Vittorio Sgarbi sarà questo pomeriggio a L’Aquila per seguire più da vicino la situazione e farsi un’idea della consistenza dei danni inflitti dal terremoto al patrimonio artistico locale. Il critico d’arte ha più volte insistito perché non si commettano gli stessi errori compiuti nel Belice, altra zona tristemente famosa per il disastroso sisma che la colpì più di quarant’anni fa.



 

Vittorio Sgarbi, lei ha invitato le autorità a non ripetere gli errori del Belice, intendendo con questi le “leggi sbagliate” e i “ritardi”. A cosa si riferisce precisamente?

Semplicemente non bisogna ripetere il fatto che il terremoto in Belice c’è ancora. Ancor oggi infatti, dopo ben quarant’anni dalla drammatica notte del terremoto si è scelta la strada peggiore per ricostruire, ossia quella dell’immobilismo interno alle città con la priorità alla ricostruzione delle strutture esterne.  Cosicché dopo quarant’anni i paesi terremotati sono ancora lasciati in rovine. In particolare a Salemi, dove sono sindaco, ma anche in molti altri dei centri abitati circostanti la mia città. Se un turista arriva e si mette a guardare la città è costretto a ritenere che il terremoto sia avvenuto ieri.  



Questi sono dunque i “ritardi”. Per quanto riguarda invece le “leggi sbagliate” a quali si riferisce?

A quelle assurde leggi relative alla ricostruzione. La quale ricostruzione prevede una serie di uteriori “terremoti” perché quando un ente interviene, grazie alla legge attuale, può liberamente buttare giù un edificio che è in piedi, e che magari non ha problemi particolari di resistenza, per farne uno nuovo. Vi lascio immaginare l’entità di questa specie di violenza nei danni provocati al tessuto urbano e storico.

Il sottosegretario ai beni culturali, Francesco Giro, ha apprezzato il suo riachiamo alla salvaguardia del patrimonio artistico abruzzese. Quali sono secondo lei i primi interventi da effettuare in questo senso?



Proprio alla luce delle “facilonerie” legali di cui parlavo prima occorre stare attenti che, proprio in quei luoghi bellissimi, uno dei quali è Santo Stefano di Sessanio uno dei posti più belli d’Italia, si evitino restauri in cemento armato, abbattimenti e rifacimenti. In situazioni del genere, quando si hanno in mano paesi con una storia così bella e grande, bisogna ripristinare, ricucire, rimettere in ordine con grande pazienza. Tutto questo è necessario se si vuole restituire la dignità a questi luoghi che altrimenti diventano dei semplici “villaggi”, delle periferie anonime e immonde costruite con materiali apparentemente antisismici ma in realtà forieri della totale distruzione della civiltà architettonica. E mi riferisco soprattutto, quando parlo di questi pericoli, alle architetture minori che in tal senso patiscono e rischiano assai di più di quelle importanti, le quali, se non altro per decenza, verranno certamente restaurate.

A suo avviso, oltre a pensare agli errori da evitare, c’è da ravvisare anche qualche sbaglio nelle precedenti gestioni del territorio colpito dal terremoto?

No, no. Anche se in questi paesi sono caduti in maggior numero, e hanno ricevuto danni peggiori, gli edifici più recenti. Sono crollate le strutture che avevano evidentemente una fragilità costituzionale. Non è una buona ragione per accusare nessuno, ma neanche per rimpiazzare i buchi lasciati con degli edifici orrendi, come si è soliti fare, i quali, sono pronto a scommettere, non avranno maggior resistenza dei precedenti.

Lei è stato al centro dell’attenzione dei media in un’occasione analoga, ovvero il terremoto di Assisi. Paragonando a quella situazione l’attuale disastro quale patrimonio artistico, secondo lei, è stato maggiormente compromesso?

Non posso ancora rispondere con precisione. L’area colpita in Abruzzo è una zona in cui ci sono dei monumenti davvero molto importanti. È evidente che si tratta di vedere sia i luoghi dove ci sono chiese con affreschi, come Tornimparte o come Paganica, sia le strutture architettoniche in senso stretto, ossia gli edifici civili, e procedere a un ripristino. In particolar modo suggerisco di rifarsi al modello effettuato dagli architetti che hanno curato il restauro di Santo Stefano di Sessanio. Sono Lelio Di Zio e Daniele Kilgren. Oggi pomeriggio sarò comunque a L’Aquila per visionare i danni, spero di avere le idee più chiare sull’effettiva consistenza e capire a che punto sono gli inviati dei Beni Culturali.

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