L’ultima fatica di Paolo Prodi, professore ordinario di Storia Moderna presso l’Università di Bologna, si intitola Settimo non rubare. Furto e mercato nella storia dell’Occidente (Il Mulino 2009). Come già in precedenti studi, Prodi non teme di arrischiare, a partire da un punto focale via via individuato, la ricostruzione storica di grande respiro. Così è in questo volume, che analizza la concezione del furto in rapporto al mercato e giunge a illuminare anche alcuni aspetti del nostro presente. Per il Sussidiario il professor Prodi ha scritto una sintesi del suo lavoro



Dopo l’irrompere della crisi economica, oggi non è semplice parlare del settimo comandamento “Non rubare”: nell’attuale crisi, i confini tra furto/non furto sono difficili da determinare. È dunque interessante esaminare il peso del VII comandamento del decalogo di Mosé nel corso della storia, con un’attenzione precipua all’eventuale evolversi della sua applicazione nella realtà quotidiana in relazione all’evolversi del mercato.



L’ipotesi da cui sono partito è la seguente: la globalizzazione attuale segna la fine del mercato occidentale così come si è sviluppato negli ultimi secoli, dopo la prima globalizzazione a partire dal Cinquecento. È venuto meno, infatti, il rapporto di equilibrio e di tensione tra la politica e il mercato che ha caratterizzato lo sviluppo precedente, tra democrazia e mercato.

Nascita del mercato

 

In precedenti ricerche ho cercato di comprendere come si è sviluppata intorno al Mille, con la riforma gregoriana e la lotta tra papato ed impero, la separazione di potere politico / potere religioso. La rivalità tra i detentori del potere politico e di quello religioso favorisce un pluralismo tra i diversi ordinamenti che diviene il punto di partenza del sistema giuridico occidentale.



Nella recente ricerca miro a dimostrare come nello stesso periodo storico la separazione tra il potere sacro e il potere politico porta alla nascita del mercato come sede autonoma e collettiva per stabilire il valore dei beni. Lentamente l’attività del mercante e della fiera viene a distinguersi da quella politica e giudiziaria. Il mercato si affianca, senza confondersi, ai poteri politico ed ecclesiastico. La rivoluzione commerciale e finanziaria che si sviluppa nel secondo Medioevo e che porterà l’Europa al dominio del mondo è fondata sulla separazione del potere sacro da quello politico, sulla quale si innesta l’autonomia dell’economico.

Ma questo implica che i tre poteri coesistano e in qualche modo si sorreggano a vicenda senza però identificarsi, almeno sino ai totalitarismi del secolo ventesimo che rappresentano il primo grande tentativo di fusione del sacro, del politico e dell’economico (sia nello statalismo nazista che in quello comunista) e quindi anche la prima grande crisi dell’Occidente. Penso che questa minaccia possa riproporsi nel prossimo futuro in termini ancor più totalizzanti.

La nuova idea di furto

Ne consegue che, con la nascita del mercato occidentale (XII-XVIII secolo), sono mutate idea e prassi del furto; tale mutamento ha costituito una componente importante sulla strada verso la modernità. Si è passati a una concezione del furto come infrazione delle regole della comunità umana nel possesso e nell’uso dei beni, come violazione fraudolenta di un contratto, sia formalmente stipulato tra due o più soggetti, sia implicitamente compreso nei patti di convivenza di una comunità.

Un problema lasciato in ombra sino ad ora dal rinnovamento storiografico è quello della trasformazione del concetto stesso di “furto” da sottrazione dei beni altrui a lesione delle leggi del mercato. Nel mio libro intendo esaminare l’istituto del “furto” nel suo divenire storico concreto in rapporto con la genesi e lo sviluppo del mercato occidentale, come tendenza ad impadronirsi dei beni del prossimo per mezzo del mercato, infrangendo o deformando le sue regole.

Ma nell’Europa cristiana il mercato in quanto soggetto collettivo non può essere peccatore: sono i singoli protagonisti del mercato a commetterlo, violandone le regole sia dall’interno, sia dall’esterno. Il principio della responsabilità personale rimane quello della restitutio: non si può concedere l’assoluzione se il penitente non restituisce il maltolto. I teologi morali e i canonisti cercheranno di unire la responsabilità personale del mercante con i problemi del mercato, che mutano continuamente. Ciò viene fatto non per stabilire una teoria economica, ma per tutelare il mercato.

Al di là della responsabilità personale del singolo sul piano della correttezza, emergono alcuni nodi fenomenologici e strutturali di lunga durata con i quali si misura l’esistenza e il funzionamento del mercato come persona collettiva e la violazione delle sue regole come furto, contro il VII comandamento. Non è possibile svilupparli in una breve sintesi. Segnalo solo che gli oggetti della mia riflessione: lesioni alla concorrenza (monopoli e accordi); tassazione; moneta; salario; beni non alienabili e proprietà comuni; «turpe lucrum» (illiceità nell’acquisizione della ricchezza) e gioco; interesse, usura e rendite finanziarie.

