Chiara Strazzulla, 18 anni, un diploma al liceo classico e ora gli studi di lettere antiche alla Normale di Pisa. Oltre a tutto ciò è la più giovane autrice fantasy italiana. L’anno scorso ha pubblicato con Einaudi “Gli Eroi del Crepuscolo”, un successo da 40.000 copie e, pochi giorni fa, ha presentato la sua seconda fatica fantasy: “La strada che scende nell’ombra”. Una chiacchierata con quella che in molti definiscono un’enfant prodige, alla scoperta del mondo letterario del fantasy e delle dinamiche che legano i giovani alla letteratura.



Chiara, partiamo dal successo del tuo primo libro “Gli eroi del crepuscolo”. Tutte quelle copie vendute e ora i diritti di traduzione acquistati anche dalla Germania. Come è stato, umanamente, il percorso che ti ha portato a questo primo, fortunatissimo, libro?

In realtà, mentre scrivevo il romanzo non avevo mai preso in considerazione l’idea di pubblicarlo: mi sembrava presto, e io ho sempre avuto la passione di scrivere, quindi scrivere il libro era innanzitutto un modo piacevole di passare il mio tempo libero e anche una sfida con me stessa, dal momento che prima non ero mai riuscita a finire una storia lunga. Poi il testo ultimato, dopo essere rimasto sepolto per qualche tempo in un cassetto, è finito in Einaudi grazie all’intervento di una mia insegnante. Non credevo che l’avrebbero pubblicato, e non lo credevano nemmeno loro, perché il fantasy non era nella linea editoriale di Einaudi in quel momento. Poi invece il libro è piaciuto e l’avventura è cominciata. Di certo io non avrei mai creduto che mi avrebbe portato tanto lontano.



Le idee, gli spunti ma anche alcune bozze del libro sono state concepite durante le ore scolastiche. Quanto è stata importante l’esperienza scolastica in tutto ciò? C’è stato qualcosa, in quello che hai studiato e ascoltato, che ti ha mosso a scrivere ed approfondire?

Alla base della decisione di scrivere proprio un fantasy, tra tutti i possibili generi letterari, c’è sicuramente la mia grandissima passione per la mitologia e soprattutto per l’epica: sono sempre stata, e rimango, convinta che il fantasy sia l’epica dei nostri tempi, e a ispirarmi è stato Omero più di molti autori contemporanei. E di certo questa passione per mito ed epica è la stessa che mi ha spinto anche a studiare lettere antiche: oltre che a una certa tendenza personale, è nata anche dal fatto di aver avuto, già dalla scuola media, dei bravissimi professori di lettere, che mi hanno fatto davvero innamorare della materia. Quindi sì, l’ambiente scolastico ha formato almeno in parte il mio modo di scrivere e l’argomento di quello che scrivo, anche se non è il solo fattore coinvolto.



Pochi giorni fa hai presentato “La strada che scende nell’ombra”, una storia che vede protagonista la “compagnia dei peggiori”, con briganti terroristi e mercenari. Ma soprattutto un racconto «dove i confini tra bene e male sono sempre più ambigui». Perché?

Uno dei grandi limiti del fantasy secondo me è di avere una concezione molto manichea: il bene è Bene con la B maiuscola, il male è Male, non ci sono sfumature né mezze tinte. Io trovo invece che nella realtà con cui dobbiamo fare i conti ogni giorno i confini tra bene e male siano estremamente indistinti, tanto che spesso è molto difficile distinguere dove finisca l’uno e cominci l’altro. Ho voluto mettere questa stessa convinzione, che fa parte anche di una riflessione che ho sviluppato negli ultimi anni partendo dalla vita reale, nel mio nuovo libro: perché è il più grande e importante dei problemi che mi sono posta mentre scrivevo, e perché vorrei che anche l’ipotetico lettore se lo ponesse e notasse quanto è difficile dare una risposta.

Con il tuo “Gli eroi del crepuscolo” hai sancito l’apertura editoriale della Einaudi ai libri fantasy. Cosa c’è che senti tuo e che ti ha colpito a tal punto da voler dedicare centinaia di pagine a questo genere letterario?

Mi piace proprio la dimensione epica del fantasy: mi sembra che questo genere ci fornisca la possibilità di costruire una sorta di mitologia contemporanea che, proprio come faceva la mitologia antica, parla del mondo in cui viviamo e che dobbiamo conoscere e affrontare, ma tramite tutto l’armamentario del fantastico, che è fatto di simboli e di immagini, in maniera non diversa dai sogni. Il fantasy dà l’opportunità di toccare problematiche molto vicine a chi scrive e a chi legge in maniera non pesante né opprimente, e esercitando la fantasia ai massimi livelli: contiene tutto quel piacere della narrazione che è una delle qualità che distinguono l’uomo dagli animali.

Tra gremlin, ipnotizzatori e atmosfere suggestive, quanto umano c’è in una storia fantasy?

Molto più di quanto si potrebbe pensare a prima vista: i personaggi possono anche avere doti eccezionali e appartenere a razze di fantasia, ma pensano, ragionano, hanno sentimenti, amano e soffrono come noi. Hanno le nostre stesse passioni, i nostri stessi dubbi e anche i nostri stessi difetti. In maniera quasi paradossale, proprio il fatto che abbiano un’identità tanto diversa dalla nostra ci rende molto più facile identificarci in loro, e nel delineare i miei personaggi e la mia storia spesso mi sono trovata a guardare dall’esterno me stessa e il mondo in cui vivo, a vedere cose che magari mi erano sfuggite.

Il rapporto tra giovani e letteratura sembra sempre troppo debole, soprattutto rispetto alle potenzialità che dischiude un binomio del genere. Come giudichi tale rapporto? Quali soluzioni, anche a livello scolastico, avanzeresti per incentivare un maggior avvicinamento dei ragazzi al mondo della letteratura?

L’approccio stesso con cui la letteratura viene presentata ai giovani spesso è sbagliato: quello per le lettere è un amore e l’amore non può essere imposto. Forse le lettere andrebbero presentate in maniera meno rigida e nozionistica. Bisognerebbe ricordare, come invece spesso in ambito scolastico non si fa, che la letteratura non è una scienza esatta, ma un’arte, e che prima ancora che alla sfera dell’intelletto appartiene a quella del sentimento. Quella con le lettere è a tutti gli effetti una storia d’amore, e nessuno è un grado di amare quanto i giovani: basta che scoprano quanto i libri sono vicini a loro, quanto gli somigliano, quanto in effetti parlino direttamente di loro.

Quali sono le ragioni della tua scelta di non fermarti alla lettura, ma di prendere carta e penna e cimentarti con la letteratura? È davvero così immediato questo passaggio?

Per me lo è stato, perché ho sempre avuto questo desiderio di raccontare storie, e quindi di scrivere, che è il modo di raccontare che offre più spazio e più possibilità. Ma sicuramente la scrittura e la lettura sono inseparabili e vanno di pari passo: i libri dei grandi sono i maestri migliori per chiunque desideri scrivere. Se dovessi elencare le ragioni che mi hanno spinto, ne citerei tre: prima di tutto l’amore per le storie e il desiderio di raccontare; poi la voglia di emulare i grandi autori che amo, di cercare di imparare da loro; e infine la speranza di riuscire a comunicare quello che penso e che provo a chi mi leggerà, di riuscire a far provare al lettore che apre il mio libro un’emozione. Se ci riuscissi, allora potrei ritenermi soddisfatta.

(Marco Fattorini)