Con Marta Sordi scompare una delle menti più lucide che gli studi storici italiani hanno avuto negli ultimi decenni. Per chi ha avuto la fortuna di assistere alle sue lezioni di Storia greca e Storia romana all’Università Cattolica di Milano, il ricordo che rimane intatto è quello di una mente vivacissima, capace di maneggiare con una confidenza straordinaria le fonti storiche antiche, conducendo lo studente alla scoperta personale e criticamente raggiunta della verità dei fatti accaduti nei secoli lontani della classicità.



Ma quello che resta è anche l’apporto specifico del magistero di Marta Sordi: gli studi insuperati sulla diffusione del cristianesimo nei primi secoli dell’impero romano, la capacità di leggere nel loro valore storico le fonti neotestamentarie, contro ogni pregiudizio ideologico, la lungimiranza nel seguire senza timidezza strade mai battute da altri. Questo il debito perenne che tutti noi abbiamo nei confronti di questa grandissima studiosa: l’aver tolto dai fumi dello scetticismo ideologico la storia delle origini e dei primi secoli del cristianesimo, restituendone la vera dimensione e il vero portato culturale e sociale. Per tenere vivo il ricordo di tutto questo, abbiamo deciso di proporre qui ai nostri lettori un inedito di Marta Sordi: una lezione/dibattito tenuta al Centro Culturale di Milano sulla figura di San Paolo. Ci sembra un buon modo per ricordarla.



Noi sentiamo parlare di Paolo ancora persecutore al tempo del martirio di santo Stefano. Questo si data, secondo me, nel 34 d.C. – eventualmente potrei spiegare perché lo dato con certezza nel 34 d.C. – e il testo degli Atti dice che Paolo era neanias, giovane; in latino classico questo “giovane” sarebbe tradotto con adulescens, che vuol dire sotto i trent’anni. Quindi doveva essere nato fra il 6, il 7, l’8 d.C.. Questa è l’unica cosa che si può dire, che sia proprio nato nell’8 d.C. non è certo. Però la data è scelta bene, in sostanza: doveva avere circa ventisei-ventisette anni, e va bene l’adulescens dei Romani. Per fare subito una scaletta della cronologia di Paolo, credo che si possa andare più sul sicuro, anche se sono in contrasto con quella tradizionale. La data del proconsolato di Cipro di Sergio Paolo è attestata da iscrizioni romane ed è tra il 46 e il 48 d.C.. Sergio Paolo è sicuramente anteriore al cosiddetto Concilio di Gerusalemme, per comune accettazione del 49, e si può stabilire sulla base della lettera ai Galati di san Paolo con le indicazioni “tre anni” e poi “quattordici anni”; con il calcolo inclusivo partendo dal 34 viene appunto il 49. Invece la data più importante per cominciare una cronologia di Paolo è il proconsolato di Gallione in Acaia. Giunio Gallione era il fratello di Seneca adottato da un’altra famiglia, ed è arrivato come proconsole in Acaia (e qui abbiamo l’iscrizione precisa) nell’estate del 51. Al momento dell’arrivo di Gallione, san Paolo era già da un anno e mezzo a Corinto, quindi doveva essere arrivato nel 50. Si incontra con Gallione e parte dopo alcuni giorni. Questo quadra perfettamente con l’arrivo di Aquila e di Priscilla da Roma, che erano arrivati prosphàtos, dice il testo, cioè recentemente, da poco, in seguito all’espulsione degli ebrei da Roma da parte di Claudio – attenzione, ho detto degli ebrei, e non dei cristiani e degli ebrei come si ritiene generalmente, perché questo è un falso, è un’interpretazione tarda di Orosio: chrestos non è Cristo, è un normale ebreo di Roma; il nome Crestus era molto diffuso tra gli ebrei, perché voleva dire buono. Quindi nel 49 Aquila e Priscilla, che poi saranno i collaboratori principali di Paolo, erano ancora ebrei; ovviamente si convertono, e diventano i suoi amici più intimi. Erano arrivati da poco; Paolo, dunque, sta a Corinto dal 50 fino all’estate del 51. Da lì parte per l’Asia – si parla di tre mesi e poi di due anni a Efeso: arriviamo al 52-53. Da Efeso egli ha già l’idea di andare a portare le collette a Gerusalemme per la Pentecoste dell’anno successivo, e poi vorrebbe andare a Roma.



