Non fu propriamente un teologo, ma un umanista e un giurista, tuttavia pochissimi uomini hanno inciso così in profondità sulla storia religiosa dell’Europa moderna. Parliamo di Giovanni Calvino (Jean Cauvin), nato a Noyon in Piccardia il 10 luglio del 1509, dunque cinquecento anni fa. Personalità intelligentissima e incline agli studi letterari, per compiacere il padre prese la licenza in diritto all’università di Parigi, dove entrò per la prima volta in contatto con correnti di pensiero filoluterane. Alla morte del padre riprese gli amati studi umanistici proprio nello stesso periodo in cui iniziava a frequentare la Sorbona Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù e grande protagonista della Controriforma cattolica. Queste due personalità, che mai si incontrarono, si trovarono dunque nello stesso ambiente culturale nel medesimo periodo. Due storie parallele, due personalità fortissime e per molti versi anche molto simili. Calvino vedeva in Gesù Cristo il Giusto Giudice incoronato di gloria, Ignazio il Signore della Misericordia, la cui gloria è la croce. Il primo fece uscire la Riforma Protestante dai ristretti limiti del mondo germanico e, grazie alle sue capacità organizzative e al suo fascino, ne fece un fenomeno europeo e mondiale; il secondo passò dalla vita militare a una militanza appassionata per il Signore che gli si era manifestato nell’esperienza di Manresa, divenendo il cuore di un’intensa esperienza missionaria in tutto il mondo. A Parigi Ignazio di Loyola era venuto per consolidare la sua formazione teologica, Calvino per licenziarsi in diritto.
Non si può certo dire che Parigi fu la Manresa di Calvino, ma di certo in alcune correnti intellettuali filoprotestanti che vi stavano attecchendo, egli trovò un’importante conferma alle istanze rigoriste e alla critica della spiritualità tardomedievale che da qualche anno lo agitavano. L’incipiente Protestantesimo parigino era anzitutto un fenomeno intellettuale e a tratti aristocratico, che godeva di simpatie anche nell’ambiente di corte. Nell’ottobre del 1534 vennero diffusi a Parigi dei fogli contro la Messa cattolica, uno dei quali, a quanto pare, fu affisso persino nell’appartamento del re, Francesco I, che reagì con durezza, ordinando l’arresto di numerosi protestanti. Calvino abbandonò la Francia, prima per Strasburgo, poi per Basilea. Qui nell’agosto del 1535 completò la prima versione della sua «Institutio christianae relgionis», opera fortunatissima che avrebbe poi conosciuto tutta una serie di revisioni e di ampliamenti. Al centro di essa vi è l’idea che la Riforma non è che la ripresa delle origini cristiane, così come sono testimoniate nella Bibbia, e non una nuova chiesa. In modo particolare, per Calvino il cuore del messaggio cristiano viene spiegato con la teoria della doppia predestinazione: il destino di ogni persona, la dannazione o la salvezza, è già deciso prima della nascita; il successo in questa vita nell’adempiere le virtù è il segno dell’elezione divina. Per questo il fedele agendo in conformità con le cosiddette virtù calviniste – rigore morale, laboriosità, parsimonia, temperanza, sopportazione del dolore – può misurare sino a che punto Dio lo ha eletto alla salvezza. Le opere non giovano a nulla, ma attraverso di esse si può cogliere il segno della salvezza a cui si è destinata. Ne derivano un forte dinamismo confessionale e un acceso attivismo pratico, di cui la laboriosità e la parsimonia sono le espressioni più evidenti. A consentire la diffusione del modello calvinista fu però non tanto la suggestione delle idee, ma, almeno all’inizio, soprattutto tutta una serie di fortunate circostanze.
Nel maggio del 1536 Calvino lasciò Basilea per recarsi a Strasburgo, ma a causa dei conflitti locali che allora infiammavano l’Alsazia e la Germania meridionale, dovette fare tappa a Ginevra. Si trattava originariamente solo di una deviazione, ma, su insistenza del predicatore riformato Guillaume Farel, Calvino decise di fermarsi nella città sul Lemano. Ginevra aveva aderito alla Riforma più per fare dispetto ai Savoia, contro i quali stava costruendo la propria autonomia cittadina, che per reali convinzioni. Farel e Calvino si misero quindi all’opera per elaborare un Catechismo e una Professione di fede a cui avrebbero dovuto giurare fedeltà tutti i ginevrini, ma ben presto si manifestano fortissime resistenze da parte della popolazione. Calvino e Farel dovettero lasciare Ginevra e trasferirsi a Strasburgo. Qui Calvino approfondì i contatti con l’ambiente luterano, senza mai conoscere personalmente Martin Lutero. Quest’ultimo, peraltro, era diversissimo da Calvino, per personalità, sensibilità e storia. Lutero era un uomo passionale, perennemente in lotta con le tentazioni della carne, ma anche amante della buona tavola e della compagnia. Le Tischreden di Lutero sono la trascrizione delle conversazioni fatte a tavola, in cui frizzi, battute al limite dell’osceno e invettive teologiche spesso si mescolano. Calvino non conosce nulla di simile: nessuna traccia di angoscia e di passione, ma solo certezze indiscutibili e assolute, che per lui coincidevano con la vera e autentica tradizione. Anche la scelta di sposarsi è dovuta a motivazioni profondamente differenti. Per l’ex monaco agostiniano Lutero, profondamente sensuale e passionale, il matrimonio è remedium concupiscentiae, mentre per Calvino è una necessità sociale. Calvino, infatti, si sposò, ma non per amore, bensì per dare il buon esempio, e, non a caso, “scelse” una vedova con figli. Ma le differenze tra i due sono soprattutto di carattere dottrinale. Lutero non accetta la teoria della doppia predestinazione e afferma il valore della consustanziazione, per cui Cristo è realmente presente nel sacramento della Cena. Calvino, che assume una posizione di mezzo tra Zwingli (che nega ogni valore di presenza reale alla Cena) e Lutero, ammette al massimo una sorta di presenza spirituale. Le differenze dogmatiche tra Calvino e Lutero erano destinate a esplodere e a produrre una spaccatura profonda in seno al protestantesimo.
