Cosa fa di un genio un genio? Ancora una volta ci siamo cascati. Ancora una volta un ricercatore – in questo caso la dottressa Dean Falk, bioantropologa della Florida State University – annuncia di aver trovato delle ragioni neuropsicologiche che spiegano le ragione del valore dell’archetipo dello scienziato moderno, niente meno che di Albert Einstein. Non possiamo certo metter in dubbio che la dottoressa abbia trovato anomalie rispetto alla morfologia media dell’encefalo del grande fisico (“opportunamente” sottratto nel 1955 da un neuropatologo alla cremazione, per altro scelta dello stesso Einstein), ma chiediamoci bene cosa sta cercando la Falk e ancor più cosa dice di aver trovato.
Noi non sappiamo praticamente niente di come le funzioni cognitive superiori dell’uomo sono espresse nel cervello. Certo, abbiamo un’idea di come funziona la visione, il controllo motorio, e anche alcuni aspetti emotivi legati al rilascio di neurotrasmettitori; ma nessuno – e aspetto qualcuno che mi contraddica – sa come caratteristiche tutte umane, come la fantasia, l’intelligenza, l’affetto e perché no la coscienza siano “incarnate” nel nostro cervello. Nemmeno per il linguaggio – settore nel quale pure la ricerca sta dando oggi risultati inimmaginabili fino a cinquant’anni fa che dimostrano la dipendenza delle grammatiche dalla struttura neuroanatomica – sappiamo dire molto: sappiamo solo che la grammatica delle lingue umane è limitata, ma non sappiamo assoutamente dire come nasca in un cervello l’idea di scrivere non dico il De Rerum Natura, ma nemmeno la lista della spesa.
Dire di aver trovato una traccia esplicativa della creatività di Einstein è profondamente sbagliato e – insisto – non solo perché poco sappiamo della neurofisiologia delle funzioni cognitive, ma perché questa indagine ignora completamente la storia, gli incontri, gli stimoli e le circostanze che sono date a un uomo nel percorso della sua vita. Vogliamo forse pensare che il cervello di Mozart ha fatto Mozart? E se fosse stato costretto dal padre a pascolare pecore invece che a suonare alla corte dell’arcivescovo di Salisburgo, avrebbe comunque composto, o almeno intuito la grandezza vertiginosa del Requiem? E viceversa, come possiamo essere sicuri che il panettiere sotto casa non abbia le stesse “anomalie” del cervello di Einstein ma semplicemente abbia scelto di impastare il pane e non di occuparsi di raggi di luce?
Andiamo: nessuno può pensare che la struttura crei di per sé le condizioni specifiche per l’espressione dell’uomo, di qualunque espressione si tratti. Può al massimo spiegare le predisposizioni, ma per questo basta guardare chi è intonato in famiglia, non serve aprire la scatola cranica. L’illusione di trovare nella materia animata le spiegazioni sono dure a morire ma quel che è disarmante è che così facendo escludono la responsabilità e le scelte di un individuo. Questo accanimento nella ricerca di spiegazioni materiali sugli aspetti che caratterizzano le attività di ogni uomo, ogni singolo uomo, e che lo rendono preziosamente diverso l’uno dall’altro è al meglio una forma moderna di hybris, al peggio una cantonata arrogante. Cosa fa di un uomo un uomo? Anzi di ciascun uomo ciascun uomo? Se vogliamo scoprirlo sarà meglio non cercarlo nelle pieghe della carne.