Essendo ad Efeso nel 53, la Pentecoste cui lui pensava, evidentemente, è la primavera avanzata del 54. Arriva a Gerusalemme nel 54, effettivamente confermato dal fatto della procuratela di Antonio Felice – potrebbe essere anche Claudio, Felice è comunque il nome del procuratore romano di Giudea – il quale è il primo cui viene denunziato san Paolo e che inizia il processo. A questo punto gli Atti dicono: “essendo passati due anni, Felice ebbe come successore Porzio Festo”. Questi due anni sono la chiave di tutta la cronologia, perché sono stati intesi erroneamente, a mio avviso, come gli anni passati da Paolo in prigionia sotto Felice. Invece già uno studioso tedesco, il Lambertz – io mi sono rifatta a questo studio – sostiene giustamente che questi due anni sono gli anni delle procuratele sotto Claudio dei governatori della Giudea. I predecessori di Felice erano stati in carica tutti per due anni; dopo Porzio Festo avremo un cambiamento perché il procuratore si tratterrà per tutta la Giudea: non si tratta più di Claudio, bensì di Nerone; i governatori del tempo di Claudio, comunque, rimangono in carica tutti due anni, vale a dire dalla fine del 52 alla fine del 54, in questo caso. Questo è confermato dalle monete di Felice del 53 e del 54.

Controprova: sappiamo che gli ebrei accusarono Felice a Roma, perché aveva governato male, mentre Festo poi governò molto bene, e qui fu lasciato sul posto fino alla morte. In seguito al malgoverno di Felice, quindi, arrivò una protesta dei suoi sudditi e l’imperatore avrebbe dovuto punirlo, ma sia Tacito sia Flavio Giuseppe ci dicono che la causa fu insabbiata da Pallante, che era il fratello, uno dei potentissimi liberti di Claudio che era ancora al potere e che riuscì a bloccare la questione. Ora Pallante cadde in disgrazia da Nerone verso la metà del 55, quindi Felice è arrivato a Roma nel 55 e Festo alla fine del 54; Paolo è stato una stagione circa, di nuovo, con Porzio Festo, ha subito un processo sotto di lui e, ad un certo momento, ha fatto l’appello a Cesare per essere mandato a Roma direttamente. Festo, che aveva mandato anche Erode Agrippa per aiutarlo a capire qualcosa in questa faccenda disse: “Noi avremmo anche potuto assolvere, ma siccome si è appellato a Cesare ha diritto di andare a Roma”. La partenza di san Paolo per Roma è dell’anno 55 avanzato: gli Atti raccontano il viaggio che finì in autunno dopo varie soste in diversi punti del Mediterraneo, in seguito a quella a Malta nel 56, con l’arrivo in Sicilia e infine a Roma. La prigionia romana di Paolo, quindi, che è datata due anni interi, va dalla primavera/estate del 56 alla primavera/estate del 58. Un ultimo punto sulla cronologia che mi sembra molto saldo è che, stranamente, le lettere di Paolo a Seneca, di cui poi parleremo parlando di Roma, cominciano esattamente nell’estate del 58 e questo un falsario non poteva saperlo.

La cronologia più classica è diversa, però ha le sue ragioni. Voglio solo fare una domanda alla professoressa perché anche gli stessi Paolo e Luca, negli Atti degli Apostoli, dicono che Felice era da molti anni giudice di questo popolo, del popolo ebraico; la stessa informazione viene anche da Tacito.

Rispondo subito, dice da alcuni anni…

Il greco dice molti anni!

Il punto è questo: effettivamente Felice era stato anni prima in Samaria, quindi conosceva la zona e quindi è possibile dire che da parecchi anni nel 54…

–Sì, però da parecchi anni non vuol dire due…

Non so se si può giocare sui numeri… e comunque la data esatta viene riferita. 

