Tra il 1973 e il 1975 Pasolini scrive sul Corriere della Sera una serie di articoli, gli Scritti corsari, che hanno mille risvolti di analisi sociologica, ma un solo grande tema filosofico: il Potere.

Già: scritto con la maiuscola. Il Potere che ha realizzato una svolta “millenaria”, una “rivoluzione antropologica” attraverso il consumismo “omologante” che si è affermato negli anni ’60 grazie a televisione e infrastrutture. Insieme alle lucciole, il simbolo pasoliniano di un mondo legato alla realtà dei fatti, il Potere ha fatto scomparire una lingua, una cultura, la Chiesa e molte altre cose che affermavano la diversità dei tratti del singolo uomo e il suo radicamento nella realtà del proprio popolo. In nome di cosa? Di un edonismo violento e totalitario – molto più del fascismo – dove gli stessi desideri sono manipolati e decisi e dove vige un’unica piatta e desolante tristezza.



Lasciamo perdere le polemiche un po’ datate dell’epoca – il ruolo del Partito Comunista, le maschere democristiane, le scaramucce tra intellettuali di sinistra – e vediamo se c’è qualcosa di originale e necessario nell’analisi di Pasolini.

Secondo l’introduzione dell’edizione Garzanti, curata da Berardinelli, Pasolini non scopriva niente di nuovo. La forza omologante della società di massa l’avevano già denunciata gli studiosi della scuola di Francoforte (e Marcuse e Marx ecc.). Pasolini scopriva solo, esistenzialmente, ciò che tutti avevano già capito in teoria. Se fosse solo così, gli Scritti Corsari sarebbero un documento patetico, nel senso etimologico del termine.



È vero, il fattore esistenziale conta. Pasolini non era solo un intellettuale borghese: «Io so bene, caro Calvino, come si svolge la vita di un intellettuale. […] Letture, solitudini al laboratorio, cerchie in genere di pochi amici e molti conoscenti, tutti intellettuali e borghesi. Una vita di lavoro e sostanzialmente perbene. Ma io, come il dottor Hyde, ho un’altra vita» (52). Per questa sofferente vicenda esistenziale, Pasolini frequentava altri ambienti e vedeva che era successo qualcosa di diverso dal solito.

Il Potere c’è sempre stato, ma la svolta millenaria che Pasolini denunciava consiste nel fatto che questo Potere, che sempre si era palesato nel cuore di ciascuno (l’idolo della Bibbia) e in forme politiche autoritarie (le dittature del XX secolo), ora si è mostrato nella sua forma “ultima”: il Potere unico, la cui natura è cercare di manipolare il desiderio dell’uomo fino a fargli credere – lo ricordava Foucault – che sia esso stesso a dare la vita. Nella visione apocalittica che Pasolini ha individuato Potere va scritto con la maiuscola perché è il dio di oggi, ed è l’ultimo dio, la mentalità di cui siamo tutti servitori e che ci plasma tutti – persino fisicamente siamo diventati tutti “identici” –, che tutti collaboriamo a costruire, ma non innocentemente, e non senza che ci sia qualcuno che ci guadagni (e forse c’è qualcuno che decide). Il Potere unico e apocalittico era la sua scoperta “teoretica” sulla cui validità sarebbe ancora interessante discutere.



Aveva ragione Pasolini? E che cosa direbbe oggi, trentacinque anni dopo gli Scritti corsari? Come aveva previsto, fascisti e anti-fascisti non esistono più, sepolti dall’uniformità del desiderio che già li dominava, lingua e cultura sono del tutto omologate e, soprattutto, i desideri sembrano essere ormai identici. In più anche il mercato è globale e internet ha terminato l’opera della TV. Forse l’opera più profonda del Potere unico è l’avere convinto tutti che non ci può e non ci deve essere un significato totalizzante per cui valga la pena sacrificarsi, perché abbiamo visto che sono pericolosi. La disintegrazione della totalità del desiderio e della razionalità concede una vita frammentata in ambiti e settori – anche di significato (di qualsiasi tipo: progressisti, conservatori, cattolici, musulmani ecc.) – purché non totalizzanti. Forse Pasolini si sarebbe sorpreso solo a vedere che l’etica, in cui lui un po’ confidava, è invece il collante invocato da tutti come panacea per ogni male, dalla crisi economica a quella di governo. Ma se c’è un Potere unico, non è forse etico per definizione?

Esiste un’alternativa? Sparse tra gli Scritti corsari, alcune idee per la Resistenza (maiuscola contro maiuscola) al Potere ci sono: essere leali con certe evidenze (“senza senso comune la razionalità è fanatismo” [26]); incontri veri e umani (55); battersi contro il nominalismo (“Io vivo nelle cose” [74]). Solo così si può vivere quell’allegria che il Potere omologante odia (61): «Non è la felicità che conta? Non è per la felicità che si fa la rivoluzione?».

(Giovanni Maddalena)