A cinquant’anni dalla morte si torna a parlare di padre Agostino Gemelli, fondatore e primo Rettore dell’Università Cattolica. Per chi non conosce bene questa figura, il sussidiario.net ha chiesto qualche ragguaglio biografico a Maria Bocci, professoressa di Storia Contemporanea alla Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica di Milano.



Professoressa Bocci, che vita fu quella di padre Gemelli?

La biografia di padre Gemelli è intensa e ricca di colpi di scena. Edoardo – è il nome di battesimo – è nato a Milano nel 1878 da una famiglia della media borghesia, di tendenze agnostiche e anticlericali. Il padre è iscritto alla massoneria, la madre è parente del garibaldino e deputato radicale Agostino Bertani. Edoardo si forma dunque in un clima agnostico e anticlericale, assimilato sia negli anni del liceo-ginnasio Parini, sia in quelli della Facoltà pavese di Medicina, dove studia con il premio Nobel Camillo Golgi e si laurea nel 1902. Ammesso a frequentare il laboratorio di Golgi, come giovane promessa della ricerca scientifica nel campo dell’istologia e della fisiopatologia, condivide i dogmi del positivismo scientista e la fede nel socialismo massimalista, di cui è un convinto banditore nelle campagne pavesi e sulle barricate del ’98. A Pavia, però, ha modo di sviluppare accesi dibattiti con giovani fucini e con sacerdoti come Pietro Maffi, matematico e astronomo, che incominciano ad incrinare il suo credo materialista. Anche l’amicizia di Ludovico Necchi, compagno di studi, diventa un punto di riferimento importante, in un momento di crisi e di vuoto intellettuale ed esistenziale che culmina durante l’anno di volontariato come soldato di sanità nell’ospedale militare di Milano. L’esempio di Necchi e di alcuni francescani, capaci di una prossimità e di una vicinanza sorprendenti ai malati, e la frequentazione di don Giandomenico Pini sono probabilmente all’origine della clamorosa conversione, del 1903, e della decisione di farsi francescano. Sacerdote nel 1908, si indirizza allo studio della psicologia sperimentale, adoperandosi per la fondazione di un ateneo cattolico. L’Università Cattolica nascerà nel 1921 e padre Gemelli ne sarà “rettore a vita”, sino alla morte, nel 1959.



Gemelli diceva che il cattolicesimo italiano aveva un «gran corpo con piccolissima testa» cioè era culturalmente debole. Secondo quali direttrici di fondo egli ha inteso superare questa difficoltà? Quale insegnamento ne deriva per il cattolicesimo del duemila?

Al problema di svecchiare la cultura cattolica Gemelli è sensibilissimo perché il suo temperamento intreccia una solida vocazione religiosa e una passione scientifica inestirpabile. Non si tratta solo di una sfida privata tra il saio francescano e l’espulsione del cattolicesimo dai domini della ragione laica, comminata dai cultori del positivismo. Quella di Gemelli non è un’identità debole, propensa ad aprirsi alle scienze più per guadagnare il passaporto d’entrata nella modernità, che per fiducia nella capacità del proprio credo di trovare, in essa, una traduzione convincente.



Ciò non significa affatto che il suo approccio alla problematica scientifica sia bloccato da sterile fideismo, sollecitato da veti superiori. Basti pensare al suo percorso biografico: rettore dell’Università Cattolica, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, colonna portante della psicologia e influente animatore delle scienze sociali (discipline in una fase ancora aurorale), intellettuale attento alla sviluppo dei mass media, interprete dei cambiamenti della spiritualità e fondatore di uno dei primi istituti di “laici consacrati”, pilota all’età di sessanta anni, educatore di intere generazioni che hanno pesato nella storia nazionale. Anche solo questo elenco, incompleto, ci dice della sua prospettiva: affrontare le sfide emerse dal contesto culturale dando una risposta concreta alle critiche riservate ai cattolici, una risposta fatta di capacità conoscitive e di attitudini scientifiche. Il continuo impulso a verificare, con le armi di ricerca e intelligenza, assunti presentati come dogmi inconfutabili, in sede ideologica prima ancora che scientifica, è un insegnamento prezioso. Ed è la lezione di padre Gemelli medico e psicologo, che sottopone a critica serrata la fede materialista della giovinezza. A farci riflettere c’è poi quella volontà di emancipare i cattolici dall’autoisolamento e dall’autoreferenzialità e di dotarli degli strumenti indispensabili per incidere nello sviluppo del Paese.

Recentemente l’Università Cattolica ha dedicato un importante convegno al suo fondatore. A suo avviso quali sono stati i principali elementi di novità emersi?

Certamente un padre Gemelli che sa confrontarsi con la sua epoca e con tutti, naturalmente con le conseguenze più o meno condivisibili che derivano dalla volontà di mettere in sinergia il patrimonio della fede e gli avanzamenti della scienza con le urgenze della contemporaneità. Dal convegno (e dalle carte consultate dai relatori, che rafforzano la qualità scientifica dei lori contributi) emerge un padre Gemelli ben diverso sia dall’agiografia di parte cattolica, sia dai ritratti demonizzanti di parte laica, che ne hanno fatto una sorta di caso-limite di un cattolicesimo chiuso e retrivo, teso a far rivivere, con miopia storico-culturale imperdonabile, un modello di “civiltà cristiana” ormai non proponibile. Il convegno ci parla invece di un personaggio poliedrico, che occorre affrontare da tanti punti di vista e con diverse competenze, con il coraggio di mettere in discussione la vulgata storiografica e di non velare lati più o meno ostici della sua attitudine progettuale e sperimentalista e della sua eredità, anche sul lungo periodo. Ne è emerso il contributo di uno dei più influenti intellettuali cattolici alla costruzione di una modernità non disumanizzata.

Al tempo stesso, è stata fatta nuova luce sulla modernità delle istituzioni culturali della Santa Sede, nel caso di padre Gemelli anzitutto l’Università Cattolica e la Pontificia Accademia delle Scienze. Per non parlare della statura internazionale di Gemelli, che impressiona se paragonata con l’autarchia culturale perlomeno del regime fascista; oppure della capacità di influire negli snodi nevralgici della storia nazionale, come la ricostruzione democratica, l’Assembla costituente, il ripristino di libere attività sindacali e la ripresa economica postbellica.

Dal convegno viene anche un’altra indicazione importante: studiare figure come queste significa prendere coscienza che ricostruire la storia della Chiesa è anche e soprattutto ricostruire la storia d’Italia.