Sì, però il problema è che neanche Luca ha tanto interesse nel datare le procuratele dei prefetti… comunque l’unico punto interessante, che secondo me vale la pena indagare (perché la cronologia di Paolo è veramente molto discussa e su di essa, al 100 per cento, non avremo mai certezze, tanto che non siamo neanche sicuri sulla nascita, né sull’anno della morte) sono questi rapporti molto ben stabiliti di Paolo con quelle personalità del mondo politico e culturale; su questo vale la pena fermarci un po’.

Certamente. Pensavo poi di parlarne in riferimento all’Asia o Roma, però non so se parlarne già adesso…

Parliamone…

Una cosa che colpisce è la capacità di Paolo di stabilire i rapporti con Pagani eminenti, sia Romani che Greci a Roma, questa è una cosa che mi ha colpito molto, oppure anche a livello semplicemente di centurioni. Proprio il rapporto con Sergio Paolo, il proconsole di Cipro – su cui in seguito insisteremo – poi ancora il rapporto a Efeso con gli asiarchi. Gli asiarchi erano suoi amici: quando scoppia il tumulto degli argentieri gli asiarchi, che erano amici di Paolo, gli dicono “non ti preoccupare, ci presentiamo noi a placare la folla” ed erano pagani, anzi erano coloro che si dedicavano al culto pagano delle province, erano Greci ma rappresentavano gli uomini di fiducia di Roma; il segretario dell’assemblea, ad un certo punto, dice: «state attenti, se ne occuperà il proconsole che non gradisce queste cose». Paolo, dunque, era in rapporto con gli asiarchi, con il segretario della Boulè che interviene a suo favore. Nel viaggio per Roma nasce il rapporto con un centurione, che si affeziona subito a Paolo. Il centurione doveva portare vari prigionieri a Roma: quando la nave è in pericolo e viene voglia di affondarla e di buttare a mare i prigionieri, non lo fa proprio perché vuole salvare Paolo. C’è, dunque, una capacità notevole di impostare il dialogo con i pagani, anche pagani della classe dirigente sia greca che romana. Questa è una premessa molto importante per il famoso epistolario ritenuto per lo più apocrifo fra san Paolo e Seneca, che invece rivelerebbe una amicizia duratura, un amicizia fra il principale consigliere di Nerone prima del 62 e Paolo. Ritorneremo su questo perché la capacità di dialogo, di discutere con questa gente, è un elemento molto importante.

