La commozione per la scomparsa di Massimo Caprara è solo il primo doveroso passaggio per una considerazione più ampia della figura dell’ex segretario particolare di Palmiro Togliatti. Chi gli è stato amico in questi anni, ricorda un uomo con una tensione verso la verità che sfiorava l’eroismo in questi tempi di bilanciamenti continui tra una parte e l’altra, tra passato e presente, tra revisionismi parziali e totali. Parlando con Caprara nella sua bella casa di viale Tunisia a Milano, venivi di colpo catturato da alcune vecchie fotografie che spuntavano sui mobili o tra un libro e l’altro.
Quelle immagini erano istantanee del passato del giovane Caprara, insieme al “Migliore”, a Nilde Jotti, ad alcuni leader del Pci e del comunismo internazionale dell’epoca. Massimo Caprara non rinnegava nulla del suo passato e quindi non nascondeva nulla. Ma mostrandoti quelle immagini e parlando del passato, sembrava in continua riflessione, sulla storia e sulla sua storia, sui danni connessi a una visione ideologica della vita e della storia. Sembrava paragonare in quella sua profonda concentrazione, tutta la “cattiva coscienza” dell’ideologia, dello schema ideologico, rispetto alla semplicità della bellezza della vita, all’evidenza delle cose più semplici.
Lui era stato un protagonista della “grande politica”, e una sorta di sacerdote-interprete del pensiero della “grande ideologia” vincente della sua epoca: il comunismo, in versione marxista-leninista. Quando aveva appena 22 anni, in quella Napoli che accoglie il “compagno Ercoli”, gli si materializza davanti agli occhi, di colpo un “mito” con una lunga storia politica alle spalle, nientemeno che un “professionista” della rivoluzione mondiale.
Caprara, in quel 1944, è già un finissimo letterato, con un passaggio temporaneo al Liceo Manzoni di Milano, di formazione crociana. Il “mito vivente” che viene dall’Urss con il suo “bagaglio” di trucchi e di imbrogli affascina il giovane letterato napoletano: «Era molto curioso dei miei studi e della mia formazione culturale. Molto poco delle mie idee politiche».
Il giovane Caprara aveva visto crollare un mondo con il fascismo e la guerra. Non poteva certo immaginare che il “Migliore” era arrivato in Italia dopo un viaggio piuttosto misterioso, per mettere in atto un ordine di Stalin: la “svolta di Salerno”, che passerà poi nella vulgata storica italiana come un’originalità della politica del Pci in Italia. Con il passare del tempo comprenderà tutto, con una grande sofferenza interiore pari alla sua profonda cultura.
L’impressione che Caprara ti dava nei colloqui che riservava agli amici era quella di mostrare quelle sue vecchie fotografie per ritrovarci un’immagine deformata di se stesso. Un volto più giovane, un tratto signorile e di grande competenza professionale, ma come “intossicato” da quel mondo a cui si era legato.
Probabilmente cominciava da quella presa di coscienza di vecchie fotografie, tutto lo sforzo che Caprara faceva e continuò a fare fino alla morte. Ripensare e smascherare quella trascorsa normalità “intossicata”, sia attraverso l’impegno giornalistico di primissima qualità in vari settimanali e quotidiani e poi, con una raffica di splendidi libri, mettere insieme una lunga “recherche” sulla realtà del Pci.
La definizione della figura di Caprara che viene più spontanea è quella del più scomodo degli “ex comunisti” . Di “ex comunisti” l’Italia è ormai piena, ci sono varie generazioni di ex comunisti. Ma Caprara era particolare, perché era nel “cuore della menzogna”, del falso moralismo che imperava tra i rappresentanti cresciuti nel Comintern fino agli amici cattocomunisti italiani. Massimo Caprara diventava quasi spietato nei giudizi, pur temperandoli con la debolezza insita negli uomini.
Ma nella sua particolare “recherche”, nei suoi libri, Massimo Caprara metteva in fila scelte politiche, tattiche parlamentari, personaggi ed episodi personali. Alla fine saltava fuori un “mondo” talmente falso e artefatto che non aveva nulla di rivoluzionario, dove persino la scelta matrimoniale doveva essere stabilita dal partito. Saltava fuori un “milieu” di imbroglioni che si erano legati a filo doppio alla politica di potenza dell’Urss, mistificando fatti, uccidendo persone durante la guerra civile spagnola, massacrando interi gruppi dirigenti di partiti “fratelli” a seconda delle esigenze politiche del nuovo zar di tutte le Russie. Alla fine, dalla disanima della storia del Pci che aveva vissuto, Caprara consegnava al lettore il ritratto di un’Italia che era una mini-repubblica di ispirazione filosovietica.
Nella ricerca e nella documentazione, Caprara era implacabile. Era un tratto distintivo della sua tensione alla verità e nello stesso al rispetto che aveva per la persona umana. È per questa ragione, probabilmente, che mostrava quelle fotografie e si domandava: come hanno fatto a imbrigliare la mia passione per la verità ?