Qualche giorno fa il sussidiario.net, ricordando l’anniversario del Diario di Anna Frank, ha citato Primo Levi. Dal suo Se questo è un uomo, il libro giustamente diventato un classico del Novecento e documento sui lager nazisti di rara intensità e misura, traggo la citazione che segue. La pagina è molto nota, ma vale la pena di ripresentarla, perché è un esempio di come, tentando di insegnare, si imparano cose nuove.
L’autore narra di essere stato scelto per un compito molto ambito, quello di trasportare il rancio per i suoi compagni insieme a Jean, uno studente alsaziano. Hanno un’ora buona per camminare all’aperto. Jean parla francese e tedesco, vorrebbe imparare l’italiano. Al suo compagno viene in mente il canto di Ulisse.
Jean è attentissimo, ed io comincio, lento e accurato:
Lo maggior corno della fiamma antica
Cominciò a crollarsi mormorando
Pur come quella cui vento affatica.
Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso: povero Dante e povero francese! Tuttavia l’esperienza pare prometta bene: Jean ammira e mi suggerisce il termine appropriato per rendere “antica”.
E dopo? Il nulla, un buco nella memoria.
Ma misi me per l’alto mare aperto.
Sono in grado di spiegare perché “misi me” non è “je me mis”, è molto più forte e più audace, è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là di una barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L’alto mare aperto: Jean ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l’orizzonte si chiude su se stesso, libero diritto e semplice, e non c’è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane.
“Mare aperto”. So che rima con “diserto”, ma non rammento più se viene prima o dopo. E anche il viaggio, il temerario viaggio al di là delle colonne d’Ercole, che tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: un sacrilegio. Non ho salvato che un verso:
Acciò che l’uom più oltre non si metta.
“Si metta”: dovevo venire in Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima, “e misi me”. Ma non ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia una osservazione importante. Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda.
Ecco, attento Jean, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza.
Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono. Jean mi prega di ripetere. Come è buono, si è accorto che mi sta facendo del bene. O forse è qualcosa di più: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle.
È tardi , è tardi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere:
Tre volte il fè girar con tutte l’acque,
alla quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, come altrui piacque…
Trattengo Jean, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo “come altrui piacque”, prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più, devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del così umano e necessario e pure inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui.