Anatole France, nato a Parigi nel 1844 e morto nel 1924, ebbe formazione classicista e nella libreria paterna, specializzata in opere sulla Rivoluzione Francese, ebbe modo di conoscere studiosi che ne orientarono le letture in direzione scettica. Il successo letterario gli arrise solo a cominciare dal 1890 e anche grazie alle sue frequentazioni politiche venne considerato nel suo paese come una autorità morale e letteraria. Già nell’immediato dopoguerra la sua fortuna diminuì, nonostante il premio Nobel assegnatogli nel 1921. Dopo la sua morte fu ampiamente discusso e poi dimenticato come incarnazione di quel disincanto inviso all’inquietudine tipica del Novecento.



Recentemente è stato ripubblicato per i tipi di Meridiano Zero a cura di Roberto Saviano il suo libro La rivolta degli angeli, scritto nel 1914, concentrato di estetismo, di razionalismo, di ateismo.

Il racconto si aggira attorno a una biblioteca in cui avvengono strane sparizioni e che diventa luogo del conflitto tra il grigiore della conservazione e la rivolta contro Dio ad opera di angeli divenuti demoni. Illeggibile, farcito di citazioni per lo più ignote al lettore comune, che vanno dall’epicureismo di Gassendi, a fonti gnostiche e medievali difficilmente reperibili nella loro autenticità. Non è, come altri dicono, divertente, anzi annoia, forse perché l’elogio del dubbio, il relativismo della conoscenza, lo spregio del passato sono ormai come l’aria inquinata che respiriamo. Il ricorso a un’immagine di Dio invidioso della felicità degli uomini e dunque fonte di costrizione è comprensibile in un razionalista del primo Novecento.



Ma oggi non basta. Tutti, che lo si ammetta o no, abbiamo bisogno di un nutrimento più solido e più convincente. Non devoto, non ironico, ma sofferto e semplice. Per chi conosce anche solo per sommi capi la storia di Agostino di Ippona, scrittore e filosofo tra i più grandi della storia, conosce la sua distinzione tra civitas Dei e civitas diaboli, le quali sono intrecciate in ogni gruppo sociale, compresa la Chiesa, e la questione del male ha come fulcro la libertà dell’uomo, quello che ama Dio fino alla dimenticanza di sé e quello che ama sé fino alla dimenticanza di Dio.

Può incuriosire la firma del curatore, l’autore di Gomorra, l’eroe del momento. La sua prefazione è di una irritante banalità. «In questo romanzo France discute sul merito di Dio, sulla giustezza del suo agire, sulla fallacia delle sue decisioni, sulla brutalità della vita così com’è stata organizzata. Perché la morte, la malattia , il dolore? Perché la fragilità del corpo, la necessità del lavoro, il dolore del parto? Non più quindi il cercare, religiosamente, i motivi del dolore, il senso della sofferenza per trovarne consolazione, non più comprendere le volontà divine per ossequiarle. L’ateismo diviene così una militante battaglia contro il potere divino, una razionale e appassionata rivolta contro le menzogne che Dio impone agli uomini come verità».



Se, come sembra, Saviano fa proprie le tesi del libro, meglio quando si limita a parlare della camorra.