Seconda puntata dedicata agli Scritti corsari di Pasolini. Dopo aver detto che il Potere (con la maiuscola) è diventato unico, omologante, padrone dei desideri di tutti mostrando così la faccia vera nascosta sotto i molti tradimenti umani (di destra e di sinistra), Pasolini si rivolge alla Chiesa. Perché la Chiesa? Perché la Chiesa era una forza popolare e, allo stesso tempo, era sempre stata un’alleata di tanti poteri storici. Ma l’apparire del Potere unico ha iniziato una nuova fase storica, che – secondo Pasolini – Paolo VI aveva intuito: l’epoca della possibile fine della Chiesa.



Il Potere unico odia la Chiesa come tutto ciò che propone un’appartenenza concreta, storica, popolare. Certo, Pasolini ha nostalgia di un certo mondo “rurale”, ma la questione della Chiesa è più profonda. Allo scrittore interessa il fatto che la Chiesa avrebbe in sé la possibilità di proporre un rapporto originario con le cose, in cui i significati – anche quelli anti-cattolici – vengono dal di dentro dell’immedesimazione con ciò che accade (con “questa” persona e non con la gente in generale). È su questo che vale la pena riflettere.



Pasolini, constatando che il Potere aveva dismesso la Chiesa per la prima volta dai tempi delle persecuzioni – senza che gli uomini della Chiesa se ne accorgessero! –, suggeriva alla Chiesa di recuperare la propria autenticità in due modi: 1) passare all’opposizione, non “di sinistra”, ma all’opposizione al Potere reale; 2) rimettere al centro Cristo stesso, spesso dimenticato nell’alleanza con i vari poteri civili.

Aveva ragione? Dopo Pasolini e dopo Paolo VI c’è stato il lungo pontificato di Giovanni Paolo II e quello di Benedetto XVI. Almeno a quantità di gente, popolarità, e ricordo della centralità di Cristo, la Chiesa si è ripresa. E molto è dovuto al fatto che i due Papi non abbiano avuto paura di mostrare sinceramente il proprio animo a quello stesso livello di immagine immediata, e per questo comunicativa, che il Potere ha usato per promuoversi. Ma qui Pasolini noterebbe che il Potere unico, per realizzare se stesso, ha utilizzato allora una nuova strategia: la gabbia dello zoo. Mostrare gli uomini di Chiesa chiusi in una cornice predefinita, che il significato non riesce a “bucare”. Le adunate oceaniche sono servite a risollevare la popolarità ma il messaggio è rimasto incomprensibile al di fuori di un circolo ristretto di affezionati: i discorsi dei preti, e persino dei Papi, scivolano via nella noia generale delle formule ripetute. La verità è che parlare di Gesù non basta, se non si cambia la testa.



La vera rivoluzione («Non è la felicità che conta? Non è per la felicità che si fa la rivoluzione?»[61]) era al punto 1): l’opposizione al Potere reale dal punto di vista della conoscenza. E questo, forse, la Chiesa non è riuscita a farlo, trasformata troppo spesso in spettacolo tra spettacoli.

Perché? Quale sarebbe la vera rivoluzione? La lotta contro il nominalismo (“vivo nelle cose” diceva Pasolini ricordando lo “sprofondare nei fatti” di Dostoevskij) ossia lo stupore vero delle cose – «struggente meravigliosa bellezza del creato» dice il Totò morente di Che cosa sono le nuvole?; il riconoscimento del potere eversivo delle proprie esigenze di verità – per esempio nei rapporti affettivi –; il recupero del rapporto tra uomini personale, carnale, preferenziale, di appartenenza (una parola maledetta per il Potere); l’anti-moralismo radicale della misericordia in un’epoca di pruderie borghese; il coraggio del confronto spregiudicato (e non con il complesso d’inferiorità o di superiorità) con il pensiero contemporaneo e con il mondo della politica e dell’economia.

Benedetto XVI in Francia ha proposto un esempio e una forma di razionalità: i monaci e il canto, espressione di una razionalità legata a un’appartenenza particolare ma tesa alla verità universale. Sulla presenza di luoghi di una razionalità diversa in mezzo al mondo – e amanti di “questi” esseri umani – si gioca ancora oggi la battaglia decisiva per il destino della Chiesa. L’alternativa è quella che Pasolini chiamava una riduzione a folklore.

(Giovanni Maddalena)