Nato a Venezia nobile e ricco nel 1625, aveva diciotto anni quando accompagnò come segretario Alvise Contarini, ambasciatore della Serenissima al congresso da cui doveva scaturire la pace di Westfalia, sigillo della Guerra dei Trent’Anni. Era a Colonia quando fece amicizia col nunzio pontificio Fabio Chigi. Fu a Münster, Amburgo, Amsterdam, L’Aja, Leida e aveva davanti una spettacolare carriera diplomatica ma preferì, su consiglio del Chigi, addottorarsi in utroque jure a Padova e, già trentenne, farsi ordinare sacerdote. Il Chigi divenne papa Alessandro VII e lo invitò a Roma, dove il Barbarigo aveva un palazzo di famiglia.



Nel 1656 a Roma scoppiò la peste e lui si addossò l’incarico di organizzare la sanità del rione più popolare, quello di Trastevere. L’anno seguente venne consacrato vescovo di Bergamo, evento a cui si preparò con un corso di esercizi ignaziani presso i gesuiti. Le condizioni spirituali in cui trovò la diocesi erano tali che, per prima cosa, proibì a tutto il clero di andare a teatro, poi volle esaminare personalmente i candidati al sacerdozio: di duecento che erano ne accettò solo otto. Infine, introdusse gli esercizi spirituali per il clero.



Nel 1660 il papa lo fece cardinale; poi, malgrado le sue proteste, lo spostò (1664) nella più importante (a quei tempi) sede di Padova (la cui università era diventata un focolaio di idee eterodosse). Qui giunto, rivolse al popolo queste parole (che ogni vescovo dovrebbe far sue): «Cristiani miei, quando qualcheduno di voi commette un peccato sappia che lo mette addosso a me per soprasoma dei miei propri». Dovette recarsi a Roma per i conclavi di Clemente IX (1667), Clemente X (1670), Innocenzo XI (1676), Alessandro VIII (1689) e Innocenzo XII (1691). Negli ultimi due scansò l’elezione di pochissimo.



Fu membro di quasi tutte le Congregazioni romane e visitatore di monasteri, attività cui aggiungeva la visita ai malati negli ospedali e l’insegnamento della dottrina al popolo. Anche a Padova dovette vietare ai preti i teatri, l’uso dell’abito civile e gli affari.

Diede fondo al suo non indifferente patrimonio di famiglia per fondare seminari, biblioteche e scuole di dottrina, dove insegnava lui stesso. Combatté le eresie del tempo, soprattutto le infiltrazioni protestanti e il quietismo.

Morì nel 1697, stremato dalle fatiche.

L’epoca in cui visse e operò fu quella della grande Riforma cattolica e della spaccatura definitiva della Cristianità. Ma anche quella del caso Galileo e del braccio di ferro tra Roma e Venezia (quest’ultima aveva finito col dare asilo agli eretici di tutt’Europa, che vi stampavano e diffondevano di tutto; la Serenissima si serviva di essi come arma di ricatto e/o merce di scambio per le sue rivendicazioni territoriali nei confronti del papa, un po’ come fa oggi la Francia con i brigatisti italiani). Il santo venne beatificato nel 1771 da un altro veneziano e vescovo di Padova, Clemente XIII. La sua causa fu riesumata da s. Pio X (che aveva studiato a Padova nel seminario fondato dal Barbarigo ed era stato patriarca di Venezia) e finalmente conclusa, con la canonizzazione nel 1960, dal b. Giovanni XXIII, bergamasco e anch’egli patriarca di Venezia.