipinti: «Ed ho capito che le cose sono “a posto”, sono contente, se appartengono a qualcuno, se io le guardo e dico loro: voi mi interessate, voi siete belle, stiamo qui insieme”».