Uno dei temi trattati negli incontri della Fiera del Libro di Torino appena conclusa, riguardava il ruolo delle riviste di cultura nella formazione dell’opinione pubblica. L’incontro promosso dal Coordinamento Riviste Italiane di cultura (CRIC) e dall’Associazione Sant’Anselmo, ha visto la partecipazione dei responsabili delle riviste il Mulino, Humanitas, Confronti e Queste Istituzioni.
Il Cric nasce nel 2003, per iniziativa di un gruppo di riviste che hanno accolto l’idea di Lettera internazionale di realizzare anche in Italia un’esperienza analoga a quelle di ARCE in Spagna e di Ent’Revues in Francia. Vi aderiscono riviste culturali italiane dedicate all’innovazione delle idee, all’approfondimento, alla riflessione critica e che hanno taglio interdisciplinare restando fuori di ogni dipendenza accademica.
L’Associazione Sant’Anselmo nasce nel 1998 per promuovere le riviste e il libro italiano di cultura religiosa di qualsiasi casa editrice.
Non si è parlato delle riviste scientifiche, da qualcuno definite auto-referenziali, espressione di università o di istituti di istruzione e studio. Il loro ruolo è essenziale, tutti d’accordo, perché rappresentano la palestra scientifica delle idee dove l’approfondimento è argomentato e fondato su ricerche e riscontri fissati dal metodo della disciplina a cui appartengono: la filosofia, la storia, le scienze e così via.
Ma è proprio il parametro disciplinare che identifica la caratteristiche delle riviste per semplicità definite “di cultura”; si tratta di pubblicazioni che sono caratterizzate dalla interdisciplinarietà più o meno estesa. Riviste come il Mulino, Humanitas, Confronti, Queste Istituzioni, Communio, dispongono del contributo di diverse discipline e competenze proprio perchè si tratta di pubblicazioni che affrontano una varietà di temi che va dal nodo culturale all’attualità politica nel senso ampio, dalle ragioni della fede cristiana ai suoi risvolti nella vita sociale e in quella ecclesiale.
Da qui partono le riflessioni che sono emerse nell’incontro circa il ruolo che questo genere di pubblicazioni svolgono nella formazione dell’opinione pubblica.
Ovviamente è stata messa in luce la varietà di problematiche per così dire “tecniche” che non vanno sottovalutate nel domandarsi perché la diffusione delle riviste di cultura registri da un po’ di anni a questa parte un calo di vendite in libreria e una calo di abbonati alquanto consistente. Tutti concordano che la difficoltà è particolarmente dovuta a quest’ultimo elemento: sono sempre stati gli abbonati che hanno garantito la vita delle riviste; ma è finito il tempo in cui le biblioteche famigliari, almeno delle fasce scolarizzate, disponevano anche di una o più riviste di approfondimento culturale.
La libreria, dal canto suo, presta alla riviste un’attenzione sempre meno adeguata, con qualche eccezione; la rivista è spesso relegata in uno spazio di minor visibilità e anche non sempre ordinato, quando non viene addirittura collocata a scaffale insieme ai libri dello stesso tema. Insomma viene trattata come fosse un libro quando richiederebbe apposita attenzione, apposito spazio, ecc. Naturalmente una delle cause è la mancanza di spazio che nelle librerie non è mai abbastanza, ma questa come altre motivazioni pratiche (la distribuzione che non le valorizza; la quantità che impone tagli; il costo dell’abbonamento, ecc.) non sono la ragione esauriente della difficoltà in cui versano le riviste di cultura.
È stato osservato che tale difficoltà si accompagna ad altri sintomi negativi che appartengono al mondo della cultura e dell’opinione pubblica; sintomo grave da non sottovalutare perché riflette una crisi generale dell’aggiornamento, delle ricerca delle ragioni dei fatti che avvengono, della difficoltà o addirittura incapacità di formazione del giudizio.
Si annida qui la difficoltà in cui versano le riviste che si prefiggono proprio questo obiettivo: capire correttamente che cosa succede; cogliere dove sta la ragione e dove il torto; comprendere i fenomeni straordinari non meno di quelli ordinari; fornire materiali perché ciascuno possa orientare i propri convincimenti. In una parola è l’eclisse della cultura nel senso di comprendere e giudicare la realtà in tutte le sue sfaccettature, l’origine della difficoltà della diffusione degli strumenti di cultura, tra cui anche le riviste.
Bastano due esempi per rendersi conto che c’è una crisi del ricorso al metodo della cultura che si traduce in una crisi del livello culturale, cioè in una diminuzione di conoscenza: l’opinione corrente, per fortuna con molte eccezioni, che l’islam si il pericolo pubblico numero uno dell’Occidente e il costante travisamento dei discorsi del pontefice. Ambedue questi fenomeni hanno all’origine una mancanza di informazione adeguata e una mancanza di riflessione nel merito.
