Teoricamente, ai tempi dell’URSS, era un innocuo docente di musica. Vytautas Landsbergis, classe 1932, paladino dell’autonomia dei popoli baltici, è stato il primo presidente lituano dopo la dichiarazione di indipendenza del paese dall’URSS nel 1990.
Attivo per decenni nel mondo politico informale, prima di essere spinto a furor di popolo a ricoprire le massime cariche istituzionali, è stato leader di “Sajudis”, il movimento informale indipendentista lituano. Oggi è membro dell’ufficio di presidenza del gruppo del Partito Popolare Europeo. L’abbiamo intervistato a vent’anni dall’impressionante catena umana che nell’agosto ’89 – ancora in epoca sovietica – unì Lituania, Estonia e Lettonia per attirare l’attenzione del mondo sul patto Molotov-Ribbentrop, che nel ’43 aveva sancito la divisione dell’Europa in due sfere di influenza, e che oggi è tornato d’attualità per gli attriti tra Russia e OSCE.
Il 23 agosto 1989 una grande catena umana di due milioni di persone si snodò per 600 km e rese pubblica con un gesto pacifico e inaudito la protesta degli Stati baltici, che avevano pagato duramente la firma del patto Molotov-Ribbentrop tra Germania nazista e URSS. Lei partecipò a quella manifestazione?
Vi partecipai in due modi, sia come organizzatore, sia unendomi personalmente alla catena umana, all’ingresso della cattedrale di Vilnius. C’erano con me mia moglie, le famiglie di mio fratello e mia sorella giunte dall’Australia dove si erano trasferiti dal 1948. Al mio fianco c’erano gli scout con le loro bandiere, che ufficialmente in URSS erano interdetti ma si erano già riorganizzati de facto nel nostro Paese, che stava riacquistando la libertà.
A un certo punto, verso le 6.45, l’ora scelta per l’inizio della manifestazione, mi dissero che c’erano tantissime persone ancora in auto bloccate dal traffico e che non riuscivano ad arrivare al loro posto per formare la catena. Erano disperate. Allora riuscimmo ad avere uno spazio alla radio nazionale, io stesso mi misi al microfono e dissi: «Non preoccupatevi, siete comunque nella catena ormai, scendete dalle auto e datevi la mano. Siamo tutti uniti!».
Lei è stato il leader di “Sajudis”, e oggi gli Stati baltici sono membri dell’Unione Europea. Gli scopi che vi eravate proposti allora sono stati raggiunti? Cosa si poteva fare che non è ancora stato fatto?
Lo scopo che ci prefiggevamo era soprattutto quello di riappropriarci del diritto alla scelta e alla libertà di costruire la nostra patria e il nostro futuro comune. E questo è stato raggiunto. Nel frattempo dovremmo impegnarci in futuro a costruire una società basata sulla buona volontà e sulla solidarietà, e perciò più ottimista e prospera.
Lei ritiene che il vuoto ideologico seguito al collasso del comunismo possa costituire un pericolo per lo sviluppo democratico dei paesi post-comunisti?
Il comunismo sovietico degli ultimi anni non era già più un’ideologia, era piuttosto pura demagogia fatta di slogan, perciò l’assenza spirituale non poteva generare altro vuoto. O meglio il vuoto si era già imposto prima, ed è stato parzialmente compensato da un nuovo idealismo e patriottismo. Le difficoltà per la democrazia sono venute dall’eredità del materialismo grezzo e dalla fretta che troppi hanno avuto di dare ascolto e credito a nuove demagogie populiste.
La Russia ha reagito duramente alla recente risoluzione dell’OSCE sul patto Molotov-Ribbentrop, e inoltre sta introducendo una legislazione restrittiva contro chi si scosta dalla visione politically correct della storia russo-sovietica. Qual è il significato politico di questa posizione che pare piuttosto bizzarra, oggi che la Guerra Fredda non esiste più? Lei pensa che in Russia vi sia una deriva verso un nuovo tipo di totalitarismo?
Il significato politico di questa posizione e l’atteggiamento ufficiale assunto dalla Russia fanno pensare piuttosto che la Guerra Fredda non sia finita, ma stia ricominciando: e questo tramite nuove forme di propaganda ispirate da ardori e fanatismi neostalinisti di tanti nazionalisti entusiasti dell’idea della Grande Russia, che sarebbe stata vilipesa dai nemici occidentali e interni.
È una tendenza evidente che si basa sostanzialmente sul falso mito del totalitarismo sovietico “benevolo” che non sarebbe mai sceso a patti con Hitler. Per questo i fautori della mitologia russa si sono infuriati quando hanno sentito parlare dell’accordo Molotov-Ribbentrop come di un patto tra due tiranni (come già del resto nella Risoluzione europea del maggio 2005).
Gli ex-presidenti Havel e Walesa sono tra i firmatari di una lettera aperta al presidente Obama in cui si chiede all’amministrazione americana di non allentare la presenza alleata in Europa centrale sacrificando quest’area alle ritrovate relazioni fra USA e Russia. Cosa pensa di questa iniziativa?
È un serio monito all’amministrazione del presidente Obama. Gli estensori dell’appello mettono in guardia dall’attuale revisionismo russo, che si potrebbe definire anche revanscismo. Se gli USA continuano a rimanere titubanti, le conseguenze possono essere gravi per tutti i paesi, Russia inclusa. La Russia ha bisogno di una rinascita democratica dello spirito e non di una stagnazione aggressiva autocratica che si sta trasformando in dittatura post-comunista e ora nazionalista, a cui Mosca è abituata, ma non i suoi vicini.
La sensazione che il pilastro della nostra democrazia e indipendenza – gli USA – sia incerto e vacilli sotto la spinta di slogan sofisticati e delle illusioni sulla “pacifica” Russia di Putin, benchè la debolezza americana sia solo apparente, contribuisce ad alimentare l’incertezza in tutta la regione centro-europea.
(Angelo Bonaguro)