Abbiamo fatto un salto sulla formazione di Paolo, e secondo me questo è molto importante. Faccio un riferimento alla nascita e alla formazione di Paolo, perché sicuramente è l’apostolo più conosciuto da tutti, grazie alle sue lettere e ai racconti che abbiamo nel libro degli Atti degli Apostoli. Addirittura Paolo ha scritto qualche notizia autobiografica nelle sue lettere, tutte molto interessanti. Da queste notizie autobiografiche si può dedurre almeno qualche punto fisso della sua origine e formazione. Prima di tutto ci tiene a dire che fa parte della tribù Beniamino, una delle tribù che rimasero fedeli al Patto con Javhé, perché abitava nella Giudea. Fu circonciso nell’ottavo giorno, tutto legale, come stipulato nella legge di Mosè. Ripete parecchie volte che è ebreo, figlio di ebrei. Secondo parecchi studiosi ciò significa che i suoi genitori erano originari della Palestina e addirittura che, probabilmente, parlavano la lingua aramaica. Evidentemente questo lo ripete dappertutto, in quasi tutte le sue lettere, è fariseo, educato proprio nella setta dei farisei. Cosa vuol dire questo? Secondo me è una cosa molto importante, perché significa che non appartiene soltanto a una setta di osservanza stretta della legge e che è uno studioso costante – questo si capisce leggendo le sue lettere: ha una conoscenza enorme dell’Antico Testamento – ma che apparteneva a un’élite religiosa, composta da laici preoccupati soltanto della santità rituale o della purezza rituale. Era impossibile poter vivere come un ebreo ortodosso fuori dalla terra della Palestina. Nella Diaspora non c’erano dei farisei. Questo significa che l’educazione di Paolo è avvenuta all’interno della terra della Palestina. Luca, negli Atti degli Apostoli, scrive questo su Paolo: “Io sono un giudeo (un ebreo), nato a Tarso di Cilicia, ma allevato in questa città (a Gerusalemme), educato ai piedi di Gamalien, nella rigida osservanza della legge dei nostri padri”. Qui usa tre verbi, tre participi, che sono molto interessanti, perché parla della sua nascita, situata a Tarso. Poi la crescita e anche la sua formazione come fariseo avviene a Gerusalemme. Uno studioso, poi seguito da altri, ha studiato filologicamente in modo molto accurato questi verbi: secondo lui Paolo cominciò a vivere nella città sacra prima che potesse guardare fuori dalla porta e camminare per la strada: cioè arriva da bimbo. Cosa vuol dire questo? Che tutta la formazione di Paolo è ebrea. Questo, secondo me, ha delle conseguenze molto interessanti rispetto a quella opinione o ipotesi molto diffusa soprattutto nel XIX e inizio del XX secolo, che afferma che Paolo è stato il vero fondatore del cristianesimo, perché è stato lui a fare questa simbiosi tra la fede cristiana della Palestina con la cultura greca ellenistica che aveva imparato nella città di Tarso. Invece no. Da quello che si deduce dalle sue lettere e da quello che afferma lo stesso Luca, lui è ebreo e la sua formazione non permette di fare questa simbiosi. Dopo mi fermerò un po’ per ragionare che non si può dedurre neanche da quello che lui racconta nella lettera ai Galati. Però è vero che lui sa il greco, anche se riconosce di saperlo male, per due volte lo riconosce (la seconda volta nella lettera ai Corinzi). Questo è normale perché la cultura greca era molto diffusa – su questo può parlare molto bene la professoressa Sordi – era molto diffusa e aveva anche penetrato la lingua e la cultura greca all’interno della Palestina. La cul tura, non tuttavia la religione, perché gli ebrei tenevano tantissimo a rimanere fedeli alla loro religione monoteistica, al loro Patto con Javhé. Quindi dalla sua formazione, dalla sua conoscenza, dal suo sviluppo, dall’infanzia fino a diventare un “rabbino”, lui non ha avuto questo influsso questa conoscenza della cultura ellenica. È vero che fa riferimento a qualche autore greco, che a volte cita, soprattutto nel discorso ad Atene, però uno potrebbe fare riferimenti a frasi e affermazioni di certi filosofi che invece non ha letto. Quindi non è che da lì si può dedurre con chiarezza che lui abbia avuto una formazione greca. Relativamente all’aspetto della formazione, sottolineerei questo aspetto, che è ebraico: lui inizia con Barnaba il suo primo viaggio missionario e infatti arriva al primo posto che loro due scelgono: Cipro. Normalmente gli studiosi dicono che è un’isola dove la presenza ebraica era molto diffusa, e questo potrebbe favorire la diffusione del cristianesimo. Però anche Alessandria era una città molto ebrea. Perché scelgono Cipro e poi il resto del primo viaggio?

Io sono d’accordo sul fatto che la formazione fondamentale di Paolo sia ebraica: lo dice lui. Però bisogna anche ricordare che era cittadino romano dalla nascita, il che vuol dire che apparteneva a una famiglia di rango piuttosto elevato, che probabilmente aveva avuto la cittadinanza – la cittadinanza l’aveva il padre – sotto Augusto. Infatti una delle ipotesi sul nome vero di Paolo come cittadino romano sarebbe Caius Iulius Saul. Iulius è probabile perché sarebbe il nome della gens di Augusto, e in generale i cittadini romani stranieri che prendevano cittadinanza romana assumevano il nome del patrono, cioè di colui che l’aveva data. Quindi andrebbe benissimo questa ipotesi. Naturalmente è un’ipotesi perché potrebbe essere stato un governatore romano ad avergliela data. Qui di fatto, l’essere cittadino romano dalla nascita presuppone anche un certo tipo di cultura. Indubbiamente sapeva il greco. Le citazioni che fa di Cleante o di Arato, che sono dei poeti greci stoici, di tendenza stoica nel discorso dell’Areopago, non necessariamente rivelano una cultura “appiccicata”, perché più avanti vedremo che lui sa impostare molto bene questo dialogo con gli stoici. Ora veniamo senz’altro alla missione in Asia, che per me è veramente importantissima perché è quella nella quale Paolo prende coscienza della sua missione per le genti. Dunque la prima tappa è Cipro: a Cipro Paolo e Barnaba non hanno intenzione di parlare ai pagani, sembra, ma stanno parlando a una sinagoga ebraica. Il proconsole di Cipro, che aveva presso di sé un mago ebreo, interessato a queste notizie lo chiama, Paolo compie un miracolo davanti a lui, e gli Atti dicono “il proconsole credette”. Non c’è dubbio che qui si tratta di una conversione, visto che il verbo greco pisteuo indica la credenza per fede: accettò la fede.

