Nell’ottobre del 2007 l’Università degli Studi di Torino ospitò un convegno dal titolo Tre icone per l’educazione del futuro. Giussani, Morin, MacIntyre. All’evento partecipò un gran numero, oltre che di relatori, di spettatori attratti dall’accostamento di queste tre importanti figure di intellettuali, diverse per storia, ma accomunate dalla passione educativa. A poco più di un anno da allora la casa editrice SEI ha pubblicato la raccolta degli atti del convegno, curata dal professor Giorgio Chiosso, in un volume intitolato Sperare nell’uomo. Abbiamo dunque chiesto a lui sia di presentarci l’opera in questione sia di offrirci il proprio punto di vista sull’attuale situazione educativa nella società contemporanea.



Professor Chiosso, il convegno e, conseguentemente, il volume di cui parliamo ha ospitato relatori per lo più estranei allo studio pedagogico ed educativo. Per quale motivo?

Fondamentalmente perché la convinzione dei promotori del convegno, e mia personale, è che il problema dell’educazione sia un problema che coinvolge più competenze, sollecita più responsabilità e comunque sia oggetto di interesse culturale anche da parte di chi professionalmente non svolge attività educativa. Il libro è il risultato di questa convergente serie di contributi dove appunto trova posto l’opinione di sociologi come per esempio Luciano Gallino, Sergio Manghi o Guglielmo Malizia, filosofi come Enrico Berti, Massimo Mori e Costantino Esposito, economisti e giuristi come Lorenzo Caselli e Mario Dogliani, oltre a un certo numero, ovviamente, anche di studiosi di pedagogia come Roberto Sani, Anna Marina Mariani, Carla Xodo e altri.



Come mai la scelta è stata quella di incentrare l’evento e il volume proprio su queste tre figure?

È sembrato giusto, anziché affrontare il tema dell’educazione nei suoi connotati generali,  concentrarci su tre protagonisti dell’educazione contemporanea e anche su tre figure che non sono immediatamente riconducibili alla cultura pedagogica educativa come normalmente la si intende. Abbiamo infatti un sacerdote che si è rapportato con i giovani ed ha maturato una sensibilità pedagogica acutissima facendo del tema educativo quasi uno degli assi portanti della sua spiritualità, un filosofo-sociologo che si confronta con il problema delle trasformazioni del mondo e della società globale e  su quali rapporti esistano tra questa “società-mondo” e i nuovi processi di apprendimento e, infine, un filosofo “comunitarista” come McIntyre che invece pone al centro dell’esperienza umana la partecipazione ad un’avventura collettiva dentro una comunità sociale. Ci sono quindi parsi tre approcci oggettivamente differenti ma uniti e formanti un fronte comune nei confronti dell’individualismo esasperato del nostro tempo.



 

Qual è, a suo avviso, il contributo pedagogico più rilevante che diede mons. Luigi Giussani al di là del proprio ambiente, ovvero in ambito scientifico e accademico?

Io penso che i meriti di Giussani da un punto di vista generale e culturale siano principalmente due. Il primo consiste in questo suo insistito richiamo alla libertà dell’uomo e all’educazione di tale libertà. Educazione perché la libertà non si traduca in un evento per così dire “anarchico”, ma sia sempre accompagnata dal principio della responsabilità. Da questo punto di vista la sua idea di “rischio” è, secondo me, davvero produttiva, ricca. In una società che non ha più punti di riferimento, che è pluralista sotto tutti i punti di vista, la libertà per Giussani si associa sempre ad un rischio, ad un’avventura e a un incontro con una realtà, quella dell’educatore, che si configura estremamente complessa e assume i toni di una vera e propria “sfida”. L’educazione viene concepita come una sfida per far crescere la libertà dell’altro. E questo è un grande insegnamento in primo luogo per gli adulti, perché raccolgano questa sfida, e anche per i giovani perché non la sprechino.

Quindi è un insegnamento bilaterale?

Certo, perché educa sia chi lo riceve sia chi lo esercita.

Il secondo elemento è l’idea del maestro. In un contesto che tende a negare i principi di autorità e autorevolezza, che immagina che l’individuo si possa formare da sé, Giussani ci dice che l’individuo si fa sempre insieme ad un altro, grazie all’incontro con un altro. E l’altro contiene sempre un portato significativo, non viene concepito come “quello che ti fa la predica”, ma colui che racconta e traduce un’esperienza. Tale principio Giussani lo riprende da Romano Guardini rilanciandolo però con originalità e forza.

A questi due elementi si aggiunge il principio che l’educazione si deve radicare ad una tradizione. Un altro pericolo del mondo d’oggi è che il relativismo dissolva la tradizione, svuotandola di senso. Giussani fa risorgere la tradizione proprio in quanto la pone a piedistallo dei due elementi che ho sopra indicato: educazione alla libertà e figura del maestro.

Visto gli appunti che lei fa alla società attuale viene da chiederle un commento al titolo del volume che raccoglie questi contributi. “Sperare nell’uomo” ha un suono strano in un mondo che dà sempre maggior spazio al dominio della tecnica, anche sull’uomo stesso, e relega la persona al ruolo di componente di un meccanismo più vasto. Che speranza si può riporre dunque nell’uomo?

Il titolo in un certo senso ha l’ambizione di unire in tre parole il senso complessivo del convegno e del libro. Perché questi tre personaggi, diversi per collocazione culturale, per formazione e per luoghi di attività, a noi è sembrato che avessero, ripeto, un elemento in comune. Questo è la centralità dell’uomo. Per tutti e tre questi pensatori il futuro positivo del mondo e dell’educazione indissolubilmente legato alla capacità dell’uomo di non essere e rappresentare soltanto uno strumento usato per fini economici e concepito in termini esclusivamente biologici, ma come un’esperienza che dà senso alle cose.

Per Giussani l’uomo è l’esperienza che dà senso alla realtà, per Edgar Morin lo dà alla società e per Alasdair McIntyre al vivere in una comunità.

Come commenta il IX Forum del Progetto Culturale organizzato dalla Cei e dedicato all’emergenza educativa?

 

Quanto più si attivano energie in favore dell’educazione, è questa coglie particolarmente l’invito di Sua Santità Benedetto XVI a cercare di risolvere il problema educativo, tanto più facilmente e velocemente si potrà sperare in un’inversione di tendenza. Oggi il problema educativo è un’emergenza assai sentita perché, nel momento in cui si assiste a una totale relativizzazione dei valori, si avverte anche il rischio che l’autentica educazione sfumi e che predomini l’idea di un’autoformazione da parte degli esseri umani. Il processo educativo si realizza solo insieme alla presenza e agli sforzi della famiglia, della scuola, della comunità e via dicendo, insomma mediante una logica di più interventi.

Si può dire “mediante una compagnia dotata di uno sguardo autenticamente umano”?

L’educazione è in primo luogo un “fatto umano” e non può essere ridotta né ad addestramento, il che accade laddove prevale la logica della tecnica e la convinzione che se uno ha imparato delle competenze è automaticamente educato, né a una logica che renda l’individuo totalmente autarchico

L’aiuto di questi tre grandi intellettuali di alto profilo è forse in primo luogo questo. Per tutta la loro vita hanno dimostrato quanto la realtà già di suo ha sempre reso evidente, ma che sembra sempre più dimenticato, ossia che l’educazione è il prodotto di persone che interagiscono in un rapporto.