Michael Polanyi, (Budapest 1891 – Oxford 1976), prima chimico di professione con risultati importanti nel campo specifico delle sue ricerche al Kaiser Wilhelm Institut di Berlino e alla Victoria University di Manchester, poi – sempre a Manchester e al Merton College di Oxford – sociologo della scienza ed epistemologo, è stato uno dei più incisivi esponenti della “nuova filosofia della scienza”, quel movimento di pensiero che, nella seconda metà del secolo scorso, ha contribuito a cambiare l’immagine tradizionale del sapere scientifico. Chi non ricorda l’idea nuova della scienza tra “paradigmi e rivoluzioni” consegnataci da Thomas Kuhn ne La struttura delle rivoluzioni scientifiche, o quella provocatoria di una scienza metodologicamente “anarchica” presentata da Paul Feyerabend in Contro il metodo?
L’OPERA
Sebbene l’opera maggiore di Polanyi, La conoscenza personale del 1958, sia stata da tempo tradotta nella nostra lingua (Rusconi, Milano 1990), così come le altre sue opere più significative (Scienza, fede e società del 1946, 19642, Armando, Roma 2007; La logica della libertà, del 1951, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002; Studio dell’uomo del 1959, Morcelliana, Brescia, 1973; La conoscenza inespressa del 1966, Armando, Roma, 1979; Conoscere ed essere del 1969, Armando, Roma, 1988) il suo pensiero non ha avuto in Italia la fortuna che si merita, anche se, oggi, sempre più studenti e giovani ricercatori lo fanno oggetto di tesi di laurea e di dottorato.
La posizione teorica di Polanyi ruota attorno a due nuclei fondamentali: difesa intransigente ed appassionata della nozione di “conoscenza personale” in ambito epistemologico, e del “liberalismo moderato” in ambito politico.
LA CONOSCENZA PERSONALE
Quanto al primo punto Polanyi può venir definito come vero e proprio assertore di un’epistemologia personalista, tendente a mettere in luce come in ogni atto di conoscenza entri «un contributo appassionato della persona», il quale non costituisce un’imperfezione ma «un fattore vitale della conoscenza stessa». Ciò succede, secondo Polanyi, anche nella conoscenza scientifica, vale a dire in quel tipo di conoscenza che il senso comune e lo stesso convincimento degli addetti ai lavori – filosofi ed epistemologi – ritengono caratterizzarsi per la più rigida neutralità e impersonalità.
Una tale posizione, infatti, si pone in dichiarata ed evidente polemica con quegli ideali d’impersonalità, neutralità, universalità e oggettività propria tanto della tradizione epistemologica della modernità – da Descartes a Kant, fino al positivismo – quanto della contemporaneità – dal verificazionismo neopositivistico al falsificazionismo popperiano – e propone un nuovo modo di intendere la conoscenza scientifica. Ciò comporta, naturalmente, che la stessa nozione di persona, in questo contesto evocata, si presenti con sue caratteristiche peculiari, difficilmente assimilabili ad una qualunque nozione di persona che la tradizione filosofica, anche quella del personalismo, ci ha consegnato.
IL METODO SCIENTIFICO
Accettare, anche sul terreno della conoscenza scientifica, come ideale «una conoscenza che sia chiaramente personale», comporta porre l’accento sul fatto che tale conoscenza unisce i caratteri dell’universalità e oggettività con quelli della creatività e inventività individuali, dipende cioè contemporaneamente sia da obbligazioni verso una realtà e una verità che trascendono il singolo ricercatore, sia dall’“impegno” intellettuale del ricercatore stesso, dalle sue convinzioni, dalle sue decisioni, insomma dalla sua “responsabilità personale”.
Polanyi è pienamente consapevole che questa sua posizione può venir definita come soggettivistica. È da capire allora la sua insistenza sul fatto che per lui il concetto di “personale” «trascende la distinzione tra il soggettivo e l’oggettivo», perché il soggetto nell’esercizio della “conoscenza personale” partecipa appassionatamente con tutte le sue risorse soggettive, spirituali e corporee, ma allo stesso tempo si sottopone ad esigenze indipendenti da sé. Il “personale” implica perciò la correlazione imprescindibile, in ogni atto di conoscenza, tra una realtà e una verità indipendenti dal soggetto conoscente, inesauribili ad ogni suo tentativo di coglimento mai esaustivo e definitivo, e la formazione di un giudizio su di esse, di un giudizio appunto che reclama un atto personale di interpretazione. Si tratta di un atto che comporta un impegno, un abbandono fiducioso e responsabile, una specie di devota sottomissione e d’obbligazione verso la realtà e la verità, il quale non cancella, ma innesca e sorregge quel potere euristico, quella forza intuitiva, creativa e immaginativa, quell’“abilità (skill)”, che guida l’appassionata partecipazione del soggetto conoscente all’atto del conoscere: «È a questo potere e a questa partecipazione», ribadisce Polanyi, «che mi riferisco quando parlo della conoscenza personale».