Da questo momento si stabilisce un rapporto importantissimo fra Paolo e Sergio Paolo. Luca da questo momento dice Paolo, Saul anzi (fino a questo momento lo chiama Saul), era diventato il cognome dei trianomina romani, Saul o Kaipaulos, detto anche Paolo. Da questo momento in poi è solo Paolo. Quindi il cognome diventa da signum cognome e da questo momento è Paolo il nome romano. Poi un altro elemento interessante è che la famiglia dei Sergi Pauli appare legata stranamente alla Chiesa a Roma, perché il figlio di Sergio Paolo fonda un collegium codeste in domo per la sepoltura degli schiavi liberti: con ogni probabilità è una chiesa cristiana. La terminologia è la stessa: al posto della formula “la chiesa che è in casa di…” cui seguiva il nome o i nomi di coloro che ospitavano queste chiese domestiche – tale formula si trova spesso nella Lettera ai Romani – la terminologia ufficiale diventa “collegium codeste in domo”. Questi si trovano sotto il figlio di Sergio Paolo e poi con Sergia Paulina, la nipote, nel II secolo dopo Cristo. Un’altra cosa interessante è che Sergia Paulina si sposa e avvengono matrimoni all’interno di famiglie probabilmente cristiane. Ad esempio gli Aciri Glabiones, un cui membro era morto addirittura martire sotto Domiziano. Quindi si stabilisce indubbiamente un rapporto, ma c’è qualcosa di più importante: la decisione di andare in Asia e non nell’Asia costiera molto nota, Efeso, Mileto, le grandi e civilissime città greche dell’Asia minore, ma nell’Asia interna, che era stata colonizzata di recente dai romani e che faceva parte della provincia della Grazia (l’attuale Turchia) e ci era stata sottomessa nella provincia recente con colonie romane e Paolo va proprio in questa zona, e tocca tutte le colonie romane di Augusto, seguendo la Via Sebaste, che era la via augustea fondata da Augusto. In questa zona, i Sergi Pau li avevano i loro beni perché probabilmente erano discendenti dei coloni augustei di Antiochia di Pisidia: infatti, il primo luogo che Paolo affronta è Antiochia di Pisidia, poi c’è Listri, quindi Conio e Derbe. Proprio lungo la Via Sebaste, che ci porta nel cuore della attuale Turchia, la Galazia antica. Il modo di predicare di Paolo in questa zona: prima di tutto si rivolge agli ebrei nelle sinagoghe. Una cosa interessante è però la composizione etnica di questa regione: era già stata civilizzata dai Macedoni e dai Seleucidi e quindi c’era l’elemento greco, poi c’era stata la colonizzazione romana al tempo augusteo, poi c’era il fondamento indigeno, licaonico, che viene messo in evidenza dagli Atti: gli Istri parlavano ancora la loro lingua. E poi c’erano moltissimi ebrei e colonie ebraiche fortissime. Paolo sceglie di parlare per primo alla sinagoga di sabato. Partecipano anche i cosiddetti timorati di Dio (i cosiddetti seboumenoi) che ascoltano: quindi pagani che non avevano preso la circoncisione (quelli erano i proseliti) ma che apprezzavano le idee fondamentali del giudaismo, soprattutto il monoteismo. A questi Paolo parla un linguaggio assolutamente riservato agli ebrei. Il primo discorso di Paolo ricorda molto quello di Stefano; mette i evidenza tutti i profeti, la storia ebraica, le grandi profezie su Cristo, fino ad arrivare a Cristo come adempimento delle profezie e poi alla sua morte e resurrezione. È la linea che aveva seguito Stefano a Gerusalemme e che Paolo segue regolarmente nel discorso con gli ebrei. La settimana dopo arriva tutta la città di Antiochia di Pisidia compresi i pagani veri, molti si convertono e molti degli ebrei si staccano da Paolo e vannovia. A questo punto Paolo dice che parlerà coi pagani.

