Brad Gregory, professore di storia contemporanea all’università di Notre Dame ripercorre le tappe storiche e culturali che hanno portato alla crisi della ragione occidentale e al relativismo, con un invito a ritornare al riconoscimento di una verità comune a tutti gli uomini che prescinda o, meglio, salvaguardi la particolarità di ciascuno



 

Il tema del Meeting di quest’anno riguarda la conoscenza. L’epoca moderna è caratterizzata soprattutto per un cambiamento di mentalità nell’indagare la realtà. Quali sono gli avvenimenti fondamentali che hanno procurato questa trasformazione?

Il più radicale cambiamento della storia, relativamente recente, inizia nel XVI secolo quando sorge la problematica del Protestantesimo. Soprattutto nei paesi nordici, per ovvi motivi, questo cambiamento si è particolarmente radicato. La caratteristica di tale periodo, che va dal 1520 fino alla metà del 1700, sono le numerose guerre. Conflitti che si scatenavano in parte per motivi politici, ma soprattutto per motivi religiosi fra cattolici e protestanti. Sia i cattolici sia i protestanti continuavano a combattersi nel nord Europa con forte pretesa di dominio l’uno sull’altro. Tale situazione generò, sia a livello intellettuale sia nella sensibilità collettiva, il desiderio di trovare un fondamento comune del vivere civile che si basasse su qualcosa di avulso dalla religione.  Da qui la pretesa di pensare che un simile fondamento potesse essere la sola ragione umana.



Cartesio, nonostante fosse cattolico, iniziò questo processo di rifondazione della conoscenza della realtà solo sulla ragione, tenendo da parte la religione. Questo però è solo un aspetto teorico.

Qual è allora l’aspetto pratico?

Certo. Ad affiancare una base teorico-sociale ci furono famose e importantissime scoperte scientifiche che cominciarono a cambiare il modo dell’uomo di approcciarsi alla realtà. Iniziò la tecnica e l’oggettivazione della natura come campo di studio. Questo interesse per la materialità andò di pari passo con l’interesse per la materia, il materialismo. Dal XVI secolo in avanti quello che prima era un peccato, ossia la dedizione e il desiderio rivolto a cose materiali, cominciò ad essere considerato come una vera e propria virtù.



Perso il ruolo di supremazia della religione, la gente si dedicava ad accumulare cose, e la ricchezza divenne una virtù della modernità.

In cosa soprattutto cambiò il concetto di conoscenza?

La trasformazione della conoscenza si ebbe soprattutto nel periodo legato alla Rivoluzione Industriale, alle nuove scoperte scientifiche. L’uomo cominciò a investigare la natura e alla lunga a maneggiarla. Assumendo la ragione come criterio di dominio sulla natura l’umanità ha esponenzialmente allargato le proprie conoscenze anche se su un versante relativo soltanto al metodo scientifico. Assoggettando alla scienza l’intero creato, l’umanità in quanto parte di esso, ha iniziato a indagare scientificamente anche sé.

E a diventare a sua volta oggetto della sperimentazione scientifica?

Sì. Basta vedere come siamo arrivati a manipolarci con la genetica. Il fatto che non ci siano più valori morali condivisi e che le leggi moderne consentano di fare qualunque cosa, come vendere i propri ovuli, è la dimostrazione della riduzione dell’uomo a oggetto del dominio scientifico.

Se non ci sono più valori morali condivisi la moralità non ha più senso, da qui il via libera a tutte le sperimentazioni possibili e immaginabili che purtroppo conosciamo. Non c’è più niente di moralmente condiviso

La ragione moderna è sfociata nell’ultimo secolo in numerosi esiti speculativi, talvolta contrapposti. Fra questi sembra prevalere una visione relativista della verità. Quanto ne ha risentito l’educazione?

C’è una tendenza pericolosa molto diffusa oggi. Si parte dall’assunto che esiste il pluralismo, perché siamo tutti diversi (di razza, di colore, di appartenenza linguistica o religiosa), e questa è una verità insindacabile. La tendenza pericolosa è collegare questa verità con il relativismo, ma pluralismo e relativismo sono due cose diverse. Il pluralismo è innegabile, ma per conoscerlo e accettarlo non significa che sia da collegare al relativismo. Se noi non vogliamo essere relativisti dobbiamo sfidare la società contemporanea a riconoscere e differenziare l’oggettività di bene e male, di giusto e sbagliato, l’autorità dunque di una verità condivisa, umana. Il tentativo che è stato fatto di basare tutte le regole dello stato solo sulla ragione logica evidentemente non ha avuto un grande successo.

Dal XVI secolo si è voluto da una parte reggere la ragione da sola e dall’altra di reggere la morale solo sulla bibbia e non sulla tradizione della Chiesa. Entrambi i tentativi sono stati un fallimento. Perché in entrambe le direzioni non hanno voluto prendere in considerazione il problema dell’autorità.

Robert Hollander ha dichiarato, in un’intervista rilasciata a ilsussidiario.net, che l’impoverimento culturale in atto nell’educazione americana è sconcertante e che il declino sta cominciando anche qui in Europa. A quale motivo attribuisce questa tendenza?

Il problema principale dell’educazione è quello che ho sollevato alla fine dell’ultima risposta, cioè quello dell’autorità. Se viene infatti sostenuto che l’autorità è ogni singola persona ognuno è autorità di se stesso.

Non è possibile separare l’educazione dalla cultura, dalla politica dalla religione e dalla società. E proprio perché ciò è impossibile assistiamo, col degenerare di uno di questi aspetti, al declino di tutti gli altri. Storicamente bisognerebbe guardarle molto più indietro di quanto non suggerisca questa domanda. L’inizio infatti di questo declino l’ho precedentemente indicato nel XVI secolo. Ma è pur vero che fra gli anni ’60 e ’70 c’è stata un’accelerazione molto più evidente di questo processo, in particolare a causa dell’ideologia, della tecnologia, dei media e della comunicazione.

Lei ha scelto di lavorare presso l’università di Notre Dame, dopo un’esperienza passata a Stanford. Trova che l’educazione cattolica sia propedeutica a una conoscenza davvero universale?

Quello che adesso i cattolici devono realizzare è una profonda comprensione della loro realtà particolare. La questione dell’educazione cattolica è molto diversa a seconda del contesto in cui si richiede. Ma proprio perché cattolica sa essere universale. Non esiste una scoperta scientifica o una convinzione filosofica che sia mai stata in grado di contraddire quanto la fede cattolica afferma. Chi sostiene il contrario non conosce il cattolicesimo, ma questo è proprio il rischio. Credo che la missione dei cattolici sia proprio quella di non aver paura di confrontarsi con le idee critiche. Un confronto che dall’incontro con secolarismo parta da una certezza di fondo sulla verità della fede. Nel mio piccolo quotidianamente pongo grandi domande e grandi sfide alle presunte certezze della società laica di oggi.