È in libreria il volume di Eliana Versace “La nascita di Avvenire. Una pagina sconosciuta nella storia della Chiesa italiana”. Abbiamo chiesto all’autrice di anticipare alcuni contenti del suo studio.
Qual era la situazione della stampa quotidiana cattolica prima della nascita di “Avvenire” e quali esigenze e obiettivi ne hanno determinato il sorgere?
Il quotidiano nazionale dei cattolici italiani “Avvenire” nacque il 4 dicembre del 1968 con lo scopo di rendere più uniforme e compatto il mondo cattolico italiano che, in diverse sue espressioni di fede, rimaneva, in parte, ancorato a tradizioni ed esperienze locali di carattere strettamente diocesano. Anche la stampa cattolica, fino ad allora, era stata prevalentemente legata alle singole diocesi o a gruppi e movimenti religiosi. “Avvenire” ebbe origine dall’unificazione de “L’Italia” – quotidiano della diocesi di Milano, diffuso con un’apposita edizione locale anche in Piemonte – con il giornale bolognese “L’Avvenire d’Italia”, distribuito nelle regioni del centro Italia e in Veneto. Anche se il progetto di fusione delle due testate venne avviato solo negli anni Sessanta, per espressa volontà del nuovo Pontefice Paolo VI, di un eventuale “assorbimento” del quotidiano bolognese da parte de “L’Italia” si era già parlato tra il 1949 ed il 1950, in alcune riunioni convocate in Vaticano appositamente per discutere i problemi della stampa cattolica, e presiedute dall’allora sostituto alla segreteria di Stato monsignor Montini, futuro Paolo VI.
È interessante segnalare questo aspetto perché la speranza, coltivata da Montini, per un quotidiano cattolico che avesse una più vasta diffusione nel Paese, precede addirittura la nascita della Conferenza Episcopale Italiana – che avvenne solo nel 1952 – ed alla quale il giornale nazionale dei cattolici italiani avrebbe in seguito fatto riferimento.
Il ruolo decisivo sembra essere stato quello di Paolo VI. Qual era la sua visione della missione del quotidiano cattolico nazionale?
L’attenzione di Montini per i mezzi d’informazione ed il variegato mondo della stampa cattolica fu costante in tutto il suo percorso biografico. Bisogna ricordare che il padre di Montini, Giorgio, era stato direttore del quotidiano cattolico bresciano “Il cittadino” ed il giovane Montini aveva lui stesso fondato, sempre a Brescia, un foglio quindicinale, “La Fionda”. Da assistente generale della Fuci aveva poi stimolato il periodico dell’associazione, scrivendo egli stesso su “Azione Fucina”. Alcuni dei giovani da lui seguiti in quegli anni sarebbero diventati in seguito redattori e collaboratori de “L’Osservatore Romano”, come Guido Gonella, futuro ministro della Giustizia democristiano e Federico Alessandrini, che sarà direttore della Sala stampa della Santa Sede.
Durante il lungo periodo trascorso in segreteria di Stato, a Montini venne affidato l’incarico di seguire “L’Osservatore Romano”, quasi diventandone l’editore di riferimento, compito che mantenne fino a quando non divenne arcivescovo di Milano. E sin dal suo arrivo nel capoluogo lombardo, Montini si interessò attivamente anche ai problemi del quotidiano cattolico milanese “L’Italia”, instaurando un cordiale e proficuo rapporto con l’amministratore delegato del giornale, mons. Bicchierai, e con i due direttori, mons. Ernesto Pisoni, rimasto alla guida fino al 1961, e poi Giuseppe Lazzati. Sul perché sia stato chiamato Lazzati a sostituire Pisoni, non si hanno fonti certe. Come cristiano era certamente noto e stimato dall’arcivescovo, ma la sua nomina sembrava anche essere gradita al Papa, Giovanni XXIII. Tra Montini e Lazzati però sorsero alcune divergenze – attestate da una inedita documentazione – sull’impostazione politica data al giornale dal nuovo direttore. Montini guardava infatti con persistente diffidenza ed immutato timore all’imminente ed ormai inevitabile alleanza politica tra cattolici e socialisti, considerata pericolosa per le sue implicazioni di carattere dottrinale e morale. Ma di fronte alle numerose lettere di protesta che i lettori, e qualche vescovo, inviavano a lui, sulla linea politica assunta dal giornale di Lazzati, Montini – per scongiurare un’ulteriore e grave perdita di lettori con il conseguente, prevedibile dissesto nei bilanci del giornale, e per salvaguardare l’unità del mondo cattolico ambrosiano, fu indotto a prendere le difese del giornale di Lazzati, sottolineandone l’ampia autonomia rispetto alla gerarchia, così come, negli anni precedenti, aveva difeso, allo stesso modo, anche mons. Pisoni che invece, da direttore, aveva dato al quotidiano una linea politica diversa – quasi completamente opposta – da quella di Lazzati. Ancora qualche settimana prima di essere eletto Papa, Montini confermò tutte le sue ansie ed i suoi timori per la linea politica del giornale della sua diocesi, giungendo a prospettare una “tempestiva” sostituzione di Lazzati alla direzione.
