Il libello che espone le teorie di Henri Stierlin sul famosissimo busto di Nefertiti è piombato sulla dirigenza dell’Altes Museum di Berlino come una bomba. E la polemica si allarga come gli anelli nello stagno smosso da una sassata. Un falso. Una patacca art déco. Così il controverso studioso svizzero definisce il busto della regina egizia, che ha incantato milioni di appassionati e archeologi.



Ci troviamo dinanzi a una provocazione o a una teoria seria ed approfondita?

Il celeberrimo busto fu ritrovato nel dicembre del 1911 da una missione della Deutche Orientgesellschaft, diretta dall’archeologo Ludwig Borchardt, nell’atelier dello scultore Thutmose. Un busto che sembra quasi incompiuto, poiché privo dell’occhio sinistro, ma con i colori realistici e tenui di una vitalità straordinaria. La grande corona blu sormonta un volto con un accenno di sorriso, che increspa delle labbra pressoché perfette e lo sguardo magnetico, fiero, seppure incompleto, rapisce inevitabilmente l’attenzione. Un vero capolavoro, giunto a noi da un’epoca particolarissima.



Siamo in una fase storica, politica e culturale molto difficile: il regno del cosiddetto faraone eretico Akhenaton (1390-1352 a.C.). Gli stravolgimenti che la dinastia di questo sovrano provocò riguardavano anche i canoni artistici con cui scultori e pittori rappresentavano la realtà. Ecco comparire infatti, lo stile cosiddetto amarniano (dalla città di Amarna, in quel periodo la capitale del regno): nelle figure umane, specialmente in quelle che rappresentavano il sovrano e la sua famiglia, il mento e le labbra si fanno prominenti, i corpi e le membra si allargano all’altezza dei fianchi, alla ricerca di un realismo talmente esasperato da sfiorare la caricatura. Nell’ultimo periodo di questa fase storica, tuttavia, è possibile notare un ritorno ai valori estetici del passato, con figure più regolari e meno “deformi”.



Proprio a questa fase risale il famoso busto. Nessun nome compare su di esso, però gli studiosi sono concordi nell’attribuire questo ritratto, fin dal suo ritrovamento, alla regina Nefertiti.

“La bella è giunta”. Un nome che richiama l’epiteto della dea Hator, che, secondo il mito dell’occhio solare, era rientrata in Egitto dalla Nubia. Alcuni hanno ritenuto si trattasse di una principessa straniera, venuta dall’Asia Minore, e ciò avrebbe giustificato tale nome, ma era consuetudine per le principesse straniere conservare il loro nome originario, senza cambiarlo in nomi egizi. La mancanza di documenti a riguardo, infatti, ha fatto cadere del tutto questa ipotesi.

Indubbiamente si trattava del personaggio femminile più importante del regno di Akhenaton. Non venne mai chiamata “figlia” o “sorella del re”, come era d’uso appellare le spose del faraone, e probabilmente le nozze avvennero prima dell’ascesa al trono del sovrano. Akhenaton e Nefertiti formarono una coppia saldissima e affiatata, tanto che nell’iconografia reale, essi sono ritratti sempre insieme, in situazioni e atteggiamenti molto naturali, che comunicano una grande intimità e tenerezza. Immagini che rivelano un aspetto profondamente umano della coppia reale e della vita familiare: da lei il faraone ebbe sei figlie, e anche se verso la fine del regno non compare più nelle raffigurazioni, alcuni studiosi ritengono che ella sia sopravvissuta al marito.

Di certo, grazie anche a ritratti come il busto sotto accusa, è nota la bellezza e la leggiadria della misteriosa regina. Un mito di bellezza, che questo busto, in quasi 90 anni dal suo ritrovamento, ha conservato intatto e che difficilmente potrà dissolversi.