Una crisi economica mondiale, il rischio di una guerra nucleare, il diffondersi di epidemie violente, catastrofi, terremoti. In tempi di crisi come quello che stiamo vivendo si può essere tentati dal fascino oscuro dell’Apocalisse, da una cupio dissolvi colma di disperazione. E allora può essere utile considerare come altri uomini, prima di noi, vivevano situazioni incomparabilmente peggiori e videro prodigi straordinari accadere davanti ai loro occhi. Il 29 aprile del 1429 accadde uno di quei miracoli: una vicenda così intrinsecamente assurda da non riuscire credibile, se non fosse per il fatto che le prove e le testimonianze dimostrano ciò che è accaduto al di là di ogni ragionevole dubbio.



All’inizio di quell’anno la ricca e potente Francia, popolata da venti milioni di abitanti, stava per essere piegata dall’Inghilterra (quattro milioni di abitanti) e la causa della sconfitta risiedeva, principalmente, in una marcata inferiorità militare: fin dall’inizio gli inglesi si erano dimostrati meglio organizzati tatticamente, infliggendo una serie di spaventose sconfitte alla cavalleria francese, l’ultima delle quali ad Agincourt, nel 1415. Possiamo solo immaginare quale fosse la disperazione di uomini e donne francesi: la Borgogna era alleata degli Inglesi, il re di Francia era senza mezzi e senza prestigio e la principessa Isabella di Francia aveva sposato Enrico V, re d’Inghilterra, dando alla luce il piccolo Enrico VI, futuro re di Francia e di Inghilterra. Non era solo la devastazione della guerra, l’imperversare delle pestilenze, l’occupazione militare inglese, le rivolte contadine contro i nobili e le spietate repressioni che ne seguivano: era la perdita del senso di appartenenza a un re, a una nazione potente per secoli che aveva eretto cattedrali e stupito il mondo coi suoi sovrani e i suoi santi. Al successo definitivo di inglesi e borgognoni mancava solo la città di Orléans: con essa, gli inglesi avrebbero avuto libero accesso ai territori a sud della Loira, così da collegarsi alla Guyenne, già da molto tempo possedimento britannico.



L’assedio di Orléans, iniziato il 17 ottobre 1428, era stato condotto con molto metodo e senza alcuna fretta da parte inglese. La resa appariva ormai certa, tanto che il duca di Bedford respinse la proposta di fare di Orléans una città aperta e i borgognoni, indignati, ritirarono il proprio contingente dall’assedio senza gli inglesi si preoccupassero più di tanto.

Eppure, incredibilmente, la sera di venerdì 29 aprile 1429, un esercito di soccorso entrava in Orléans dalla porta di Borgogna, alla luce delle torce, tra due ali di folla acclamante. Innanzi ai cavalieri, una fanciulla rivestita di una candida armatura innalzava il vessillo con le parole “Jesus Maria”. Fu allora che iniziò la prodigiosa avventura terrena di Giovanna d’Arco. Già in quell’occasione dimostrò prontezza di spirito in misura straordinaria per una ragazza della sua età: una torcia aveva dato fuoco al suo vessillo ma ella, padroneggiando il cavallo, avvolse lo stendardo e spense il fuoco senza scomporsi minimamente. Ma ben altre gesta doveva compiere nei nove giorni successivi, tanti quanti durò la novena di preghiera da lei iniziata appena entrata in città.  



Jeannette la Pucelle, come preferiva farsi chiamare, veniva da Domremy, in Lorena. Una ragazza normale, sui diciassette anni, vissuta in un’epoca in cui la donna non godeva più dell’autonomia e del prestigio propri del Medioevo. Nel Quattrocento era già iniziato il processo di discriminazione che avrebbe portato la donna a una completa subordinazione nei confronti dell’uomo, fosse, il marito, il fratello o il figlio. Eppure Jeanne aveva convinto uno sperimentato comandante come Robert de Baudricourt, difensore di Vaucouleurs, che la sua missione era salvare la Francia e, per farlo, doveva recarsi a Chinon, dal Delfino Carlo VII, per mettersi a capo di un esercito.

L’effetto di Giovanna sui potenti del suo tempo fu sempre lo stesso: un iniziale scetticismo che, dopo il primo incontro, lasciava il posto al rispetto e poi alla stima fino a una devozione sorprendente, quanto così razionalmente motivata da non lasciare scampo. Va detto che da Carlo VII all’ultimo uomo d’arme, dai cardinali più colti e influenti fino al prete più meschino, i francesi del XV secolo diffidavano del soprannaturale ed erano più pronti a mandare al rogo che ad onorare una donna che fosse in possesso di qualità così eccezionali. Eppure, all’adolescente di Lorena venne davvero dato un esercito per liberare Orléans dall’assedio, insieme a comandanti esperti come il giovane duca D’Alençon, il guascone Etienne de Vignole, detto “La Hire” e Gilles, signore di Rais, che passerà alla storia criminale col soprannome di Barbablù.