Da questo punto di vista la scarsa diffusione delle riviste di cultura riflette anche la diffusa crisi della funzione di autorevolezza. Il navigatore che cerca su internet la spiegazione delle cose, sostituisce la modernità e varietà delle banche dati all’autorevolezza della fonte che è una delle caratteristiche della rivista: garantire la validità dei suoi articoli. La rivista di cultura, infatti, si avvale del contributo degli studiosi esperti e accreditati che fanno rifluire in quello strumento i risultati, resi comprensibili anche al di fuori del ristretto circolo degli addetti ai lavori, dei loro studi, delle loro ricerche che hanno già esposto nelle riviste scientifiche dell’accademia. Il disinteresse per il loro contributo, e quindi per le riviste sui cui viene pubblicato, è figlio del disinteresse per le ragioni a favore dell’adeguamento all’opinione più diffusa o diffusa con lo strumento più accattivante. Qualsiasi tesi, affermazione, opinione venga espressa da chiunque nell’ambito di una trasmissione televisiva – ma oramai mai ciò vale sempre più spesso anche per i quotidiani – assume un peso, una forza di convincimento, una capacità di formazione dell’opinione pubblica che si sottrae ad ogni controllo e che fa stato.
La responsabilità risale a monte; prima di tutto alla scuola dove, tra libri di testo approssimativi quando non tendenziosi e insegnanti che non sanno più perché fanno quel mestiere, la vittima più sacrificata è l’apprendimento di un metodo di apprendimento; e l’università troppo spesso chiude un occhio, non solo sull’incapacità di scrivere e di argomentare, ma anche su quella di cercare le fonti, che invece di essere lo strumento con cui la passione di conoscere fa i conti è diventato lo spauracchio da evitare.
C’è anche una responsabilità più sottile ma non meno perniciosa che riguarda le altre grandi agenzie di formazione; non è solo la scuola mal fatta che produce anti-cultura ma anche gli altri luoghi di riferimento a cui accedono molti giovani in formazione di mentalità e meno giovani che hanno maturato da che parte stare. Per limitarsi alle due principali agenzie si tratta del gruppo politico, del partito e delle chiese, parrocchia, tempio, moschea o sinagoga che sia. Il rischio sottile è che l’appartenenza sostituisca le ragioni dell’appartenenza; che questa sostituisca quel faccia a faccia personale che è la premessa di ogni scelta degna d’uomo e, quindi, di ogni giudizio, di ogni valutazione, della costruzione di ogni criterio con cui guardare il mondo; in una parola della cultura.
Qui il discorso si faceva troppo lungo, ma sia pur accennato è servito a riconoscere una convergenza tra gli esponenti delle riviste presenti all’incontro: la passione personale per il lavoro che si fa, perché il momento redazionale in cui il numero viene “cucinato” come si dice in gergo, rappresenta un’esperienza di arricchimento importante, ed è proprio ciò che rende efficace il prodotto finale.
Questa passione per la cultura che molte riviste riescono a trasmettere ai loro proverbiali 25 lettori, è il tesoro da coltivare. Perché il processo di lungo periodo che ha portato all’attuale crisi degli strumenti di aggiornamento culturale, che investe anche il libro e che, inutile nasconderselo, è anche responsabilità delle riviste stesse, non può essere interrotto solo da maggiori accorgimenti tecnici, quali il formato, la copertina, la distribuzione, il prezzo, e via dicendo, che pur ci vogliano; bensì dall’accumulare nel patrimonio culturale del paese questa passione nel comunicare approfondimento, ragione e conoscenza a cui qualcuno prima o poi saprà attingere.
Nel cogliere questo comune intento, l’incontro ha fatto emergere il desiderio di realizzare occasioni di scambio tra le riviste di cultura, allargando l’esperienza dei seminari o workshop o momenti simili che alcune già fanno coinvolgendo studiosi del proprio settore, valga per tutti il noto esempio degli incontri de il Mulino; ed anche di dar vita a iniziative promozionali come una presenza più significativa alla Fiera torinese e nelle altre manifestazioni editoriali; o come l’organizzazione di incontri promossi da più riviste rivolti al pubblico sui temi emergenti nel dibattito a cui si è dato spazio nel corso dell’anno.
È chiaro che ogni rivista ha le sue caratteristiche identitarie, ma se c’è una ragione per esistere che le accomuna tutte è quella passione per la cultura che è capace di resistere ad ogni vento che orienta l’opinione pubblica e che può fornire la barra giusta a chi voglia impugnarla.