La recente notizia della guarigione improvvisa di una signora avvenuta a Lourdes mi ha colto mentre sto rileggendo Bernardette di Franz Werfel, scrittore famoso per i suoi molti lavori, tra i quali è d’obbligo citare I quaranta giorni del Mussa Dagh, episodio centrale del genocidio degli armeni.
L’origine di questo libro sulle apparizioni della Madonna è molto bella e proprio per questo voglio lasciarla raccontare all’autore stesso, premettendo solo qualche nota sulla sua biografia.
Egli nasce a Praga nel 1890; figlio di un commerciante ebreo, alla fine della prima guerra mondiale si trasferisce a Vienna e lì diventa uno dei protagonisti della vita letteraria mitteleuropea. Il mondo di bellezza discreta e composta costruito dagli intellettuali a Vienna in quel periodo così fecondo, e non solo nelle lettere, viene frantumato dall’avvento del nazismo. Molti esponenti di origine ebraica devono fuggire e come loro anche Werfel trova rifugio dapprima in Francia, poi negli Stati Uniti. Lì muore nel 1945, a Beverly Hills.
La prefazione al romanzo di carattere personale, secondo l’espressione dello scrittore, narra la genesi di questa penultima opera di Werfel: profugo insieme alla moglie nel sud della Francia, svanita la speranza di poter riparare in Portogallo, segue il consiglio di chi gli indica Lourdes come un posto dove forse cercare asilo, in una situazione drammatica in cui, come in un grande bivacco, belgi, olandesi, francesi, polacchi, cechi, austriaci, tedeschi lottavano per trovare da sfamarsi e da dormire.
In questo modo la Provvidenza mi condusse a Lourdes, della cui storia prodigiosa non avevo fino allora la più superficiale nozione. Rimanemmo nascosti parecchie settimane nella città dei Pirenei. Fu un periodo di angosce, ma fu anche un periodo altamente significativo per me, poiché mi fu dato conoscere la meravigliosa storia della giovinetta Bernardette Soubirous e i fatti meravigliosi delle guarigioni di Lourdes. Un giorno, tribolato com’ero, feci un voto. Se fossi uscito da quella situazione disperata ed avessi raggiunto la costa americana – questo fu il voto che feci – avrei prima di ogni altro lavoro cantato la canzone di Bernardette come meglio avessi potuto.
Questo libro è l’adempimento di un voto. Un canto epico nel tempo nostro, non può che prendere la forma di un romanzo. “Bernardette” è un romanzo, ma non è un’opera di fantasia. Il lettore diffidente, di fronte ai fatti qui narrati, può chiedere con maggior diritto che per le epopee storiche: «Che cosa è vero? Che cosa è inventato?» Io gli rispondo: Tutti gli avvenimenti notevoli che formano il contenuto del libro sono in realtà accaduti. Essi si sono iniziati non più di ottant’anni fa e si svolgono quindi nella piena luce della storia; la loro verità è attestata, in fedele testimonianza, da amici, da nemici e da osservatori spassionati. Il mio racconto non altera menomamente questa verità.
Ho usato del diritto della libertà concesso al poeta, solo dove ragioni d’arte richiedevano di condensare cronologicamente alcuni fatti e dove bisognava far scoccare scintille di vita dalla materia trattata.
Ho osato cantare la canzone di Bernardette, io che non sono cattolico ma ebreo. Il coraggio per questa impresa mi è venuto da un voto molto più antico ed inconscio. Sin dal giorno nel quale scrissi i miei primi versi, giurai a me stesso che avrei reso onore sempre e dovunque, attraverso i miei scritti, al segreto divino e alla santità umana: nonostante che l’epoca nostra, con scherno, ferocia e indifferenza, rinneghi questi valori supremi della nostra vita.
Los Angeles, maggio 1941
Franz Werfel