Il 2 luglio scorso è morto Martin Hengel (1926-2009), teologo luterano, professore emerito di Nuovo Testamento ed Ebraismo antico nella rinomata università di Tubinga. Senza dubbio è stato uno degli esegeti più influenti del XX secolo e degli inizi del XXI. Per molti anni è stato un instancabile ricercatore delle origini storiche del cristianesimo.
Attraverso un uso intelligente delle fonti, ha mostrato la debolezza delle basi su cui poggia una certa esegesi critica. Per esempio, ha messo in evidenza la falsità storica introdotta da R. Bultmann, che voleva un’opposizione tra il mondo ellenistico e quello palestinese, poiché all’epoca di Gesù la lingua e la cultura greca erano ampiamente penetrate tra gli ebrei di Palestina. Come prova di ciò, Hengel segnalava che il 40% delle iscrizioni funerarie trovate nella Gerusalemme del periodo neotestamentario erano greche.
Allo stesso modo ha respinto l’idea romantica secondo la quale i Vangeli sarebbero il prodotto creativo della comunità, uno dei principi su cui si basano molte conclusioni della Scuola della storia delle forme. Ha ben difeso, mantenendo una posizione controcorrente, il valore storico della prima parte degli Atti degli Apostoli. All’interno del suo interesse per la conoscenza delle origini del cristianesimo, ha dedicato parte della sua ricerca ad approfondire la figura di San Paolo, uno dei grandi protagonisti della diffusione del cristianesimo, prestando particolare attenzione alle sue radici ebraiche, alla sua formazione rabbinica e ai primi anni della sua adesione alla fede cristiana.
L’uso intelligente delle fonti storiche lo ha portato alla conclusione che le posizioni sostenute dalla Chiesa (che frequentemente gli ambiti cossiddetti progressisti e la stampa sminuiscono ritenendole tradizionaliste) hanno un fondamento storico e non nascono da principi dogmatici. In più, ha fatto vedere come la predicazione cristiana non si basa su enunciati teologici, ma su fatti ed eventi successi in un luogo e in un tempo definiti. La fede non crea l’avvenimento, ma al contrario l’avvenimento genera la fede.
Un esempio di quanto detto è il suo studio intitolato Il Figlio di Dio, dove mostra la mancanza di fondamenti della teoria che identificava la divinità di Gesù come ispirata dai miti pagani. La natura divina di Gesù, presente dalle origini della Chiesa, proviene dalla stessa coscienza di quel giudeo che ha predicato ed è morto crocifisso sotto Ponzio Pilato. Per questo ha respinto come falsa l’opposizione introdotta da tanta esegesi attuale tra il Cristo della fede e il Gesù storico.
Ha difeso con energia il valore storico dei Vangeli e l’antichità della tradizione raccolta in questi libri, poichè essa ha la sua origine in testimoni oculari degli avvenimenti narrati. Certamente non si tratta di racconti asettici o di cronache moderne; la storia è intessuta di teologia, o detto in altri termini, gli eventi sono letti alla luce delle promesse al popolo di Israele realizzate da Dio. Inoltre, i Vangeli sono stati scritti per comunicare la fede in Gesù di Nazareth; pertanto annunciano la verità rivelata sull’identità di quest’uomo e la sua missione salvifica. Una verità cristologica che si è sviluppata nel tempo ed è stata esplicitata dagli stessi evangelisti.
Molti lavori di Hengel sono di ricerca, altri di alta divulgazione, ma in tutti la conoscenza non è mai fredda, riflette sempre lo stupore e la gratitudine dell’autore davanti ad avvenimenti così gratuitamente sorprendenti, così ricchi di bene per la vita dell’uomo. In realtà, l’uomo privo di pregiudizi non può non stupirsi del fatto che un crocefisso sia stato annunciato fin dall’inizio del cristianesimo come Figlio di Dio e salvatore degli uomini.
Forse per questa unità tra studio e fede commossa, in certi ambienti Hengel è stato considerato uno studioso conservatore. Spesso questo aggettivo è stato usato per squalificare le sue ricerche. Certe posizioni ideologiche si difendono dai dati e dalle prove con il ricorso a espressioni e aggettivi negativi, con i quali si cerca di evitare il duro sforzo della critica scientifica, o di nascondere la mancanza di fondamento dell’ipotesi esegetica che si propone come certa. Con il suo studio Hengel ha collaborato a mostrare la razionalità della fede, il suo solido fondamento storico.
Al termine della sua vita avrà ricevuto il premio del buon servo promesso nel Vangelo. Ora conosce quello che con tanto sforzo e fatica ha cercato di penetrare con la sua intelligenza e che ha annunciato agli uomini con il suo magistero orale e scritto. Ora gode dell’abbraccio di Colui che ha riconosciuto e amato come suo Salvatore.