Nel 1541 il consiglio municipale ginevrino richiamò Calvino, accettando le sue proposte di riforma e l’introduzione di severe regole morali. Di fronte al progetto di rigido disciplinamento sociale e morale della città si manifestarono quasi immediatamente profondi dissensi e opposizioni, ma Calvino questa volta reagì con la massima durezza e con misure legali ferree e spietate. L’esempio più clamoroso fu quello del teologo spagnolo Michele Serveto, che aveva negato il dogma della Trinità e che per questo stava subendo un processo da parte dell’Inquisizione. Nel 1553 Serveto fuggì da Lione e cercò rifugio a Ginevra. Poco dopo il suo arrivo in città, Calvino lo fece arrestare e condannare al rogo come eretico. Nel frattempo si acuirono ulteriormente i contrasti con i Luterani che, a parere di Calvino avevano una concezione della Cena ancora troppo vicina a quella dei “papisti” , mentre maturò l’avvicinamento ad Heinrich Bullinger, successore di Zwingli a Zurigo. Da questo accordo nacque la chiesa riformata elvetica, che si contrapponeva ormai non solo alla Chiesa cattolica, ma anche alle chiese luterane.
Oltre al tema della doppia predestinazione e alla diversa concezione della Cena, molto importante era il diverso modo di pensare il rapporto stato chiesa. Per Lutero lo stato ha il diritto di riformare la chiesa e il cittadino deve ubbidire sempre allo stato, la cui autorità, come dice san Paolo, «viene da Dio». Per Calvino la chiesa ha il diritto di imporre le proprie leggi e i propri principi morali allo stato, come di fatto avvenne a Ginevra a partire dalle «Ordinanze ecclesiastiche» del 1541. La posizione di Calvino a Ginevra era ormai sempre più forte, anche grazie alla consistente immigrazione di protestanti provenienti da tutte le regioni della Francia (circa cinquemila su una popolazione di quindicimila abitanti). Ginevra si avviava così a essere la Roma del protestantesimo: vennero vietate le danze e la musica profana, il gioco delle carte, gli ornamenti e il lusso, la lettura di testi letterari non religiosi e non edificanti. Si bruciarono in pubblico non solo le opere dei “papisti” e degli eretici, ma anche i capolavori della letteratura rinascimentale, giudicata paganeggiante e immorale.
La riforma calvinista, come già quella zwingliana a Zurigo, fu violentemente iconoclasta e comportò in tutti i territori elvetici passati alla Riforma la spogliazione delle chiese e la distruzione di preziosissime opere d’arte. Tra il 1542 e il 1546, nel breve arco di quattro anni, quelli in cui fu applicata la nuova disciplina ecclesiastica, a Ginevra vennero eseguite più di sessanta condanne a morte per motivi morali o religiosi. Intanto, da tutta Europa arrivavano a Ginevra nuovi adepti, attirati dal fascino di Calvino, nei confronti del quale si generò un entusiasmo che spesso sconfinava nel fanatismo. Grazie alla collaborazione di Teodoro di Beza venne istituita la nuova accademia teologica di Ginevra, destinata a formare pastori e missionari da inviare in ogni parte d’Europa. Il monumento ai riformatori, eretto a Ginevra nel 1909, accanto a Calvino, Farel e Teodoro di Beza, colloca l’effigie di John Knox, riformatore della Scozia e organizzatore della chiesa presbiteriana, e quella di Oliver Cromwell, il fanatico puritano che guidò gli eserciti inglesi nella devastazione dell’Irlanda, in uno spaventoso eccidio che avrebbe dovuto cancellare il cattolicesimo da quell’isola.
Ginevra divenne così il centro del calvinismo europeo e mondiale. Nel frattempo, però, la salute di Calvino peggiorava progressivamente, al punto che, a causa della tubercolosi, negli ultimi mesi fu costretto a governare la città dal suo letto. Anche su questo punto la biografia di Calvino presenta un impressionante parallelo con sant’Ignazio di Loyola, che dal letto di morte inviava lettere ai missionari gesuiti sparsi in ogni parte del mondo, ma, ancora una volta, balza agli occhi anche la differenza, tra la fede assoluta di Calvino e l’ardente passione per Cristo e per la Chiesa di Ignazio. Calvino morì il 27 maggio 1564 a 54 anni di età. Aveva iniziato la sua opera di riforma ribellandosi all’autoritarismo della Chiesa romana, lasciò dietro di sé un regime tra i più intolleranti che la storia dell’Occidente abbia mai conosciuto. Identificando di fatto il cristianesimo con la purezza legale e la coerenza etica, Calvino, come scrive Daniel-Rops, finisce per essere l’antenato spirituale di Robespierre e del moderno fanatismo ideologico.