Ma Giovanna non era un pupazzo e nemmeno un feticcio portafortuna. Allontanò le prostitute dall’accampamento, ristabilì l’ordine e la pietà religiosa esortando gli uomini a confessarsi e a pregare in vista della battaglia: esattamente quello che va fatto in simili circostanze, incrementando la motivazione dei soldati affinché potessero sopportare il terrore del combattimento. In seguito il suo comportamento fu quello di un vero comandante, intervenendo anche in questioni tattiche dove dimostrò audacia e sagacia. Il 30 aprile offrì agli inglesi la possibilità di allontanarsi dalla città senza che si dovesse giungere a un combattimento, ma la sua proposta apparve così ridicola che la sola replica fu una sequela di insulti pesantissimi. Mentre i giorni passavano senza novità, Giovanna sospettava che i comandanti cercassero di tenerla fuori dalla lotta e, il 4 maggio, risvegliandosi da un breve sonno, ebbe la percezione che si stava combattendo fuori dalla città. In effetti, i francesi avevano attaccato la ridotta di Saint Loup e ne erano stati respinti ma l’arrivo di Giovanna rianimò gli attaccanti e la ridotta fu conquistata. Dopo questo primo scontro Giovanna pianse a dirotto per tante vite perdute, francesi e inglesi, molte senza una preventiva confessione: così chiese a tutti i soldati di confessarsi e di rendere grazie a Dio per la vittoria ottenuta. Il 5 maggio, giorno dell’Ascensione, Giovanna rispettò la tregua ma il 6 riprese l’offensiva, a dispetto della prudenza dei comandanti che preferivano non rischiare un nuovo rovescio in una situazione così delicata. Tra Giovanna e Gaucourt, governatore d’Orléans, iniziò una discussione che degenerò in alterco; alla fine Giovanna riuscì a farsi seguire dagli uomini d’arme in una sortita audacissima e che si sarebbe rivelata decisiva. I francesi passarono sulla riva sinistra della Loira con l’obiettivo di riconquistare la bastia degli Agostiniani e le Tourelles, che chiudevano la città da sud. Vennero affrontati da un contingente inglese ma Giovanna e La Hire caricarono a lancia abbassata, seguiti dai propri uomini. Gli inglesi furono respinti verso la bastia degli Agostiniani, inseguiti così dappresso che i francesi conquistarono la fortificazione, annientando gran parte della guarnigione, mentre i superstiti si trinceravano alle Tourelles. Sabato 7 maggio 1429, i francesi partirono all’attacco del forte che bloccava la città ma, verso mezzogiorno, Giovanna venne colpita da un verrettone che perforò la corazza e le ferì il petto, poco sopra il seno. Curata sommariamente con un’applicazione di olio d’oliva e lardo, la Pulzella riprese l’attacco fino a sera, continuando a incoraggiare i suoi uomini, fino a che la bastia venne espugnata e gran parte della guarnigione uccisa o annegata per il crollo del ponte. L’8 maggio gli inglesi tolsero l’assedio: Orléans era salva e la storia di Francia era stata cambiata per sempre e in modo radicale.

Nella pausa che seguì, Giovanna fece quello che avrebbe fatto una ragazza della sua età: imparò a giocare a tennis. Si narra, infatti, che a Selles-en Berry ella abbia giocato una partita di pallacorda col giovane Guy de Laval e questo particolare episodio descrive bene la paradossale “normalità” di una ragazza che, in quei giorni, aveva piegato al proprio volere i consiglieri di Carlo VII. Questi, infatti, avrebbero voluto puntare sulla Normandia o su Parigi ma Giovanna intuì che solo una consacrazione a Reims, con l’olio santo che vi era custodito, avrebbe ridato a Carlo VII quel prestigio e quell’autorità morale su tutto il paese che fino ad allora mancava e che era il vero punto debole della delegittimata corona francese. Fu ancora merito di Giovanna se l’esercito francese incalzò gli inglesi senza dar loro tregua, conquistando Jargeau il 14 giugno e Beaugency subito dopo. Poi, il 18 giugno, l’avanguardia di La Hire colse di sorpresa l’esercito inglese a Patay e lo sgominò completamente. La strada verso Reims e verso l’incoronazione di Carlo VII era aperta.

Fu quello il culmine della carriera militare di Giovanna d’Arco. Dopo il trionfo di Reims seguirono altre campagne, con effettivi sempre più esigui e con fallimenti sempre più marcati, come quello davanti a Parigi, nel settembre 1429, o a La Charité sur Loire nel novembre successivo. Giovanna, del resto, era conscia che sarebbe «durata un anno o poco più» prevedendo anche il momento della propria cattura nel corso di una sortita fuori di Compiégne. Le si preparava un altro tipo di battaglia, culturale, religiosa e giuridica, nella quale dimostrò, come aveva sempre fatto, quell’allegra umiltà, quell’incosciente saggezza, quell’eccezionale normalità che tanto colpiva chi la incontrava. Giovanna sopportò tutto, anche i maltrattamenti delle guardie, e non solo la morte sul rogo. Prigioniera di coscienza, fanciulla sottoposta a brutalità, ribelle ai vescovi e al potere politico, ma fedele al papa e alla Chiesa: Giovanna è così contemporanea ai drammi che viviamo da farci provare il bisogno della sua compagnia, della sua audacia, della sua freschezza. Una ragazzina senza tempo il cui motto è più che mai attuale: «Agite e Dio agirà! Gli uomini combatteranno e Dio darà la vittoria!».