Anche da Papa, Paolo VI continuò ad interessarsi alle vicende della stampa cattolica e, con lungimiranza, prospettò la nascita di un grande quotidiano nazionale dei cattolici italiani. Paolo VI seguì con determinazione questo progetto, sollecitando in questo senso anche i vescovi italiani e superando il forte scetticismo del cardinale Colombo, suo successore quale vescovo di Milano, e la contrarietà del cardinale Lercaro, arcivescovo di Bologna. Fu così che quarant’anni fa, nel 1968, grazie all’indispensabile appoggio del Papa, nacque a Milano il quotidiano cattolico “Avvenire”, inteso da Paolo VI come strumento di evangelizzazione e di dialogo col mondo moderno, e quindi-secondo il chiaro senso che alla parola dialogo dava Paolo VI, dall’Ecclesiam suam in avanti – quale irrinunciabile strumento di missione. Nel 1971 rivolgendosi ai giornalisti di “Avvenire” ricevuti in udienza, Paolo VI, li definirà “alleati del Papa”, esortandoli ripetutamente all’apostolato.
In quale clima ecclesiale e culturale si è inserito il neonato giornale?
“Avvenire” nacque nel 1968, in un momento in cui il mondo cattolico appariva fortemente minacciato dal fenomeno della contestazione e del dissenso post-conciliare. Durante il suo primo decennio di vita il giornale dovette confrontarsi con gli epocali mutamenti che investirono la società italiana, suscitando gravi lacerazioni anche nel mondo cattolico. La sconfitta nella battaglia referendaria per l’abrogazione della legge sul divorzio, condotta da anche da“Avvenire” in assoluta fedeltà al magistero della Chiesa, svelava la realtà di un Paese ormai secolarizzato ed in cui il ruolo dei cattolici, che apparvero per la prima volta frammentati e divisi, si andava sempre più marginalizzando. Anche nel partito di maggioranza, la Democrazia Cristiana, la sconfitta referendaria evidenziò una latente crisi di rappresentatività del mondo cattolico, palesando il crepuscolo di quella che sarebbe stata definita l’“egemonia democristiana”del Paese. In questo mutato contesto, la voce del quotidiano cattolico nazionale doveva assumere maggiore forza ed incisività, superando i confini dello stesso mondo cattolico. Il giornale, secondo quanto dichiarò il suo direttore Angelo Narducci – che ne aveva assunto la guida fin quasi dall’inizio, mantenendola per un decennio e consolidandone struttura e diffusione – avrebbe dovuto svolgere una azione formativa, oltre che informativa, presso i suoi lettori, difendendo valori fondamentali – umani prima ancora che cristiani – e vigilando su alcuni temi specifici che stavano a cuore ai cattolici come: la famiglia; la scuola pubblica affinché trovassero spazio reale le esigenze dei cattolici, che venivano invece di fatto represse; la scuola cattolica, perché tornasse ad essere luogo privilegiato di educazione cattolica; il mondo della cultura. In questo senso “Avvenire” avrebbe rappresentato usando le parole di Narducci, “la coscienza critica dei cattolici italiani”. In quei difficili anni in cui si stava sgretolando inesorabilmente l’unità politica dei cattolici italiani attorno ad un unico partito, “Avvenire”, assecondando le attese del Papa che tanto lo aveva voluto e protetto, avrebbe potuto contribuire a recuperarla e ricompattarla, almeno sulla difesa dei valori essenziali, rinsaldando il vincolo di unione tra i cattolici italiani e la gerarchia ecclesiatica.