Furto e mercato nell’età moderna

La lesione delle regole del mercato sarà definita nei secoli dell’età moderna sempre più come offesa alle leggi dell’economia e alle leggi dello Stato; ma essa rimane pur sempre, nei più diversi contesti politici e religiosi, una violazione del VII comandamento, un’offesa a Dio. Aumenta l’importanza della coscienza del commerciante come base del giudizio sulla liceità o illiceità dei contratti: diminuiscono o spariscono i processi canonici per cause relative ad usure e altre lesioni contrattuali, ma il tribunale della coscienza sembra entrare e diffondersi all’interno del mercato, nelle diverse forme previste dalle varie Chiese cristiane. Si può dire in altri termini che nei secoli dell’età moderna si attua in Europa una “costituzione economica” soprannazionale, basata su principi ben definiti: libertà di commercio, difesa della concorrenza e condanna dei monopoli, universalità del prestito bancario, sopra-nazionalità delle grandi borse di capitali, convertibilità delle monete, società anonime di capitali ecc. Esso rimane in vigore per secoli ed entra in crisi soltanto nell’Ottocento con lo “Stato commerciale chiuso” e l’imperialismo: morirà nel XX secolo, nell’incendio della prima guerra mondiale e con l’avvento dei totalitarismi. Il nazismo e il comunismo non sono soltanto nuove religioni politiche, ma anche religioni economiche.

Riflessioni attuali

Ciò ci aiuta a capire che anche per quanto riguarda il mercato stiamo uscendo da un’epoca: il dualismo nel quale il mercato occidentale si è sviluppato negli ultimi secoli nella dialettica tra i due piani di norme, quelle positive e quelle morali, sta finendo. Questo dualismo (sinora mantenuto anche nella società secolarizzata), che ha permesso lo sviluppo delle nostre libertà e del Welfare State, è ora messo in crisi per la tendenza dell’economico a inglobare in un nuovo monopolio del potere tutta la vita dell’uomo.

Oggi siamo a rischio di uscire da questa nostra storia occidentale. L’egemonia del potere economico planetario su un potere politico in crisi e sulle norme etiche minaccia direttamente la sopravvivenza stessa del mercato. Il confine tra il furto e il comportamento «onesto» diviene sempre più incerto, come sempre più incerto appare il confine tra proprietà privata e bene comune. Gli scandali e le truffe finanziarie di maggiore portata (Enron, Parmalat, bonds argentini ecc.) sono noti a tutti; ma sono soltanto le cime di un sistema montuoso costituito da un’enorme catena di furti impuniti o quasi legalizzati.

Il prevalere dell’economia finanziaria sull’economia reale, lo sviluppo delle false privatizzazioni nelle quali la proprietà diviene privata ma di fatto rimane un monopolio o quasi monopolio; l’aumento incredibile delle rendite rispetto ai redditi di lavoro e la sperequazione all’interno stesso delle retribuzioni (che ha distrutto il concetto cardine del «giusto salario») sono tutti fenomeni che hanno messo oggettivamente in crisi l’ordine e i valori tradizionali della proprietà, del mio e del tuo.

Non sappiamo come andrà a finire, ma certo siamo di fronte a grandi mutamenti. Il mercato deve ricevere dall’esterno le proprie regole e i propri scopi: deve misurarsi con il bene comune, con il potere politico, con la democrazia e con l’etica della fiducia. Anche il VII comandamento “Non rubare” deve trovare una sua nuova declinazione.

La costruzione di una struttura politica globale del pianeta può certamente risolvere il problema dell’anarchia attuale, ma attraverso soluzioni diverse o addirittura opposte: o l’invenzione di nuove forme di democrazia in cui possano essere conservate le nostre libertà nella tradizionale dialettica con l’economia; oppure in una direzione che ci allontana dalla nostra tradizione, verso lo sviluppo di una nuova economia “palaziale”, per indicare con questo termine antico la unificazione e ri-sacralizzazione del potere politico-economico, nella saldatura di grandi blocchi economico-politici destinati a rivestirsi di ideologie contrapposte, con il pericolo di scontri globali.

La sfida non è, come è stato giustamente detto, tra un mercato occidentale che persegue soltanto l’egoistico obiettivo del conto profitti e perdite e un mercato orientale-asiatico fondato e sponsorizzato dallo Stato. Il problema è di capire se l’Occidente riuscirà a conservare con la democrazia la separazione tra potere sacro, potere politico e potere economico nella dialettica tra interesse privato e bene pubblico; se il comandamento di non rubare rimarrà ad un tempo come condizione per la salvezza dell’individuo e del mercato.