Insomma, la conoscenza scientifica in quanto conoscenza personale è, come ogni altra esperienza umana, “un’arte”, è cioè il risultato di un insieme di fattori di cui il soggetto dispone come patrimonio implicito, una dote ricevuta dalla tradizione, dall’educazione, coltivata nella comunità, sviluppata poi con le proprie personali e originali capacità. Nel contesto polanyiano, perciò, il personale si costituisce nella complessa dialettica di passività e attività, autorità e libertà, assenso e critica, più in generale, per usare uno schema a lui caro, di dimensione tacita ed esplicita della conoscenza.
COME AGOSTINO
E perché non avvicinare questo schema a quello paolino e agostiniano della grazia, cioè della dialettica di libertà umana e iniziativa divina? Infatti, uno degli aspetti più interessanti della riflessione polanyiana è che essa, dopo i dualismi e i separatismi che hanno caratterizzato la cultura moderna e contemporanea, tende a recuperare una visione unitaria della esperienza umana già a suo tempo intravista agli albori della esperienza cristiana, dai primi Padri della chiesa e da Sant’Agostino, in modo particolare nel momenti in cui egli sottolinea l’inscindibile nesso tra fede e ragione. In un indimenticabile passo di La conoscenza personale, che costituisce una specie di epistemologia agostiniana, Polanyi giunge a definire Agostino, non l’esponente di un pensiero immaturamente pre-kantiano e pre-critico, ma come l’autentico propugnatore di un pensiero che, superando le unilateralità illuministiche già presenti nel pensiero greco, ha inaugurato l’era del pensiero post-critico. Si tratta di un pensiero non più antimetafisico e antireligioso e che, pur delineando con puntualità il posto dell’uomo nell’universo, lo mantiene nel rischio essenziale di “vivere e di credere (of living and believing)”, di vivere nel mondo, conoscerlo e trovare in esso tracce, indizi, “spunti per andare verso Dio (clues to God)”.
IL PENSIERO POLITICO
Polanyi è anche un pensatore politico. Infatti, alle tesi appena ricordate, che costituiscono appunto il nucleo di un’ epistemologia personalista, a partire da La logica della libertà del 1951 ma anche in capitoli centrali di tutte le altre opere si accompagnano interessanti elaborazioni di una dottrina politica che potremmo definire liberalismo moderato, tendente, da una parte a difendere ed esaltare la tradizione delle democrazie inglesi e americane – tradizione che ha fatto del riformismo, del gradualismo e del pluralismo i principi fondamentali dell’operare politico – e, dall’altra, ad assumere un atteggiamento assolutamente intransigente nel rivendicare lo spazio pubblico per le libertà individuali contro ogni ingerenza politica ed economica di uno statalismo centralizzato ed opprimente, come è stato quello dell’esperienza totalitaria del comunismo sovietico. È significativo ricordare come questa intransigenza abbia portato Polanyi non solo ad anticipare, pur nella distinzione teorica, autentici classici liberali come Popper e von Hayek, ma ad assumere rapporti di freddezza addirittura con suo fratello Karl, autore, come è noto, del classico del pensiero economico La grande trasformazione, Karl che era stato suo compagno di giovanili battaglie libertarie con la comune appartenenza liceale al “Galileo Circle” di Budapest.
L’UOMO NEL MONDO
«Siamo esploratori», dice con bella immagine Polanyi nel tentativo di riassumere la situazione dell’uomo e il senso della sua avventura nel mondo. «Non abbiamo certezze precostituite. Nella nostra ricerca della terra promessa ma ancora sconosciuta» Polanyi era un ebreo convertitosi al cristianesimo, «disponiamo di mappe provvisorie e sempre rivedibili. Ma come per ogni esploratore autentico, per ogni Cristoforo Colombo, la terra è lì ad aspettarci, si offre anzi ai nostri sforzi investigativi. E non importa se essa, alla fine del viaggio, non è quella che immaginavamo al momento della partenza o quella che avevamo disegnato nelle nostre carte: se non riusciamo a trovare le Indie c’è pur sempre un’America da scoprire».