La stessa cosa avviene esattamente nelle altre città di Conio e poi a Derbe. L’Istri è un po’ un’eccezione, perché la prevalenza lì è degli indigeni pagani che scambiano Paolo e Barnaba addirittura per degli dei scesi in terra. C’è il discorso che rivela un metodo completamente diverso e che in un certo senso preannuncia quello dell’Areopago ad Atene, con meno cultura ma con le idee sostanziali di Dio creatore, Dio che ha stabilito l’ordine delle stagioni, per cui gli uomini trovano il vitto, possono sopravvivere e poi Cristo che viene. Ma parte dal Dio-creatore, non parte più dalle profezie, non parla più delle vicende del popolo giudaico, ma un discorso che ricorda molto quello di Atene. Questo è il primo viaggio di Paolo. Poi c’è il Concilio di Gerusalemme che nasce proprio dalla protesta di alcuni ebrei circa questa adesione in massa dei pagani e dal fatto che bisognerebbe imporre anche a loro la circoncisione. E invece il concilio, proprio per iniziativa di Pietro (e questo rivela come Paolo non sia il fondatore del cristianesimo e dell’apertura al giudaismo ma segue una linea che era stata anche di Pietro). Pietro ricorda il caso del centurione Cornelio, e quindi il Concilio di Gerusalemme dichiara che i pagani non devono essere circoncisi. Il secondo viaggio, di ritorno da questo, per confermare le chiese già fondate e che hanno già dei presbiteri. Quindi mette persone di sua fiducia alla testa delle singole chiese. Voleva ancora rimanere in Asia ma c’è il famoso messaggio divino dell’immagine del Macedone che viene improvvisamente a Troade e gli dice: «Vieni da noi, abbiamo bisogno di te», e Paolo passa in Europa. E lì il cammino parte dalla colonia romana dei Filippi. La caratteristica romana dei Filippi è calcata da Luca negli Atti: non si parla di arconte e di capi ma di stategorici ederdunviri e ureglavi, poi di vittori e la gente stessa protesta. La cosa interessante è che lì il giudaismo era pochissimo penetrato tanto che Paolo non trova una sinagoga in cui parlare ma deve parlare ad alcune donne pie monache di Dio ma di origine non ebraica che si riunivano per la preghiera intorno a un fiume. A Filippi, poi, si stabilirà un rapporto, dopo il famoso episodio dell’incarceramento e del terremoto, rapporto con lo stesso carceriere e un rapporto con la città, che è fondamentale, perché nella lettera ai Filippesi Paolo dirà che sono gli unici con cui ha un rapporto: erano quelli che mandavano viveri e mezzi a Roma; è molto importante il rapporto di Paolo con questa colonia, che era stata fondata da Marcantonio, risaliva probabilmente alla battaglia di Filippi. Poi c’è la sosta a Tessalonica, quindi a Berea e poi c’è il famoso passo all’Areopago ad Atene, poi Corinto: prima c’è la Sinagoga, poi la sosta nella città (ho già detto la cronologia di Corinto). Tutto finisce dopo una accusa degli ebrei davanti al proconsole, accusa secondo la quale Paolo predicava contro la legge; Paolo risponde “sarà la vostra legge, non la nostra”. Paolo, dopo qualche giorno, parte. La seconda visita di Paolo in Asia lo porta a rivedere le chiese della Galatia cui era molto attaccato, che subivano le pressioni dei giudeizzanti che volevano imporre la circoncisione – pensate alla lettera ai Galati, quella più forte, in cui dice: “Galati insensati, volete tornare indietro da quello che vi ho detto?”. La visita più importante è a Efeso, dove soggiornerà due anni: Efeso era la capitale della provincia d’Asia, città greca. Ora anche questa era una partecipazione indigena molto antica,che si manifestava in questo culto dell’Artemide Fevia, da cui scoppia poi l’insurrezione, contro Paolo, degli argentieri.

(27-5-2008)